29.04.2010

Dinosauri surgelati?

Il clima durante il Cretaceo viene spesso immaginato come uniformemente caldo, sia nello spazio che nel tempo, e il dinosauro e il multitubercolato sono sempre (o quasi sempre) rappresentati in una foresta tropicale lussureggiante.
Le interpretazioni vecchie imputavano la temperatura media dal pianeta, molto superiore alle condizioni recenti, a un tasso di CO2 elevato e correnti marine che disperdevano l'energia solare efficacemente sull'intero globo (in parte come risultato della paleogeografia che differisce da quella odierna).
Una vegetazione subtropicale raggiungeva anche latitudini polari e i poli probabilmente non presentavano una coltra di ghiaccio.

Una nuova ricerca (PRICE et al. 2010) però ha messo in rilievo un possibile cambiamento climatico 137 milioni di anni fa. Studiando la composizione isotopica di minerali e fossili dell'isola di Svalbard (oggi situata nel circolo polare) i ricercatori hanno ricostruito un abbassamento della temperatura media dell'acqua marina da 13° a 4-7°. I fossili e le litologie riscontrate sono tipiche di un ambiente caldo-umido di palude e mare poco profondo, ma entro un breve arco di tempo (beninteso in senso geologico di alcuni migliaia di anni) si osserva un deterioramento climatico pronunciato nell' ambiente marino.

Questo studio conferma in parte ricerche più vecchie, che mostrano che la nostra immagine di un mesozoico formato serra con un clima omogeneo, e risultanti provincie faunistiche con poca variabilità climatica, è troppo semplicistico.


I valori isotopici di foraminiferi di 91 milioni di anni fa, proprio durante una fase con elevate temperature globali nel Cretaceo, con temperature dell'oceano che raggiungevano valori ricostruiti di 35-37°, mostrano che grandi quantità di acqua furono esportati dall'oceano (BORNEMANN et al. 2008). Di conseguenza anche il livello degli oceani si abbasso di 25 a 40m. Secondo gli autori della ricerca l'unica possibilità di stoccaggio di cosi grandi quantità di acqua sono ghiacciai.
La ricostruzione assume che sulla terra ferma (i mari rimanevano troppo caldi) durante fasi con un clima fresco (con valori annui in medi più alti, ma con estati relativamente fredde e umide) che potevano durare anche 200.000 anni, si sviluppavano ghiacciai, probabilmente nell'entroterra di continenti o su catene montuose. Si deve anche considerare che lo sviluppo di ghiacciai non dipende solo dalla temperatura, ma anche delle precipitazioni - in un clima globale più caldo anche l'evaporazione, e di conseguenza le precipitazioni possono aumentare, causando paradossalmente l'avanzamento di ghiacciai.

Fig. 2. Paleogeografia semplificata con zone climatiche ricostruite e siti di fossili "polari", tra cui "Dinosaur Cove", che già a quei tempi si trovava nei limiti del circolo polare.

Nel sito di Dinosaur Cove, nel nordest dell’Australia, si possono trovare arenarie e siltiti risalenti al Cretaceo superiore di 100 milioni di anni fa, depositati in una piana alluvionale con sparsi laghi che si estendeva nel rift che si stava aprendo tra l’Australia e l’Antartide. Il clima di questo sito, che ha restituito anche una peculiare fauna e flora, tra cui forse uno dei primi mammiferi placentali denominato Ausktribosphenos e ossa indeterminate di due specie di monotremi, è stato ricostruito grazie agli isotopi di ossigeno delle rocce e fossili di piante.
Il valore della temperatura media annua ottenuto tramite questi due metodi varia tra 0-8°C e i 10°. A sostenere e ampliare questa ricostruzione di un clima temperato a freddo e la geologia e la composizione della flora in generale , che è dominata da conifere, preadattati a condizioni fredde e secche, come risultano durante fasi di gelo. Abbondanti resti e spore di felci e muschi comunque mostrano condizioni che in media annua erano molto umide. La presenza di accumulazioni di strati di foglie per questo sono state interpretate come stagionali fasi in cui piante superiore cessavano la loro crescita – forse in risposta di una stagione fredda o secca, o una combinazione di questi due fattori. I singoli strati di arenarie in questo modello potrebbero rappresentare piene e risultanti alluvioni che scendevano dalle scarpate del rift quando con l’inizio della calda stagione incominciava la fusione dei ghiacci o la neve accumulata.


Con la ricostruzione sempre più dettagliata del paleo clima quello che emerge è che il clima già in passato presentava notevoli variazioni, e che il sistema clima dipende da moltissimi fattori, in parte non ancora compresi dalle scimmie nude che negli ultimi secoli hanno cominciato a giocarci.

BIBLIOGRAFIA:

ICKERS-RICH, P. & RICH, T.H. (1999): I dinosauri polari dell’Australia. L’evoluzione dei vertebrate. Le Scienze Quaderni. No.107

PRICE, G.D. & NUNN, E.V. (2010): Valanginian isotope variation in glendonites and belemnites from Arctic Svalbard: Transient glacial temperatures during the Cretaceous greenhouse. Geology 38: 251-254

BORNEMANN, A.; NORRIS, R.D.; FRIEDRICH, O.; BECKMANN, B.; SCHOUTEN, S.; SINNINGHE-DAMSTE, J.S.; VOGEL, J.; HOFMANN, P. & WAGNER, T. (2008): Isotopic Evidence for Glaciation During the Cretaceous Supergreenhouse. Science Vol. 319 (5860): 189 - 192 DOI: 10.1126/science.1148777

Immagine introduttiva: Copertina di "Turok - Son of Stones" del Marzo 1964

28.04.2010

Tanatologia di noi scimmie

Fig.1. Secondo la tradizione dell´antico Egitto prima di entrare nell´aldilàil cuore del defunto veniva pesato, se giudicato troppo pesante, l´anima del defunto veniva divorata dal "mangia-anime" - equivalente a una seconda, definitiva morte. Dal libro dei morti, papiro egiziano di Hunefer, conservato nel British Museum.

La famosa primatologa Jane Goodall in un'intervista ricorda che dopo i primi studi che aveva condotta sugli scimpanzé, le fu consigliato di descrivere che gli scimpanzé mostravano sentimenti come rabbia e invidia in modo meno diretto: "se si fosse osservato lo stesso comportamento degli animali nell'uomo, si sarebbe potuto parlare di rabbia e invidia."
Goodall fu anche criticata per aver dato agli scimpanzé del gruppo che studiava dei nomi anziché delle sigle o numeri, dal punto strettamente scientifico questo è una critica fondata, troppo grande è la tentazione di umanizzare gli oggetti di studio.
Ma ulteriori ricerche hanno mostrato che scimpanzé e umani condividono molti comportamenti e sentimenti, e forse e lecito usare con dovuta cautela le stesse terminologie.

L'uomo ha paura di quello che non conosce e non comprende, e il più grande ignoto e la morte. Per spiegare questa necessità evolutiva l'uomo ha creato rituali funebri, e inventato la religione per facilitare la separazione dai suoi cari e consolarsi sull'inevitabile - la consapevolezza della fine, il pensiero di una vita oltre la morte, che nessuno può provare razionalmente, dipende molto dalla nostra capacità di immaginazione e la nostra fantasia, fattore che molti autori ritengono forse uno delle poche caratteristiche che sono proprie dell'uomo.

Ricercatori britannici hanno potuto studiare e documentare per la prima volta quello che ritengono una risposta di un gruppo di scimpanzé verso la morte. L'osservazione grazie a delle videocamere è stata condotta in un parco safari, su un gruppo di scimpanzé di 4 individui, in cui una femmina anziana di 50 anni è morta pacificamente per vecchiaia.
Negli ultimi dieci minuti di vita gli altri scimpanzé hanno toccato il corpo dell'animale ripetutamente, ma dal momento del decesso in poi i contatti sono cessati istantaneamente.
La figlia della femmina morta è rimasta vicino al cadavere per la successiva notte, mentre i due altri scimpanzé del gruppo mostravano un sonno molto irrequieto, e un aumentato comportamento del "grooming" nei giorni seguenti (la cura del pelo a vicenda, che però combina l'utile con il piacevole, e riveste anche un importante significativo sociale negli scimpanzé).

Anche settimane dopo la morte, il corpo era stato tolto dalla recinzione il giorno seguente alla morte, gli scimpanzé mangiavano di meno e mostravano un atteggiamento tranquillo al di fuori del comune. La piattaforma dove era morta la vecchia femmina in tutto questo tempo veniva evitata, ma prima dell'evento era molto popolare tra gli animali per dormirci.


Secondo gli autori della ricerca si potrebbe dedurre che gli scimpanzé in un certo modo - al contrario di ipotesi precedenti - reagiscono alla morte di un loro parente: nelle ultime ore di vita di un individuo malato altri membri del gruppo mostrano un interesse aumentato, e dopo la sua morte restano a guardia del corpo e mostrano un comportamento che si potrebbe - in termini umani- descrivere come consolazione a vicenda.
Forse gli animali sono perfino capaci di realizzare il concetto di morte - un passo che come molte volte prima l'uomo riteneva esclusivo della sua natura, ma, come sottolineano gli autori della ricerca, forse è molto più antico del nostro genere (rimando a una discussione approfondita sul blog Geomythologica: Mitologie della morte: comportamento animale).

BIBLIOGRAFIA:
ANDERSON, J.R.; GILLIES, A. & LOCK, L.C: (2010): Pan thanatology. Current Biology 20: pR349
BIRO, D.; HUMLE, T.; KOOPS, K.; SOUSA, C.; HAYASHI, M. & MATSUZAWA, T. (2010): Chimpanzee mothers at Bossou, Guinea carry the mummified remains of their dead infants. Current Biology 20: pR351

RISORSE:
Intervista al Dr. Anderson mp3 (3MB)

YONG, E. (2010): How chimpanzees deal with death and dying. Not Exactly Rocket Science BLOG

24.04.2010

Low diversity dinosaurs

"Beta diversity is an important component of large-scale patterns of biodiversity, but its explicit examination is more difficult than that of alpha diversity. Only recently have data sets large enough been presented to begin assessing global patterns of species turnover, especially in the fossil record. We present here an analysis of beta diversity of a Maastrichtian (71–65 million years old) assemblage of dinosaurs from the Western Interior of North America, a region that covers 1.5 × 106 km2, borders an epicontinental sea, and spans 20° of latitude. Previous qualitative analyses have suggested regional groupings of these dinosaurs and generally concluded that there were multiple distinct faunal regions. However, these studies did not directly account for sampling bias, which may artificially decrease similarity and increase turnover between regions. Our analysis used abundance-based data to account for sampling intensity and was unable to support any hypothesis of multiple distinct faunas; earlier hypothesized faunal delineations were likely a sampling artifact. Our results indicate a low beta diversity and support a single dinosaur community within the entire Western Interior region of latest Cretaceous North America. Homogeneous environments are a known driver of low modern beta diversities, and the warm equable climate of the late Cretaceous modulated by the epicontenental seaway is inferred to be an underlying influence on the low beta diversity of this ancient ecosystem."

La diversitá dei dinosauri a fine Cretaceo getta un´importante luce sulla modalita della loro estinzione - se improvvisa o graduale.

BIBLIOGRAFIA:
VAVREK, M.J. & LARSSON, C.E. (2010): Low beta diversity of Maastrichtian dinosaurs of North America. PNAS online April 19, 2010, doi: 10.1073/pnas.0913645107


Interview with Dr. Larrson mp3 (3MB)

Sulle orme dei sauri

La scoperta annunciata nel Marzo 2010 di ritrovamenti di impronte fossili di rettili nel Trentino (segnalato qui e qui) aggiunge un´ulteriore capitolo nella ricca storia geologica e paleontologica dei monti pallidi - le Dolomiti. I ricchi giacimenti di fossili reperibili e l´importanza per le scienze geologiche di questa area é stato uno dei motivi per dichiarare le Dolomiti patrimonio dell´umanità nel Giugno 2009.

La prima menzione di tracce di vertebrati fossili -icnofossili- risale al 1800-1802, quando un giovane studente scopri impronte di dinosauro nel Giurassico del Connecticut.
Ma si deve aspettare quasi fino al 1950 che l´icnologia, la scienza che studia le impronte fossili, si stabilisce come ricerca propria.
Considerando questo, le Dolomiti hanno giocato un ruolo importante nella storia e nello sviluppo dell´icnologia.

Nel 1891, in una cava di arenaria nei pressi di Gleno e Montagna, Provincia di Bolzano, il naturalista amatoriale F. Gasser raccolse uno strano frammento di roccia. Invio i reperti al paleontologo austriaco Ernst Kittel, che riconosce somiglianze con impronte di rettili scoperti pochi anni prima nella Turingia. Kittel pubblica una breve notizia del ritrovamento nella rivista del club turistico austriaco nel 1891 - era la prima impronta di rettile trovata nel Trentino-Alto Adige.


Fig.2. Sul notiziario dell´"Österreichischer Tourist Club" del 1891 compare la prima descrizione scientifica di un'impronta di rettile rinvenuta nell´area delle Dolomiti.

Anni dopo, nell´estate del 1931, Gualtiero Adami, ingegnere e collaboratore del Museo di Scienze Naturali della Venezia Tridentina, scopre durante un sopraluogo sull´altopiano di Piné una pietra su cui superficie era impressa una sagoma simile ad una lucertola. Il fossile fu consegnato al museo e studiato dal geologo Giorgio del Piaz, che durante una riunione della società Italiana per il Progresso Scientifico nel settembre dello stesso anno annuncio "la scoperta di un nuovo genere probabile di paleolacertide raccolto nei pressi di Piné in un sottile letto di tufo compreso entro il porfido permiano", che attualmente e in fase di studio. Il fossile conferma anche le prime attribuzioni a rettili come artefici delle orme fossili.
Il fossile però viene messo in disparte, prima a Milano, poi nel 1938 a Padova. Nel 1942 Giambattista Dal Piaz cita brevemente il reperto, parlando di "un bellissimo rettile lacertiforme di habitat sicuramente terrestre". Il fossile viene esposto nel museo con la denominazione Tridentinosaurus antiquus GB dal Piaz, ma appena nel 1959 viene descritto scientificamente da Piero Leonardi, che ne riconosce il significato, come vertebrato in peculiare stato di conservazione (resti di scheletro e patina carboniosa delle parti molle) e più antico delle Alpi meridionali.

Fig.4. Tridentinosaurus.

Per ulteriori tracce fossili si deve aspettare il 1946, quando Piero Leonardi si mette sulle tracce della flora permiana dell´Arenaria della Val Gardena, conosciuta dal 1877. Incuriosito da un resoconto sulla flora fossile della gola del Bletterbach, nei pressi di Redagno, si mette in contatto con l´autore dell´articolo, l´ingeniere Leo Perwanger. Insieme scoprono ulteriori fossili, e alcune lastre con delle impronte di rettili. Dopo alcune stagioni di scavo, nel 1951 Leonardi pubblica i risultati, e realizza l´importanza del sito.

Prosegue le ricerche insieme a Accordi e i suoi studenti.
Nell´estate del 1951 Leonardi scopre a fianco del Monte Seceda (Val Gardena) ulteriori piste e tracce nei sedimenti permiani affioranti. Nel 1955 insieme a Accordi rinviene una località lungo la strada tra Pausa e Doladizza, sul fianco sinistro della valle dell´Adige. E l´anno successivo, insieme ai suoi figli, individua un altro affioramento ad impronte permiane nei pressi del Passo di San Pellegrino.

Fig.5. Piste di tetrapodi con impronte di pelle (sotto a destra). Strati di Werfen, Triassico - Passo Palade.

Le ricerche nel sito di Bletterbach, una località di significato mondiale, proseguono dal 1973 fino ai giorni nostri. La risalita della gola che il rio ha scavato nel fianco della montagna offre la possibilità di attraversare l´intera successione sedimentaria permiana superiore, dalla quale proviene l´insieme più completo finora conosciuto di orme di rettili terrestri del Permiano superiore, con 8 icnogeneri e 9 icnospecie classificati finora, di cui alcune vengono attribuite a Sinapsidi, e sono di recente data ulteriore scoperte da parte del geologo Avanzini.

Fig.6. Vista della gola del Bletterbach (BZ).

BIBLIOGRAFIA:
AVANZINI, M. & WACHTLER, M. (1999): Dolomiti La storia di una scoperta. Athesia S.a.r.l. Bolzano: 150

AVANZINI, M. & TOMASINI, R. (2004): Giornate di Paleontologia 2004 Bolzano 21-23 Maggio 2004 Guida all´escursione: la gola del Bletternach. Studi Trentini di Scienze Naturali - Acta Geologica Supplemento al v.79 (2002):1-34

LEONARDI, G. (2008): Vertebrate ichnology in Italy. Studi Trent. Sci. Nat., Acta Geol., 83 (2008): 213-221

21.04.2010

Caveman (1981)

Il cavernicolo Atouk, interpretato dal mitico Ringo Starr dei "Beatles", non ha molto successo nella vita preistorica, gli uomini della sua tribù non lo rispettano, e l´unica donna che vuole avere da fare con questo perdente e una pianta carnivora, mentre la sua segreta passione Lana (Barbara Bach) e promessa al capogruppo. Il film incomincia il 9. Ottobre di un´zillione di anni fa (un possibile omaggio a John Lennon, che é nato il 9 di ottobre), con il solito problema giornaliero: un rettile gigantesco infastidito da Atouk attacca la tribù .Atouk dopo questa e altre catastrofe viene bannato dalla tribù, e insieme alla bella Tala e il cieco Gog combattera dinosauri,insetti giganti, incontra l´abominevole uomo delle nevi, inventa fuoco, la musica e impara la postura eretta.

Che dire, una scena delirante (nel puro senso della parola) dopo l´altra., anche se il film complessivamente rimane una comedia mediocre.
E interessante notare che questo film, anche se volutamente stupido, riassume molti preconcetti che abbiamo sulla preistoria (e che vengono usati anche in film “seri” sulla materia): Per esempio l´intero film, tranne un’eccezione, e in "cavernicolo", lingua che si riduce ai soliti grugniti, sottolineando la nostra falsa percezione dei cavernicoli (termine scorretto già per se) come gruppo primitivo o dei rimbambiti.
Per non parlare della convivenza tra dinosauri e uomini.
Spiccano le ricostruzioni degli esseri preistorici, curata in un primo momento da Jim Danforth. Danforth lavoro anche su film come When Dinosaurs Ruled the Earth (1971), un sequel di One Million B.C. (1967), curato da Ray Harryhausen, che pero al momento della realizzazione del sequel stava lavorando a The Valley of Gwangi (1969). Il lavoro finale delle animazioni di Caveman fu terminato da David Allen, Randy Cook e Pete Kleinow.

18.04.2010

Darwin & The Naked Apes: Children of Evolution

Troppo bello per non vederlo: Giorno dell´evoluzione invece di ascensione di Gesú...


T rex: Il re delle sanguisughe

In molti film di avventura é un’immagine ricorrente - il protagonista o una comparsa dopo aver attraversato una palude si toglie con disgusto delle sanguisughe (sottoclasse Hirudinea) dalla pelle. Ma c´e di peggio: mentre questi rappresentanti ectoparasiti normalmente si attaccano sull´ospite solo per un breve tempo, esistono tra gli Hirudinea anche specie che entrano nelle cavità del corpo, tra cui bocca, naso, occhi, ma anche aperture urogenitali e il recto, e sono noti per rimanerci per giorni o perfino settimane.
Mentre molte si queste specie sono opportuniste, alcune si sono adattate a uno specifico ospite, e l´uomo non fa eccezione,con dei parassiti personali. Esempi di infestazione nelle cavità interne di animali e uomini da parte di sanguisughe sono conosciuti da tutti i continenti, anche se si osserva una concentrazione nell´Africa e Asia.


Fig.2. Esempio di sanguisughe che attaccano le cavità nasali (C+D) Myxobdella annandalei e altri orifizi di mammiferi, tra cui occhi (A+B, Dinobdella ferox) da PHILLIPS et al. 2010.

La storia evolutiva di infestazione dei mammiferi, la sistematica e la filogenia di parassiti é ancora poco studiata, sopratutto per la mancanza di fossili di questi animali piccoli a corpo molle.
Un notevole progresso nella ricerca é l´attuale studio del materiale genetico delle specie conosciute.
In una recente ricerca viene presentata una nuova specie di sanguisuga, che infesta le cavità dell´uomo, e ha portato a notevoli risultati.
La specie Tyrannobdella rex ("Re delle terrificanti sanguisughe") é stata descritta dalle cavità nasali di diversi ragazzi peruviani, e raggiunge una lunghezza di 7cm.
Questa specie é unica nel suo genere in molti caratteri anatomici e la presenza sul continente americano sudamericano, di cui é l´unico rappresentante. Solo un´altra specie imparentata, Pintobdella chiapasensis, é stata descritta dal Messico. Ma T. rex differisce in molti punti dalle sanguisughe finora conosciute - possiede a differenza di altre specie (che né possiedono tre disposte a forma di Y) solo una singola "mandibola" con una file di pochi denti, che peró sono particolarmente sviluppati.

Fig.3. Morfologia comparativa di Tyrannobdella rex. A) Fotografia della singola "mandibola" con file di denti (Scala 100micrometri) estesa dall´apertura della "bocca". B) Ventosa anteriore con l´apertura boccale da cui esce la mandibola durante l´alimentazione (Scala 1mm). C) Immagine del profilo degli 8 denti sulla mandibola (Scala 100micrometri).D) Visione laterale della mandibola di un´altra specie di sanguisuga (Limnatis paluda) che mostra il tipico sviluppo dei denti degli Hirudinea - molti, ma piccoli denticoli (Scala 100micrometri) da PHILLIPS et al. 2010.

La distribuzione eterogenea di diverse specie di sanguisuga sulla terra con un simile stile di vita - di cibarsi del sangue nelle cavità di mammiferi- ha fatto pensare che si tratta di un’evoluzione convergente in diversi gruppi di sanguisughe.
Ma la nuova specie mostra caratteri che la collegano a altre specie con lo stesso comportamento, non solo sul continente americano, ma anche nel vecchio mondo. L´analisi effettuata sul materiale genetico conferma i caratteri morfologici e di comportamento - le sanguisughe che mostrano una preferenza per le cavità dei mammiferi si sono differenziati da un comune antenato.

Fig.4. Albero filogenetico ottenuto dallo studio delle sequenze mitocondriali di diverse specie di sanguisughe. Myxobdella, Praobdella e Dinobdella sono dei generi di Hirudinea che infestano l´uomo nel vecchio mondo. La nuova specie T.rex si colloca in questo gruppo e ne sottolinea l´origine monofiletica, da PHILLIPS et al. 2010.

Fig.5. Comune sanguisuga (Hirudo sp.) delle nostre latitudini.

BIBLIOGRAFIA:
PHILLIPS et al. (2010): Tyrannobdella rex N. Gen. N. Sp. and the Evolutionary Origins of Mucosal Leech Infestations. PLoS ONE 5(4): e10057. doi:10.1371/journal.pone.0010057

Immagine introduttiva: "Attack of the Giant Leches" (1959)

16.04.2010

Paleontologia dei vertebrati in Italia

A distanza di 25 anni dalla pubblicazione de "I vertebrate fossili", catalogo della mostra allestita al Palazzo della Gran Guardia a Verona nel 1980, questo volume presenta un panorama aggiornato dello stato delle conoscenze sui vertebrate fossili italiani, i quali, pur essendo relativamente rari nella documentazione paleontologica rispetto ai resti fossili di invertebrate, hanno grandissimo significato paleobiografico, paleoambientale e biostratigrafico.

Fig.1. Copertina

La nuova pubblicazione segue le orme del primo atlante, con un'iconografia accattivante e con reperti raramente segnalati. Purtroppo - da male in peggio in rispetto con il primo atlante- si è deciso di togliere completamente cartine o riferimenti geografici dal testo.


In questi 25 anni le ricerche sui vertebrati fossili hanno avuto uno straordinario sviluppo con il riconoscimento di nuovi taxa, la segnalazione di nuovi depositi, lo sviluppo dell' analisi tafonomia, la ricerca di correlazioni con depositi marini, la definizione si scale biocronologiche dettagliate e la integrazione dei dati paleontologici con quelli isotopici e paleo magnetici, oltre che con datazione radiometriche e geochimiche. Il volume registra puntualmente tutte le novità che sono emerse in questi anni.
I vertebrati fossili sono presentati secondo un ordine cronologico, a partire dal Paleozoico superiore fino al Quaternario e nei singoli capitoli, curati da specialisti nel settore o studiosi che hanno condotto attivamente ricerca sui reperti o luoghi menzionati, sono esposti i risultati delle ricerche condotte sia sui vertebrati marini che continentali di singoli giacimenti o periodi.

I depositi cenozoici risultano straordinariamente ricchi di resti di ambienti, e alcuni dei nuovi siti segnalati presentano un interesse globale sotto l'aspetto paleo ambientale e paleo biologico. I depositi a vertebrati continentali pleistocenici sono ordinati in uno schema biocronologico preciso e ben documentato. Le ricerche sui vertebrati pleistocenici insulari hanno dati interessanti risultati con il riconoscimento di successive fasi di dispersione di "Complessi faunistici" dal continente alle isole.
La descrizione della litologia dei depositi e il richiamo ai resti di altri organismi che frequentemente accompagnano i vertebrati marini tende a ricostruire il quadro ambientale che ha controllato la vita, la morte e i processi di fossilizzazione dei diversi taxa. I frequenti richiami all'affinità tra i taxa presenti in Italia e quelli noti in altre aree geografiche mettono in luce il significato paleo biografico globale di alcuni dei vertebrati fossili italiani e illustrano la successione degli eventi che hanno preceduto la formazione della penisola cosi come è attualmente.

La maturazione di una nuova sensibilità nei confronti dei depositi fossiliferi come documenti della storia del territorio e come monumenti naturali da conoscere e valorizzare, ha cambiato l'atteggiamento dei ricercatori e ha dato luogo a iniziative volte alla tutela, alla valorizzazione e fruizione del patrimonio paleontologico.
Purtroppo non tutte le iniziative finora hanno avuto successo, dato che il mulino burocratico lavora in tempi spesso superiori a quelli geologici.
Ricercatori professionisti spesso sono limitati sia nella risorsa tempo che in quella delle finanze (soprattutto negli ultimi tempi). Per monitorare l'intero territorio per questo la collaborazione con appassionati e dilettanti è essenziale, un fatto trascurato troppo spesso in modo negligente dai ricercatori stessi.
Molte segnalazioni di siti importanti provengono da appassionati raccoglitori di fossili, Si ha voluto sottolineare anche questo aspetto in un'opera per la quale si è scelto di utilizzare, nel rispetto del rigore scientifico, un linguaggio semplice e comprensibile anche da non specialisti e che potrà avere anche un valore educativo stimolando lo spirito di osservazione di qualche appassionato. Per chi ne volesse sapere in più, alla fine dei singoli capitolo viene messo a disposizione una lista essenziale di riferimenti scientifici.

Fig.2.
Fig.3.

Indice del volume:
Introduzione
Cenni di Storia della Paleontologia dei vertebrati in Italia

Ricerca, recupero e progetti di valorizzazione
Insularità e vertebrati terrestri endemici
PALEOZOICO E MESOZOICO

Il Permo-Triassico marino - I siti minori
I vertebrati continentali del Paleozoico e Mesozoico

Il Triassico medio delle Prealpi Lombarde
Il Norico marino dell'Italia Settentrionale

Il Giurassico marino
Il Cretaceo marino
IL PALEOGENE

I vertebrati marini
I vertebrati continentali
IL MIOCENE
I vertebrati marini I vertebrati della Pietra Leccese
Le terre emerse del Miocene
I vertebrati continentali
Le associazioni a vertebrati continentali del Messiniano
IL PLIO-PLEISTOCENE

I vertebrati marini

-I vertebrati Marini del Fiume Marecchia
-Il giacimento di Orciano (Pisa)
Le faune a mammiferi del Plio-Pleistocene
-L'area di Villafranca d'Asti e L' Unita Faunistica di Triversa

-I mammiferi fossili del ramo sud-occidentale del Bacino Tiberino, Umbria
-Poggio Rosso (Valdarno superiore)
-I vertebrati fossili delle ligniti di Pietrafitta, Bacino di Tavernelle/Pietrafitta

-Torre in Pietra

-La Polledrara di Cecanibbio (Roma)

-La Caverna Generosa: un tipico deposito di Grotta ad Ursus spelaeus

I VERTEBRATI DELLE ISOLE
La Sardegna
La Sicilia

Le isole minori

BIBLIOGRAFIA:
BONFIGLIO, L. (2005): Paleontologia dei vertebrati in Italia – Evoluzione biologica, significato ambientale e paleogeografia. Museo di Storia Naturale - Verona.
FERRETTI, A. (2005): Paleolibreria. PaleoItalia 13, Novembre 2005.

13.04.2010

Aiuto! - Il ritorno di "Voyager"

Aiuto - é ritornato lo stregone di "Voyager", e se la prende con l´evoluzione umana - 2.500 anni di logica, gettati all´ortiche.

Fig.1. Mucca volante - probabilmente rapita da alieni...

Shunka Warak'in

Le scienze naturali cercano di basarsi solo sui fatti - ed escludere miti come fonti di informazione. Ma storie, racconti ed immagini storiche possono comunque darci preziose informazioni su animali estinti, o ritenuti estinti. Anche se serve molta prudenza e si deve tener conto che molte sono spiegazioni alternative possibili per gli esempi storici riportati:

Fig.1. L´unica immagine storica esistente del "Shunka Warak´in", da HUTCHINSON R.F. (1977): Trails to Nature´s Mysteries - The Life of a Working Naturalist.


Nel 1886 nei pressi del Madison River in West Fork (Broadwater County, Montana) un contadino mormone uccise quello che fu descritto come un grande, scuro animale simile a un lupo, con alte spalle ed la schiena inclinata posteriormente - simile ad una iena. Il corpo fu venduto dalla famiglia Hutchins a un certo Sherwood, che lo espose nel suo museo nel Idaho ed lo chiamo "Ringdocus".

Sembra che i nativi indiani erano al corrente di un animale simile - che chiamavano "Shunka Warak'in - quello che porta via i cani", dato che aveva attaccato i loro accampamenti.
Presunto lupo, teorie alternative (ed fantastiche del 1995) parlarono di questo animale come un superstite Hyaenodon - un gruppo ritenuto estinto 23 milioni d´anni fa appartenente ai mammiferi creodonti.

Il corpo imbalsamato del museo fu perso, la sua reale sistematica rimase incerta. Solo nel novembre 2007, come sembra, il corpo è stato ritrovato nello scantinato del museo. Ora si pensa di effettuare un esame del DNA per chiarire l´esatta sistematica dell'animale, verosimilmente un lupo imbalsamato molto male...

Fig.2. L´immagine apparsa nel gennaio 2010 FONTE.

10.04.2010

Il genere Australopithecus

La descrizione di Australopithecus sediba ha aggiunto un´ulteriore rappresentante agli Australopiteci, un gruppo molto vasto come mostra il seguente resoconto:

Fig.1. Siti con resti fossili classificati o attribuiti al genere Australopithecus (Clicca per ingrandire la carta). Le zone rosse sono aree montuose. Dalla carta si riconosce il percorso della "Rift Valley", che attraversa quasi l´intero continente.

Australopithecus anamensis (4-3,9Ma): L´osso di un braccio di questa specie viene scoperta a Kanapoi, in Kenia, nel 1965. Il suo nome deriva da anam, che vuole dire lago, poiché le circostanze della scoperta fanno pensare che l´ominide viveva sulle sponde di un lago. I frammenti della tibia rinvenuti nel 1987 sulle sponde del Lago Turkana dimostrerebbero poi la postura eretta di questa specie di Australopiteco, progenitrice dell´A. afarensis.

Australopithecus afarensis (3,9-3,2Ma): Specie descritta tramite la scoperta della celebre "Lucy" il 30. novembre del 1974 nella regione etiopa di Afar. Ancora molti caratteri ancestrali: faccia larga con fronte bassa, naso piatto, mascella superiore sporgente e mandibola voluminosa di forma intermedia fra quella rettangolare e quella parabolica dell´uomo moderno. La specie viene considerata alla base della linea evolutiva umana.


Australopithecus africanus (3,5-2,3Ma): Il primo reperto risale al 1924, dalla caverna di Taung nel Sudafrica. Il cranio di questo esemplare di adolescente é arrotondato, con canini piú piccoli comparte a forme ancestrali. La posizione piú avanzata del foro occipitale fa supporre che fosse bipede. L´articolazione del ginocchio, tuttavia, mostra che l´andatura era piú vicina al modello delle scimmie antropomorfe di quanto non lo fosse quella di A. afarensis.


Australopithecus barhelghazali (3,5Ma): Specie rinvenuta nell´odierno Ciad, nel letto del fiume Bahr-el-Ghazal (il fiume delle gazzelle), ha messo in crisi le teorie scientifiche che ponevano l´Africa Orientale come culla esclusiva del genere Homo. L´unico reperto ritrovato é una mandibola con sette denti simile all´afarensis, ma con alcune differenze, come la sinfisi mandibolare piú verticale nella faccia interna e i premaolari a smalto.

Australopithecus boisei (2,3-1,2Ma): Riclassificato attualmente in un proprio genere Paranthropus. Uno degli ominidi piú grandi e robusti, adatto a una dieta alimentare vegetale con grandi molari, mascelle spesse a cui attaccavano possenti muscoli che a loro volta attaccavano alla cresta sagittale del cranio. Scoperto in Tanzania é stato uno degli ultimi Australopitheci a estinguersi ed ha convissuto con le prime specie di Homo.

Australopithecus aethiopicus (2,7Ma): Riclassificato attualmente in un proprio genere Paranthropus. Il primo ritrovamento é avvenuto in Etiopia e risale al 1968. I resti piú celebri provengono peró dal Kenya, dove viene alla luce un cranio detto "teschio nero" per la colorazione tramite ossidi di Magnesio presenti nel terreno. Discende dall´afarensis, del quale mostra lo stesso volto prominente, é il capostipite degli Paranthropus, con cui condivide la mascella rettangolare.


Australopithecus ramidus / garhi (5,2-4,4Ma): Riclassificato attualmente in un proprio genere Ardipithecus. I resti di 17 ominidi sono stati rinvenuti nel 1992 ad Asa Koma, in Etiopia. Le ossa delle articolazioi superiori e i denti rivelano dalle caratteristiche anatomiche ancestrali e una dieta vegetale, che fa pensare che questa specie abbia ancora molti tratti in comune con l´antenato comune di scimpanzé e ominidi. Il piede mostrerebbe una andatura bipede, nonostante il sua habitat naturale fossero le foreste.

BIBLIOGRAFIA:

DAY, M.H. (1986): Guide to Fossil Man. Butler & Tanner Ltd., London. 4th edition

RIVIECCIO, G. (ed.) (2007): L´evoluzione dell´uomo. NEWTON OGGI speciale. RCS Periodici.

08.04.2010

Vi presento: Australopithecus sediba

Sul sito di Brian Switek viene presentato l´ominide la cui descrizione era stata annunciata martedì scorso. I resti di due individui, un esemplare giovane di maschio e una femmina adulta, sono stati scoperti nel 2008 in un sistema di caverne del Sudafrica, grazie alla ricostruzione dello scheletro é stata descritta la nuova specie Australopithecus sediba n.sp. (BERGER et al. 2010) nella rivista "Science".

Fig.1. Australopithecus sediba, l´esemplare maschio MH1 e la possibile femmina MH2 (da BERGER et al. 2010).

Il fossile é stato rinvenuto in sedimenti che si sono depositati 2 milioni di anni fa nel sistema di carso di Malapa. Questi ambienti sono particolarmente adatti per conservare ossa di vertebrati.

Fig.2. Il sito di Malapa é situato nella valle di Grootvleispruit. Immagine sopra: carta geologica semplificata, il sistema carsico é sviluppato seguendo zone fratturate dalla tettonica (da DIRKS et al. 2010).

Fig.3. Rappresentazione schematica del profilo di Malapa. Le ossa ora descritte forse sono state trasportate sul luogo di ritrovamento tramite l´azione dell´acqua all´interno della caverna. Verosimilmente ominidi o i loro resti in un primo momento sono caduti tramite imbuti nelle parti superiori del reticolo (da DIRKS et al. 2010).

A differenze di quanto sostenuto dai media generali, la posizione esatta nel cespuglio della nostra evoluzione della nuova specie non é ancora chiara, fatto sta che con un’età di 1,98 a 1,75 milioni di anni é contemporanea con le prime specie del genere Homo.
L’origine del genere Homo è controversa, tra le ipotesi più accreditate è la discendenza dal gruppo degli Australopithechi, o da predecessori di essi, facendo delle varie specie di Australopithecus un gruppo evolutosi parallelamente a Homo. I fossili più antichi attribuite al nostro genere sono stati ritrovati in Etiopia (Homo habilis aff.) e datano a 2,33 milioni di anni. Dal H. habilis verosimilmente si poi differenziato il H. erectus - l’insicurezza di questa parentela risulta dalla prolungata convivenza delle due specie, un’abitudine degli ominidi che le scoperte recenti sembrano confermare.
La nuova specie mostra caratteri intermedi tra i due grandi gruppi, lunghe braccia, adatte per arrampicarsi ancora sugli alberi e un cervello piccolo sono tipici per gli Australopithechi. Dall’altro lato la postura eretta e soprattutto il cranio con la faccia meno sporgente mostrano affinità con il genere Homo.

La questione che la nuova scoperta forse potrà chiarire definitivamente con ulteriori analisi, è se il genere a cui apparteniamo si è sviluppati da Australopitechi ancestrali o più recenti, come la nuova specie sembra presupporre.

07.04.2010

Catturato finalmente lo Yeti


Siamo finalmente arrivati sul fondo del letamaio - possiamo incominciare a scavare...

"Cina, il mistero dell’animale ignoto
"È lo Yeti d’Oriente"



Scienziati al lavoro per tentare di capire a quale razza appartenga questo strano animale trovato in Cina

È senza peli, ha una coda da canguro, il muso da orso. Ma non appartiene a nessuna di queste specie. Ed è emerso dalle foreste della Cina centrale a turbare i sogni (ed accendere gli entusiasmi) degli scienziati. Questo strano animale - che in attesa di trovare una classificazione scientifica è diventato per tutti “lo Yeti d’Oriente” - è stato catturato da cacciatori nella provincia del Sichuan.
"Non fa nemmeno versi da orso" dice un cacciatore, "ha più la voce di un gatto. Che stia chiamando gli altri esemplari della sua specie?"
In Cina, spiegano i cacciatori che hanno trovato l’animale, "esistono leggende di un orso che un tempo era un uomo. Beh, la gente pensa che sia proprio quello che abbiamo catturato".
Ora lo Yeti sarà mandato a Pechino, perché gli scienziati possano capire attraverso il test del Dna - letteralmente - quale razza di animale sia.
La speranza è che si tratti di una sorta di "Santo Graal" della zoologia: un mammifero finora sconosciuto. Potrebbe esserlo?

Secondo lo scienziato di Oxford e presentatore Tv George McGavin, la mancanza di peli sarebbe sintomo di malattia, non una caratteristica strutturale dell’animale. McGavin, che ha detto di essere "molto scettico" circa l’ipotesi che si tratti di un nuovo mammifero, ha scoperto pochi mesi fa un nuovo animale, un topo gigante nelle montagne della Nuova Guinea. E simili scoperte sono ormai molto rare: negli ultimi dieci anni sono state scoperte 250mila specie, ma la stragrande maggioranza di esse sono di microorganismi."

Naturalmente questa "notizia" sta rimbalzando su vari media e siti internet (p.e. qui). È triste che i giornalisti non si facciano neanche il lavoro di fare una breve ricerca:


Fig.1. Viverridi con la scabbia, che ne determina la perditá del pelo.

AGGIORNAMENTO: Secondo un communicato rilasciato il 16. aprile 2010 dal dipartimento forestale di Daying si tratta di un donnola dell´Himalaya o siberiana (Mustela sibirica).

06.04.2010

The Hunter from the Future (1983)

Yor: "The blood of your enemies makes you stronger! Drink!" Pak: "Urgh...I'd rather stay weak!"

YOR - The Hunter from the Future (1983) prodotto dalla Daimant Film italiana sotto la regia del noto B-movie regista Antonio Margheriti, ha come carattere principale Reb Brown, nei panni di YOR "He´s the man"!
Di tutti i film trash, questo ha buone speranze di essere uno dei migliori (o meglio detto peggiori, il film compare nella lista dei 100 film peggiori secondo John Wilson, fondatore del prestigioso premio "Golden Rapsberry") - qui ogni dettaglio è curato per essere spazzatura: la trama stupida, i caratteri infantili, i costumi ridicoli, gli effetti speciali patetici, ma la musica (mp3 3,4MB) ha un certo fascino trash, contribuita da Guido & Maurizio De Angeli.

Il film apre con Yor che corre tra i ruderi nel bel mezzo della Kappadokia turca é la sigla del titolo - che riassume praticamente il contenuto intellettuale dell´intera opera: Yor é un cavernicolo biondo che fa a botte con dinosauri armato solo con un'ascia di pietra, anche se un Dimetrodon troppo curioso viene affrontato a mani nude, per il resto del film Yor si limita a uccidere cavernicoli e a distruggere intere civilizzazioni.
Ma ritornando all´apertura del film: i due cavernicoli Kala e Pak durante una battuta di caccia per un maiale preistorico (con delle spine attaccate con il mastice) disturbano una specie di triceratopo, che viene prontamente massacrato da Yor con la sua fedele ascia di pietra. Da buongustaio che è, Yor alla fine del combattimento beve il sangue della sua preda.



Per ringraziarlo, Kala e Pak, Invitano Yor nel loro paese, che viene prontamente attaccato da uomini-scimmia, che cercano di rapire le donne del villaggio. Yor insieme a Pak si mette in cammino per trovare il covo degli aggressori. Scoperto la caverna cavernicola, rimane il problema come raggiungere l´entrata situata in alto di una parete rocciosa. Nessun problema per Yor - con arco e freccia massacra un Pteranodonte, la cui carcassa viene usata da Yor per planare nella caverna é tirare un pugno alla guardia, con sottofondo un coro che canta "He´s the man"! (Vedere per credere mpg 2,5MB).


Yor entrato nella caverna massacra tutti e tutto, ritorna in un paese di pescatori, dove gli viene raccontato del segreto di una misteriosa isola nel bel mezzo del mare. Qui la trama si capovolge, come la locandina non avrebbe mai fatto pensare, il pacifico villaggio viene attaccato da astronavi che provengono dall'isola. Yor si mette in mare a massacrare i resti della civilizzazione umana - l´isola in verità é l´ultimo rifugio dotato di tecnologia dopo una guerra atomare, che ha resuscitato dinosauri e creature del permiano, prodotto cavernicoli e mutanti scimmia-uomo. Yor entrato nella base tecnologica, governata da un pazzo dittatore con un esercito di robot che hanno bisogno del - materiale genetico- di Yor per procreare, ma la cosa più importante: Yor massacra tutti e tutto.

Se la trama sembra delirante e soprattutto non concordante, la spiegazione é semplice, in originale le avventure di Yor erano una miniserie per la televisione italiana in quattro puntate. Dopo la messa in onda, il tutto é stato trasformato in un film di 90 minuti per il grande schermo.
Non c é notevole differenza tra la versione televisiva (estremamente rara su supporto video) e quella più conosciuta della versione cinematografica - nella versione integrale i combattimenti di Yor con le creature preistoriche durano più a lungo e sono ancora più sanguinose!

Conclusione, il film si merita la "fama" che ha guadagnato, e alla fine resta solo da dire:


"Yor returns to the primitive tribes on the mainland. He is determined to use his superior knowledge to prevent them making the same mistakes as their forefathers. Will he succeed?"



FILMOGRAFIA:
Le immagine sono riprese da Cool Cinema Trash
Il video é scaricabile da BadMovies
YOR - The Hunter from the Future (TV Trailer, 1983)

Il mito dell’anello mancante

Nei mass media e perfino in TV sta per arrivare un ulteriore anello mancante, che collega indubbiamente l’uomo con la scimmia, anche se, in effetti, ogni ulteriore fossile di ominidi collega una scimmia con un'altra, dato che dal punto anatomico l’uomo non ha mai smesso di essere una scimmia, come non ha mai smesso di essere mammifero.

Dopo Ardi e Ida il nuovo ominide ancora non ha nome, e la sua presentazione ufficiale avverrà appena fra due giorni. Poche sono le informazioni che finora sono sfuggite allo stretto embargo sottoposto su questo tassello milionario, il fossile attribuibile al vasto gruppo degli australopitechi è stato datato a due milioni di anni grazie all’analisi effettuata con l’acceleratore di particelle di Grenoble.
Scoperto nelle caverne di Sterkfontein del Sudafrica e studiato da ricercatori dell’Università di Witwatersrand (Johannesburg), che già hanno l’esclusiva su una produzione televisiva del fossile gestita dalla National Geographic.

E questo ultimo punto spiega forse lo scetticismo che questa “scoperta” ha suscitato al momento nel mondo dei blog scientifici, perfino la “Repubblica” di oggi non ha risparmiato critiche in confronto all’affermazione che si tratti dell’anello mancante tra uomo e scimmia. Le scoperte paleontologiche negli ultimi decenni hanno mostrato che l’evoluzione degli ominidi non fu mai una linea diretta, ma un cespuglio con varie specie e forse sottospecie di ominidi che vivevano nello stesso tempo e nello stesso ambiente, rendendo difficile una ricostruzione di un’evoluzione lineare come la si immagina il nostro collettivo tra ominidi ancestrali e moderni.


La nuova specie sarà un tassello importante, ma dopo le notizie sensazionalistiche che anche il NG ha prodotto in passato, e che si sono rivelate infondate, si deve essere cauti.
Inoltre è doveroso specificare due ulteriori punti, una nuova specie può essere descritta scientificamente solo in una rivista peer reviewed, che il NG non è, e l’attuale embargo su informazioni e il promuovere di una falsa “tensione”, come in un film di categoria B, sulla notizia mi sembra un atteggiamento infantile, che può solo danneggiare quello che dovrebbe essere una seria ricerca: quella sulla paleoantropologia e le nostre origini.

UPDATE 08.04.2010:
Qui la notizia della presentazione di Australopithecus sediba

05.04.2010

MAMMAL OS X

Fig.1. Mammal OS X

Il professore ittiosauro tiene una lezione sui mammiferi

Il naturalista francese Buffon aveva proposto nel 1717 un' ipotesi della storia geologica della terra e della vita su di essa : fasi di stabilità vengono interrotti da catastrofi, da cui nasce nuova vita. Questa idea sopravisse fino al 19. secolo, i geologi di quella epoca interpretavano il record fossile non come successione lineare, ma come cerchio temporale.
John Playfair (1748-1819), matematico e geologo scozzese, riassume l´ipotesi del suo amico, il noto geologo Hutton (1726-1797): "Il sistema geologico del Dr. Hutton assomiglia in molti aspetti a quel sistema che sembra governare il moto celeste ... Entrambi sono stati creati con cura per un moto infinito..."
.
Per Hutton le discordanze stratigrafiche dimostrano una successione di erosione e generazione di sedimenti, montagne si formano dal mare, i detriti di queste vengono trasportati e finiscono di nuovo in mare - un ciclo eterno di cui i fossili fanno parte. Grazie all´opera di Playfair del 1802 "Illustrations of the Huttonian Theory of the Earth", in cui spiego in modo "semplificato" l´idea di Hutton, che era conosciuto per lo stile di scrivere non propriamente di facile lettura, l´ipotesi dell´"uniformatismo" divenne ampiamente conosciuta, e fu ripresa e ampliata da Lyell (1797-1875).
Non catastrofi e cambiamenti rapidi scolpirono la terra, ma lenti processi di deposizione e erosione, osservabili anche nei tempi moderni (da cui il nome moderno "Attualismo"), anche se necessitano migliaia, se non milioni di anni.

Anche se a differenza di Hutton, Lyell esclude forze nel tempo geologico non osservabili ai nostri tempi, continua a usare l´idea di un ciclo geologico. Compare la storia della terra e i climi che si sono susseguiti su di essa con un " anno geologico ", con tanto di autunno, inverno, primavera e estate - ordinato e ciclico come il movimento dei pianeti attorno al sole. Le specie di animali fossili erano adattati perfettamente, ma anche unicamente a queste " stagioni geologiche ". Se la stagione finiva, con essa scomparivano gli esseri che la abitavano, e con la nuova stagione, nuove forme di vita la abitavano.
Secondo Lyell era possibile che "Nelle foreste ritornerà il possente Iguanodon e nei mari gli Ichthyosauri, mentre nei boschi ombrosi delle felci giganti volerà di nuovo il pterodattilo." Questa visione ispiro una delle più note caricature sulla paleontologia, nello stesso anno in cui usci l´opera di Lyell " Principles of Geology " (1830) sulla copertina di un libro sulle stranezze naturali venne rappresentato " Professor Ichthyosaurus " con tanto di studenti rettiliani.
Fig.1. "Awful Changes. Man Found only in a Fossil State - Reappearance of Ichthyosauri." - "A lecture, - 'You will at once perceive,' continued Professor Ichthyosaurus, 'that the skull before us belonged to some of the lower order of animals; the teeth are very insignificant, the power of the jaws trifling, and altogether it seems wonderful how the creature could have procured food."

Creatore della caricatura era il geologo Henry de la Beche (1796 -1855), che si immagina una lezione di paleontologia in un remoto futuro, in cui dopo l´estinzione dei mammiferi i rettili marini - tornati alla ribalta- discutono sulla inferiorità di strane creature con deboli mandibole e piccolo denti - che erano I mammiferi.

Sotto alla cattedra di roccia si intravede il fossile di una strana creatura di un´epoca passata, in cui il clima deve essere stato più fresco, se si tiene presente la vegetazione tropicale sullo sfondo della scena.


Secondo Lyell l´apparente progressione dei fossili, e con essi un sviluppo del tempo lineare - pesci- anfibi - rettili - mammiferi- era un artefatto del record fossile, che era solo parziale e non rappresentava una successione continua (idea che curiosamente Darwin uso per spiegare al contrario l´apparente mancanza di fossili di transizione).
La scoperta di ossa di mammifero in sedimenti mesozoici, conosciuto fino allora solo da sedimenti più recenti, sembrava confermare l´idea di Lyell che non esisteva un´alternanza di specie, e non era da escludere che si poteva scoprire mammiferi ancora più antichi. Che i mammiferi durante certi periodi non erano il gruppo dominante era solo colpa del clima, sfavorevole al loro sviluppo, ma favorevole in certi periodi per i rettili o i pesci.

Questa ultima idea é comunque importante per lo sviluppo successivo delle scienze della terra, per Lyell organismi erano il frutto di fattori causali, la terra anche se passava per innumerevoli cicli, non conosceva meta finale e non esistevano organismi superiori creati da un benevole dio per un preciso scopo.


BIBLIOGRAFIA:

LYELL, C. (1830): 1830-1833. Principles of Geology, Being an Attempt to Explain the Former Changes of the Earth's Surface, by Reference to Causes Now in Operation. 3 vols. Murray, London.

PLAYFAIR, J. (1802): Illustrations of the Huttonian Theory of the Earth.