Posts mit dem Label Tafonomia werden angezeigt. Alle Posts anzeigen
Posts mit dem Label Tafonomia werden angezeigt. Alle Posts anzeigen

08.11.2011

L´arte rupestre tra fauna preistorica e genetica

L´arte rupestre preistorica dell´Europea è molto ricca, più di 100 siti sono conosciuti, perlopiù in Spagna e Francia, con più di 4.000 rappresentazioni di animali. Più di un terzo di queste raffigurazioni mostrano cavalli in diversi stili artistici, da disegni dettagliati e molto naturalistici a forme astratte o semplici sagome disegnate con le dita sul suolo fangoso. La caverna di Pech Merle (Francia meridionale) è particolare dato che un grande disegno su una parete di roccia mostra macchie nere su sfondo bianco, sia dentro sia al di fuori della sagoma di due cavallini. Il disegno, datato a 25.000 anni, fu interpretato perlopiù come rappresentazione simbolica di significato conosciuto, poiché il particolare disegno di macchie nere e bianche é conosciuto solo da animali addomesticati da almeno 10.000 anni. 

Fig.1. Diverse rappresentazioni di cavalli nell´arte rupestre, esempi delle caverne di Lascaux, Chauvet e Pech Merle. Secondo analisi genetiche è possibile che tutte le raffigurazioni siano state ispirate da livree di animali reali - esempio di cavallo di przewalski e moderne razze di cavallo (immagine presa da PRUVOST et al. 2011).

Una nuova ricerca genetica ha ora rilevato che l´artista potrebbe essersi comunque ispirato ad animali reali. Un gruppo di ricercatori tedeschi e inglesi ha analizzato il DNA recuperato da trentuno resti fossili di cavalli, proveniente da tutta l´Eurasia e datati da 20.000 a 2.000 anni fa. Secondo i profili genetici ricostruiti diciotto cavalli avevano una pelliccia chiara, 7 erano scuri, ma 6 mostrano una mutazione genetica che causava una pelliccia a macchie bianche e nere. Le macchie bianche e nere erano particolarmente diffuse tra i resti fossili provenienti dall´Europa dell´est e ovest, dei dieci esemplari studiati quattro mostrano la particolare mutazione. Secondo i ricercatori è possibile che questa mutazione e livrea fossero molto più frequenti durante le fasi glaciali nella popolazione equina europee, poiché provvedeva una sorta di mimetismo nella tundra coperta da neve. Dopo i 14.000 anni la particolare varietà divenne molto rara, finche é stata riscoperta da moderni allevatori.
Comunque le raffigurazioni nell´arte rupestre, anche se fossero state ispirate dal mondo naturale, contengono anche molti particolari spirituali e un forte simbolismo. Le macchie di Pech Merle non sono solo distribuite sugli animali, ma anche in file attorno alla testa e il corpo dei due cavallini, con tanto d'impronte di mane umane. Il significato di questa composizione rimane un mistero.

Bibliografia:

PRUVOST, M. et al. (2011): Genotypes of predomestic horses match phenotypes painted in Paleolithic works of cave art. Proceedings of the Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America.

04.11.2011

La Toscana: Terra di balene e vermi mangia-ossa

"They say the sea is cold, but the sea contains the hottest blood of all,
and the wildest, the most urgent.
"
"Whales Weep Not!" D.H. Lawrence (1885-1930)

Gli abissi marini sono stati spesso comparati con un deserto in cui solo occasionalmente si trovano delle oasi - campi idrotermali in cui sorgenti di acqua bollente offrono abbastanza energia da alimentare un ecosistema, oppure le carcasse in decomposizione di grandi animali marini.
I processi tafonomici in mare aperto differiscono notevolmente da quelli osservabili vicino alla costa o in acque poco profonde - anche se purtroppo ancora poco si conosce sui fattori che gli influenzano - soprattutto se si tratta di gigantesche carcasse, come per esempio di balena. Si presume che la decomposizione di un corpo cosi grande è influenzata in una prima fase dalla profondità della colonna d´acqua e la pressione idrostatica, due fattori che influenzano il tempo in cui la carcassa galleggia nell´acqua. Una volta raggiunto il fondo, la decomposizione della balena segue una successione generale con diverse ondate di animali spazzini e saprofagi. La carne è rapidamente rimossa da grandi animali, come per esempio squali. I resti, come tessuto adiposo e cartilagine, sono colonizzati più lentamente  da organismi che si cibano sia dei resti organici che dal denso tappeto di batteri che si sviluppa su di essi. Dopo alcuni mesi rimangono solo le ossa, anch´esse sono colonizzate da una comunità di specie molto interessante è specializzata per quest'ambiente estremo composta principalmente da batteri, molluschi e policheti.
Gli esempi di grandi balene morte studiate oggigiorno sono abbastanza rari e imprese difficili (al minimo serve un sottomarino), ma il record fossile, soprattutto del Neogene, ha restituito materiale molto interessante e di relativamente facile accesso.

Già nel 2010 una ricerca condotta su scheletri di balena fossile ritrovati nel Pliocene toscano (per esempio localitá come Ponte a Elsa, Castelfiorentino, Castellarano e Castell' Arquato) ha mostrato che già in passato esisteva una successione di organismi sulle carcasse di balene e questa successione dipendeva in parte dalla profondità in cui giaceva la balena. 
Un´altra ricerca pubblicata nello stesso anno ha descritto su ossa fossili di un giacimento spagnolo degli icnofossili - Trypanites ionasi - che sono stati attribuita a delle tane di un organismo comparabili al moderno genere di "vermi-mangia ossa" Osedax (gruppo di animali descritto appena nel 2002 nelle ossa di balena ritrovati sul fondo della baia di Monterey, California). Osedax e un policheto che non possiede bocca o sistema digerente, ma assorbe sostanze nutritive grazie a delle protuberanze a forma di radice che entrano all´interno delle ossa.

Fig.1. Ricostruzione dell´organismo che ha prodotto l´icnofossile Trypanites ionasi (immagine da MUNIZ et al. 2010), basandosi sopratutto sull´anatomia del moderno genere Osedax.

Una ricerca pubblicata recentemente nella rivista Historical Biology ha descritto simili tane su un reperto proveniente dalla Toscana - il primo esempio d'icnofossile di "vermi-mangia ossa" descritto dalla regione dal Mediterraneo, e il terzo esempio in assoluto nel record fossile (a parte il materiale spagnolo esistono resti di ossa con delle tracce ritrovate nei pressi della costa dello stato di Washington).
L´icnofossile, composto di un bulbo all´interno delle ossa, è stato scoperto grazie a delle analisi di ossa con il metodo della tomografia computerizzata eseguite all´University of Leeds e il Natural History Museum in Inghilterra.

Fig.2. Scan di tomografia computerizzata con ricostruzione dell´organismo che ha prodotto le tane sulle ossa di balene del Pliocene toscano (HIGGS et al. 2011).

La scoperta è interessante perche amplifica notevolmente l´areale di distribuzione dei vermi mangia-ossa nel passato (6-3 milioni di anni). Inoltre è verosimile secondo i ricercatori che ancora oggi negli abissi del Mediterraneo esistano specie non ancora descritte di questo gruppo di policheti.

Bibliografia:

ALLISON, P.A.; SMITH, C.R.; KUKERT, H.; DEMING, J.W. & BENNETT, B.A. (1991): Deep-water taphonomy of vertebrate carcasses: a whale skeleton in the bathyal Santa Catalina Basin. Paleobiology 17(1): 78-89
DOMINICI, S.; CIOPPI, E.; DANISE, S.; BETOCCHI, U.; GALLAI, G.; TANGOCCI, F.; VALLERI, G. & MONECHI, S. (2009): Mediterranean fossil whale falls and the adaption of molluscs to extreme habitats. Geology 37(9): 815-818
HIGGS, N.D.; LITTLE, C.T.S.; GLOVER, A.G.; DAHLGREN, T.G.; SMITH, C.R. & DOMINICI, S. (2011): Evidence of Osedax worm borings in Pliocene (3 Ma) whale bone from the Mediterranean. Historical Biology
MUNIZ, F.; DE GIBERT, J.M. & ESPERANTE, R. (2010): First trace-fossil evidence of bone-eating worms in Whale carcasses. Palaios 25: 269-273

17.06.2010

Identificate tracce di denti di mammifero su ossa del Cretaceo (tra cui di dinosauro)

Fig.1. Le tracce identificati come probabili segni di un mammifero che ha rosicchiato l’osso, da MUZZIN 2010.

In un comunicato di stampa provvisorio dell'Università di Yale viene annunciata la notizia che nella rivista "Paleontology" paleontologi hanno pubblicato la scoperta di impronte di denti di mammiferi su diverse ossa, tra cui anche di dinosauro. Se confermato, queste sono le più antiche testimonianze di questo tipo di ichnotraccia identificato finora.

Nicholas Longrich, dell'Università di Yale, è Michael J. Ryan, del Cleveland Museum of Natural History, hanno riscoperto varie ossa nella collezione dell' Università dell' Alberta e del Royal Tyrrell Museum, è altre ancora durante una campagna di scavi nella provincia di Alberta.
Tutti i fossili provengono da sedimenti del Cretaceo, i segni sono stati trovati su un femore di Champsosaurus (rettile aquatico), su una costola di dinosauro (Hadrosauria/Ceratopsia indet.), femore di presunto ornithischio e su una mandibola di un marsupiale.


L' attribuzione dei segni a dei mammiferi multitubercolati viene supposta sulla base di due solchi paralleli tra di loro, simile alla conformazione di due incisivi paralleli, caratteristica conosciuta solo dai mammiferi in quel periodo. Molte ossa mostrano multipli segni disposti in fila sulla circonferenza dell' osso.
I paleontologi assumono che le ossa sono state rosicchiate non per scarnificarli, ma per il loro contenuto di minerali e per soddisfare il bisogno alimentare supplementare dell' animale in questione.


Risorsa:

MUZZIN, S.T. (2010): Dinosaur-chewing mammals leave behind oldest known tooth marks. Online 16.06.2010, consultato 17.06.2010

14.06.2010

Sulle orme dell´Ichnologia italiana

L´Ichnologia é considerata una branca delle scienze della terra relativamente giovane, anche se, come i fossili "comuni", impronte fossili erano notate già nell'antichità, é hanno trovato spesso espressione nei miti e nelle leggende dei popoli.

Ma solo nel 19° secolo le impronte vengono soggetti dell'ichnologia - la scienza delle impronte di vita di animali e piante - con le prime ricerche condotte dal reverendo Buckland, con la descrizione del Chirotherium - l´animale dalle mani - in sedimenti triassici dell´Europa e con il riconoscimento che strane strutture sedimentarie, considerati resti di vegetali, rappresentano le impronte dei movimenti di animali invertebrati.


I sedimenti mesozoici e cenozoici della penisola italiana hanno giocato un importante ruolo nel progresso di questa disciplina. Le marne a Fucoidi sono denominate proprio per l´abbondanza di questo icnogenere, di cui l'icnospecie Fucoides (=Chondrites) targionii é stata descritta nel 1823 dal geologo francese Adolphe Brongniart basandosi su materiale italiano.

Fig.1. Fucoides, Gola del Bottaccione, Gubbio.

Il termine si trova spesso in pubblicazioni o guide della geologia italiana - é, infatti, é una struttura sedimentaria molto diffusa nelle formazioni dell´Appenninico, anche se a quei tempi si riteneva che si trattasse di un resto vegetale, e non un'impronta di scavo da parte di un organismo animale. I
grandi geologi inglesi Lyell e Murchinson entrambi visitarono l´Italia per studiare gli affioramenti di queste rocce e i loro icnofossili.

Nel 1855 il naturalista Abramo Massolongo denomina formalmente l´icnogenere Zoophycos, descritto poco prima da Antonio Villa (1844), e nel 1850 Giuseppe Meneghini descrive Paleodictyon, a ancora insieme a Paolo Savi nello stesso anno descrive Nemertilites (=Scolicia), tutti icnogeneri molto diffusi è di notevole importanza per la ricostruzione paleo ambientale della formazione geologica.

Fig.2. Zoophycos dal Capo Rossello, Sicilia.

Ma già nel 16° secolo, quasi 300 anni prima, alcuni naturalisti del rinascimento italiano hanno studiato icnofossili è speculato sulle loro origini. Tra questi spicca il genio universale di Leonardo da Vinci, che basandosi sulle sue osservazioni di animali recenti scopri cose eccezionali per il suo tempo sui fossili.
È noto che Leonardo rifiuta il mito che vuole i gusci (i suoi "nichi", come li descriveva) nei sedimenti come testimonianza del diluvio universale, e riconosce che per il processo di formazione di queste "caratteristiche" nei sedimenti si ha bisogno di molto tempo: una prima idea del processo di fossilizzazione.
Scrive a proposito nel Codice "Leicester":

"Come tutti li fanghi marini ritengano ancora de "nicchi", ed è pietrificato il nicchio insieme col fango."

Meno noto é che Leonardo si interessò anche di tracce impresse nel sedimento e bioerosione in forme di tane "scavate", a pari come un tarlo nella legna, nei gusci. Basandosi su osservazioni di gusci recenti e la vita marina nei littoriali, Leonardo riconosce che i singoli strati rappresentano dei sedimenti depositati in antichi fondali marini:

"Come nelle falde, infra l´una e l´altra si trovano ancora gli andamenti delli lombrici, che camminavano infra esse quando non erano ancora asciutte."

Sui buchi di gusci fossili scrive:

"Ancora resta il vestigio del suo andamento sopra la scorza che lui già, a uso di tarlo sopra il legname, andò consumando."

e ancora

"Vedesi in nelle montagne di Parma e Piacentia le moltitudini di nichi e coralli intarlati".

Leonardo uso un approccio molto moderno: l' attualismo - paragono i vecchi segni con tracce di moderni animali, é giustamente riconosce la loro "parentela".
Ma Leonardo comunque, come é noto, non sostenne mai i suoi risultati pubblicamente, e il suo sapere andò perso per le prossime generazioni.

Erano comunque tempi pericolosi, il naturalista Ulisse Aldrovandi, vissuto poco dopo Leonardo, fini i suoi ultimi anni di vita in arresto domiciliare, accusato di eresia.
Nella sua opera più importante, il "Musaeum Metallicum" (1648) descrive e rappresenta centinaia di fossili, minerali e tracce fossili, a pari di stranezze e mostri mitologici - anche se incline all´osservazione personale, Aldrovandi combina come del resto gran parte dei naturalisti di quei tempi, l´approccio scientifico di Galileo con l´approccio teoretico e filosofico dei pensatori dell'´era classica greca.

La conoscenza che fossili rappresentano i resti e le impronte di animali verrà accettata universalmente appena a meta del 18° secolo, anche se si rimarrà dell´idea che siano i testimoni del diluvio universale...

Fig.3. Non solo invertebrati - impronta tridattile del Gargano.

Bibliografia:

BAUCON, A. (2008): Italy, the Cradle of Ichnology: the legacy of Aldrovandi e Leonardo. Studi. Trent. Sci,Nat., Acta Geol. 83: 15-29

21.05.2010

Il mammifero e il suo pelo

Una delle caratteristiche fondamentali di tutte le specie di mammiferi sono la presenza di peli sulla dermide, che fungono da strato isolante e giocano un importante ruolo nel mantenimento della temperatura corporea. La struttura dei peli può essere di importanza tassonomica, infatti, molte identificazioni in campo aperto e studi forensi si basano sul recupero e la determinazione di ciuffi strappati dalla peluria dell’animale. Grazie a questi studi per esempio è stato possibile identificare le pelli usati da “Ötzi” come indumenti, tra cui capra e cervo.I caratteri distintivi dei peli di mammifero sono.

- La struttura esterna dei peli: la forma e disposizione rispetto all'asse del pelo delle scaglie cuticolari.
- Il bordo delle singole scaglie.
- La grandezza e la distanza dei bordi delle singole scaglie rispetto all’intero pelo.

- La sezione trasversale e longitudinale del pelo e la forma della cavità centrale (medulla)

Fig.1. Le caratteristiche per descrivere il pelo di mammifero ( da BACKWELL et al. 2009).
- disposizione delle scaglie rispetto all’asse del pelo
- forma delle singole scaglie
- forma dei bordi delle singole scaglie
- distanza dei bordi delle singole scaglie ("grandezza delle scaglie")


Fig. 2. Esempi di strutture di peli osservate tramite microscopio elettronico. a,b) cercopiteco (Chlorocebus sp.), c) galago (Galago sp.), d) umano (Homo sapiens), preso da BACKWELL et al. 2009.

Con l'avvento delle tecniche genetiche, se in un pelo ritrovato è ancora integro il follicolo pilifero possono essere effettuati anche identificazione tramite il DNA delle cellule.

Anche se la ceratina, di cui sono composti i peli mammaliani, è abbastanza resistente alle intemperie del tempo, resti o impronte di peli di mammiferi sono abbastanza rari nel record geologico. Durante la fossilizzazione devono essere presenti condizioni particolari (p.e. ambiente anossico o asciutto), e gli spazzini che amano la ceratina come spuntino (p.e. coleotteri dermistidi) non devono avere accesso al reperto.

Dal Paleocene cinese (ca. 59-56 milioni di anni) sono conosciute impronte fossili di peli, conservati nelle feci di mammiferi carnivori e uccelli rapaci. La conservazione è talmente perfetta, che è stato possibile osservare le singole scaglie dei peli e a attribuire i resti a almeno quattro specie, tra cui probabilmente anche un rappresentante del genere Lambdopsalis, un Multitubercolato relativamente grande per i suoi tempi. La scoperta conferma che anche questi progenitori dei moderni mammiferi possedevano uno strato isolante costituito da peli.
Dalla Cina viene anche il più antico mammifero placentale con tanto di peli: Eomaia scansoria. Il fossile è stato rinvenuto nella formazione di Yixian (Provincia di Liaoning), datata al Cretaceo (125 milioni di anni). Lo scheletro conservato completo e in connessione anatomica è circondato dalla sagoma della folta pelliccia.


Nell’ambra sono conosciuti peli del Miocene della Repubblica Dominicana e del Mar Baltico, e dal Cretaceo della Francia è stato descritto l'esempio più antico finora conosciuto. Nel permafrost della Siberia e del Canada si sono conservati integri le pelurie di mammut e altri animali del Pleistocene.
La più antica testimonianza di capelli umani conosciuti fino all’ultimo anno erano resti trovati su una mummia del popolo dei Chincorro (Chile del Nord), datata a 9.000 anni, ma in un coprolite di iena vecchio più di 200.000 anni è stato descritto quello che viene interpretato come l’impronta di peli delle prime specie di Homo.

BIBLIOGRAFIA:

BACKWELL, L.; PICKERING, R.; BROTHWELL, D.; BERGER, L.; WITCOMB, M.; MARTILL, D.; PENKMAN, K. & WILSON, A. (2009): Probable human hair found in a fossil hyaena coprolite from Gladysvale cave, South Africa. Journal of ARcheological Science 36: 1269-1276
JI, Q.; LUO, Z.-X.; YUAN, C.X.; WIBLE, J.R.; ZHANG, J.-P. & GEORGI, J.A. (2002): The earliest known eutherian mammal. Nature (416): 816-822
MENG, J. & WYSS, A.R. (1997): Multituberculate and other mammal hair recovered from Palaeogene excreta. Nature 385(6618): 712-714

24.04.2010

Sulle orme dei sauri

La scoperta annunciata nel Marzo 2010 di ritrovamenti di impronte fossili di rettili nel Trentino (segnalato qui e qui) aggiunge un´ulteriore capitolo nella ricca storia geologica e paleontologica dei monti pallidi - le Dolomiti. I ricchi giacimenti di fossili reperibili e l´importanza per le scienze geologiche di questa area é stato uno dei motivi per dichiarare le Dolomiti patrimonio dell´umanità nel Giugno 2009.

La prima menzione di tracce di vertebrati fossili -icnofossili- risale al 1800-1802, quando un giovane studente scopri impronte di dinosauro nel Giurassico del Connecticut.
Ma si deve aspettare quasi fino al 1950 che l´icnologia, la scienza che studia le impronte fossili, si stabilisce come ricerca propria.
Considerando questo, le Dolomiti hanno giocato un ruolo importante nella storia e nello sviluppo dell´icnologia.

Nel 1891, in una cava di arenaria nei pressi di Gleno e Montagna, Provincia di Bolzano, il naturalista amatoriale F. Gasser raccolse uno strano frammento di roccia. Invio i reperti al paleontologo austriaco Ernst Kittel, che riconosce somiglianze con impronte di rettili scoperti pochi anni prima nella Turingia. Kittel pubblica una breve notizia del ritrovamento nella rivista del club turistico austriaco nel 1891 - era la prima impronta di rettile trovata nel Trentino-Alto Adige.


Fig.2. Sul notiziario dell´"Österreichischer Tourist Club" del 1891 compare la prima descrizione scientifica di un'impronta di rettile rinvenuta nell´area delle Dolomiti.

Anni dopo, nell´estate del 1931, Gualtiero Adami, ingegnere e collaboratore del Museo di Scienze Naturali della Venezia Tridentina, scopre durante un sopraluogo sull´altopiano di Piné una pietra su cui superficie era impressa una sagoma simile ad una lucertola. Il fossile fu consegnato al museo e studiato dal geologo Giorgio del Piaz, che durante una riunione della società Italiana per il Progresso Scientifico nel settembre dello stesso anno annuncio "la scoperta di un nuovo genere probabile di paleolacertide raccolto nei pressi di Piné in un sottile letto di tufo compreso entro il porfido permiano", che attualmente e in fase di studio. Il fossile conferma anche le prime attribuzioni a rettili come artefici delle orme fossili.
Il fossile però viene messo in disparte, prima a Milano, poi nel 1938 a Padova. Nel 1942 Giambattista Dal Piaz cita brevemente il reperto, parlando di "un bellissimo rettile lacertiforme di habitat sicuramente terrestre". Il fossile viene esposto nel museo con la denominazione Tridentinosaurus antiquus GB dal Piaz, ma appena nel 1959 viene descritto scientificamente da Piero Leonardi, che ne riconosce il significato, come vertebrato in peculiare stato di conservazione (resti di scheletro e patina carboniosa delle parti molle) e più antico delle Alpi meridionali.

Fig.4. Tridentinosaurus.

Per ulteriori tracce fossili si deve aspettare il 1946, quando Piero Leonardi si mette sulle tracce della flora permiana dell´Arenaria della Val Gardena, conosciuta dal 1877. Incuriosito da un resoconto sulla flora fossile della gola del Bletterbach, nei pressi di Redagno, si mette in contatto con l´autore dell´articolo, l´ingeniere Leo Perwanger. Insieme scoprono ulteriori fossili, e alcune lastre con delle impronte di rettili. Dopo alcune stagioni di scavo, nel 1951 Leonardi pubblica i risultati, e realizza l´importanza del sito.

Prosegue le ricerche insieme a Accordi e i suoi studenti.
Nell´estate del 1951 Leonardi scopre a fianco del Monte Seceda (Val Gardena) ulteriori piste e tracce nei sedimenti permiani affioranti. Nel 1955 insieme a Accordi rinviene una località lungo la strada tra Pausa e Doladizza, sul fianco sinistro della valle dell´Adige. E l´anno successivo, insieme ai suoi figli, individua un altro affioramento ad impronte permiane nei pressi del Passo di San Pellegrino.

Fig.5. Piste di tetrapodi con impronte di pelle (sotto a destra). Strati di Werfen, Triassico - Passo Palade.

Le ricerche nel sito di Bletterbach, una località di significato mondiale, proseguono dal 1973 fino ai giorni nostri. La risalita della gola che il rio ha scavato nel fianco della montagna offre la possibilità di attraversare l´intera successione sedimentaria permiana superiore, dalla quale proviene l´insieme più completo finora conosciuto di orme di rettili terrestri del Permiano superiore, con 8 icnogeneri e 9 icnospecie classificati finora, di cui alcune vengono attribuite a Sinapsidi, e sono di recente data ulteriore scoperte da parte del geologo Avanzini.

Fig.6. Vista della gola del Bletterbach (BZ).

BIBLIOGRAFIA:
AVANZINI, M. & WACHTLER, M. (1999): Dolomiti La storia di una scoperta. Athesia S.a.r.l. Bolzano: 150

AVANZINI, M. & TOMASINI, R. (2004): Giornate di Paleontologia 2004 Bolzano 21-23 Maggio 2004 Guida all´escursione: la gola del Bletternach. Studi Trentini di Scienze Naturali - Acta Geologica Supplemento al v.79 (2002):1-34

LEONARDI, G. (2008): Vertebrate ichnology in Italy. Studi Trent. Sci. Nat., Acta Geol., 83 (2008): 213-221

30.03.2010

Geology o(n)f Whale-falls

"They say the sea is cold, but the sea contains the hottest blood of all,
and the wildest, the most urgent.
"
Whales Weep Not! D.H. Lawrence (1885-1930)


The deep-sea is sometimes compared with a desert where only occasionally oasis exist - hydrothermal vents are locally oasis where the heat and chemicals coming from earth allow life in a cold and vast subaqueous desert.
But how got this habitat colonized by animals on the first time, and how the first organism reached this places and evolved to survive under these extreme conditions?
Biota of such vents and biota living on and off decomposing whale carcasses share peculiar chemosynthetic adaptations to exploit these resources, and this shared ability has suggested that they somehow are related each to another.


Surely since the Mesozoic, when large sea dwelling animals evolved, carcasses reached the bottom of the sea, for example some chemosynthetic molluscs appeared long before the modern great whales, and others share the last common ancestor with species living on shelf habitats 30 million years ago, when some of the modern whale lineages first evolved. Also molecular data suggest that specialization found in deep sea may have first appeared at shelf depths, and bone-eating worms related to vent polychaetes may represent intermediate stages of evolution and adaption.


Taphonomic processes in deep-water environments differ markedly from those in shallow waters. The preservation of modern whale skeletons is possibly influenced by the depth of the water column, increased hydrostatic pressure at greater depths is presumed to prevent the whale carcass from floating.

Once arrived on the bottom of the sea, the decomposition of whale carcasses follows a general succession of carrion feeders (like observed on terrestrial carcasses). The flesh is removed first by larger animals, like sharks, then the body and surroundings are colonized by animals that feed both on the carcass and on the bacterial mats developing on it. When only the bones remain, after some months or with larger animals after years, very specialized species community can found feeding on the bones itself.
In modern deep-sea carcasses abundant lipids are exploited by bacteria living within bones. Bone-dwelling mussels and polychaetes, in symbiotic relationship with bacteria, are abundant.
Modern natural whale falls are rare on shelves, but in Neogen shelf sediments often fully articulated skeletons were discovered. Research on this kind of discoveries is still rare.

One of this extraordinary discoveries, that may shade light on the evolution of this communities, was found in Pliocene (3,19-2,82Ma) sediments of the paleo-Tuscan archipelago, near the modern city of Orciano Pisano. During the excavation of the 10m long mysticete the species richness and position of the macrofauna with respect to the skeleton was recorded.
The results were compared with modern and fossil species assemblages, especially molluscs of different habitats, ranging from coastal to bathyal sample localities (0-1.600m depth). The studied fossil taphonomic assemblages comprise examples of Pliocene whales from various Italian localities, like Ponte a Elsa, Castelfiorentino, Castellarano and Castell' Arquato.

Fig.1. Taphonomy and paleoecology of Orciano Pisano "whale fall community". A) Glossus humanus in life position below neurocranium (dashed line outlines scapula). B) Megaxinus incrassatus in vertical position and C) in horizontal position. D) Tip of skull, with Amusium cristatum (long arrows) and M. incrassatus (short arrow). E) Articulated M. incrassatus below heavenly damaged large bones. F) Large tooth of Charcarodon carcharias. G) Tympanic bulla with deeply cut marks. H) view showing articulated, but damaged caudal vertebrae and lacking dorsal vertebrae. H1) Sketch of the skeleton with position of M. incrassatus (circles), G. humanus (stars) and teeth of Carcharodon carcharia (open triangles) and Prionace glauca (black triangle) (from DOMINICI et al. 2009).


The fossil whale fall communities showed some similarities to modern colonization of whale carcasses, but also important differences. Even if the specific taphonomic pathways those carcasses undergo in different water depths differ, some general observations can be made.


1) The high numbers of found shark teeth’s suggests that sharks are a frequent cause of initial flesh and bone consumption. Also they may provide access to the interior of the whale for other animals.


2) Organic enrichment in the sediments around the carcass provides an advantage for heterotrophic organisms (like molluscs and sea urchins).


3) Observed alteration of fossil bones are compatible with the occurrence of bone-eating worms, from a Spanish fossil whale in a recent study a new icnogenus was described, that represents the borings of animals maybe comparable to the modern bone-eating polychaetes Osedax.


4) In contrast to modern whale fall colonization, in the fossil record a "reef stage" is documented, in form of bone-cemented epibionts.


The importance of bone eating animals and chemosynthetic specialists increase from shallow to deep waters. The analyse of molluscs suggest that shelf whale-fall communities are structured similarly to shelf vent and seep communities, where local food webs exploit photosynthesis-derived carbon and animals gain enough energy from heterotrophy, and chemosynthetic symbiosis never dominate. This provides a possible insight in the evolution of these communities, whale-fall in different depths provided "oasis" for colonization of animals coming down from the shelf area or shelf area limits, step by step these refuges enabled organism to adapt to more severe conditions in the deep sea and finally colonize sea vents. Modern whale carcasses maybe still play an important role to connect these rare habitats among each other.


REFERENCES:
ALLISON et al. (1991): Deep-water taphonomy of vertebrate carcasses: a whale skeleton in the bathyal Santa Catalina Basin. Paleobiology 17(1): 78-89
DOMINICI et al. (2009): Mediterranean fossil whale falls and the adaption of molluscs to extreme habitats. Geology V.37(9):815-818; doi: 10.1130/G30073A.1
KAIM, A. et al. (2008): Chemosynthesis−based associations on Cretaceous plesiosaurid carcasses. Acta Palaeontol. Pol. 53(1): 97–104

Introduction imagine: Pliocene whale skeleton from Tuscany, Italy from the front cover of Geology 37(9) 2009

28.03.2010

Bad Science made in Italy; Oppure uccelli elefante e DNA

Continua l´esplorazione negli abissi del giornalismo italiano scientifico, e come effetto collaterale più piacevole, nel mondo degli uccelli giganti. La " Repubblica" parla di una ricerca che ha estratto DNA da gusci fossili.

"L'uccello elefante (Aepyornis, epiornite) a confronto con l'uomo. In questa illustrazione, realizzata da Irene Deluis, l'enorme volatile appare in tutta la sua maestosità. L'immagine è stata diffusa dalla Murdoch University di Perth, in Australia. Per la prima volta nella storia, i ricercatori australiani sono riusciti a estrarre da alcuni gusci di uova fossilizzati il dna di questo animale leggendario. Si tratta di una specie che popolava le coste del Madagascar, scomparsa nel 1700 a causa della colonizzazione europea. Secondo gli studiosi, gli epiorniti erano gli uccelli più grandi mai visti in natura: potevano misurare fino a 3 metri e più d'altezza, per un peso di oltre mezza tonnellata. Le loro uova avevano una circonferenza di più di un metro e una lunghezza di oltre 35 centimetri. Il loro volume era circa 160 volte quello di un uovo di gallina."

Fig.2. Ricostruzione di Aepyornis maximus da BURIAN 1972.

Peccato che venga dato più credito a trivia sull´uccello elefante - Aepyornis - che alla ricerca stessa, per esempio chi l´ha pubblicata e dove, cosa é stato scoperto, come é stato estratto il materiale, cosa significa per la ricerca la possibilità di estrarre DNA da materiale fossile.
A parte che le uova studiate rappresentano diverse specie di uccelli, non tutti giganti, da diverse isole e continenti, dalla ricerca emerge che l´attribuzione di alcuni frammenti di uovo a Aepyornis rimane dubbia.


DNA antico é stato estratto dai piú disparati resti organici, da ossa e tessuto mummificato, peli e unghie, coproliti, sedimenti e penne, con risultati di vario successo.
Ora anche da 18 frammenti di gusci di vari generi di uccelli ricercatori sono riusciti a estrarre e analizzare frammenti di DNA. I resti studiate comprendono varie specie attuali e estinte tra cui il Moa (Dinornithiformes, forme imparentate con i moderni Ratiti) e diverse specie di anatre della Nuova Zelanda, uccelli elefante del Madagascar (Aepyornis e Mullerornis, anche essi imparentati con i moderni Ratiti), uccelli del tuono (Genyornis) Emu e specie di gufi dell´Australia. Complessivamente i fossili comprendono età tra circa 400 a 50.000 anni.
Il materiale che compone il guscio d´uovo é composto principalmente da carbonato di calcio cristallino sotto forma di calcite (97%) e una matrice organica composta da proteine e resti di cellule (3%).

Fig.3. Uovo indeterminato del Madagascar.

Il materiale genetico era in alcuni fossili in un ottimo stato di conservazione, sia la sequenza mitocondriale che del nucleo sono state amplificate con successo. I gusci secondo la ricerca rappresentano un ottimo substrato per proteggere materiale genetico dalla decomposizione in un ambiente caldo, in cui normalmente materiale organico va perso velocemente, anche la possibile contaminazione con batteri è minore in comparazione alle ossa. Grazie al DNA estratto é stato anche possibile attribuire alcuni fossili di provenienza sconosciuta alle rispettive specie, mentre gran parte dei frammenti di uova attribuite a Aepyornis sono state riclassificate come deposte da Mullerornis.

Fig.4. a) Sezione di guscio di uovo di Moa (Dinornis robustus) con la struttura schematica. b) Superficie esteriore di uovo di Moa, sono riconoscibili i pori che consentono la diffusione di gas dall´uovo. C) uovo attribuito dalla morfologia a uccello elefante (Aepyornis maximus). d) Anatra (Anas sp.) e e) Emu (Dromaius novaehollandiae). Scala 2mm. Le uova di uccello elefante sono le piú grandi conosciute, con una circonferenza fino ad un metro, e una lunghezza di 30cm. Immagine presa da OSKAM et al. 2010.

La piú grande specie di uccello elefante conosciute tra le 6 a 12 specie della famiglia degli Aepyornithidae era Aepyornis maximus, con un peso stimato di quasi 0,45 tonnellate. L´esatta cronologia dell´estinzione degli uccelli elefante é ancora incerta. 2.000 anni fa i primi coloni umani raggiunsero l´isola, insieme a animali domestici e probabilmente anche passeggeri clandestini, come roditori. Caccia, distruzione dell' habitat, predazione delle uova da parte di umani e specie aliene, e forse patogeni importati con le galline dei coloni hanno portato all´estinzione l´intera famiglia prima del 1600, anche se alcuni ricercatori ritengono plausibile una sopravvivenza fino al 19 secolo.

BIBLIOGRAFIA :

OSKAM et al. (2010): Fossil avian eggshell preserves ancient DNA. Proceedings of the Royal Society Biological Sciences. Published online 10 March 2010; doi: 10.1098/rspb.2009.2019
Immagine introduttiva: Copertina di "Turok - Son of Stones" del Luglio 1977

08.02.2010

La tafonomia di fessure e caverne

La maggior parte di ampie cavità si generano in litologie solubili al contatto con l’acqua, come formazioni carbonatiche o evaporitiche. Queste fessure o caverne sono in grado di "raccogliere" animali durante un certo intervallo di tempo semplicemente per la caduta degli animali in essi, o intrappolamento all'interno. In questo ambiente altrimenti inaccessibili le ossa sono anche protetti da spazzini o dalle intemperie del tempo. Accumulazione di ossa nelle grotte erano conosciute fin dall'antichità, per esempio marinai greci raccontano, che avrebbero scoperte le ossa dei Ciclopi nelle grotte dell'isola di Sicilia. Alcuni secoli più tardi, il gesuita tedesco Athanasius Kircher visitò e studiò queste ossa, e nel 1678 pubblico una relazione dettagliata, il “Mundus subterraneus”, annunciando che i resti rappresentavano almeno quattro tipi diversi (e con diverse dimensioni ) di giganti preistorici. Solo secoli più tardi i fossili furono riconosciuti ad appartenere a elefanti del Pleistocene.

Fino al 1970 gli accumuli di ossa sono stati in gran parte attribuiti alle attività umane, anche se le osservazioni precedenti dimostravano come carnivori erano in grado di raccogliere le ossa e di processarle in modo analogo a quello umano.


Fig.1. Caverna con breccie ossifere in una stampa del 1849.

"Ho avuto l'opportunità di vedere una iena del Capo a Oxford ... sono stato anche in grado di osservare le modalità di distruzione delle ossa: lo stinco di un bue presentato a questa iena, ha cominciato a mordere via con i molari grossi frammenti dall’estremità superiore, e li inghiottì velocemente a pari della loro frammentazione. Al raggiungere della cavità midollare, l’osso si spacco in frammenti angolari ... continuava a spaccarli finché aveva estratto tutto il midollo ... Ciò fatto, ha lasciato intatto il condilo inferiore, che non contiene midollo, ed è molto duro. Lo stato e la forma dei frammenti residui sono proprio come quelli a Kirkdale; i segni dei denti su di essi sono molto pochi ... queste pochi, tuttavia, sono del tutto simile alle impressioni che troviamo sulle ossa di Kirkdale; le schegge piccole anche in forma e dimensioni, e nel modo di frattura, non sono distinguibili da quelle fossili ... non c'è assolutamente nessuna differenza tra di loro, tranne nel punto di età." BUCKLAND 1823

Un sito importante per la ricchezza di resti, e che combina i processi sopra descritti, è rappresentato da Pirro Nord, situato in una cava al margine nord-occidentale del promontorio del Gargano, vicino al villaggio di Apricena, nella Puglia. Qui nei sedimenti che riempiono una vasta rete carsica, sono stati scoperti ossa e scheletri di una grande varietà di mammiferi e altri vertebrati (anfibi, uccelli e rettili), che vengono datati dal Miocene fino al Pleistocene. L'accumulo di grandi mammiferi è dovuto in parte alla caduta o intrappolamento dei animali all'interno delle cavità più ampie (una serie di scheletri articolati è indicativa di accumulo senza trasporto), ma anche dal successivo trasporto fluviale delle carcasse all'interno della rete carsica. L'abbondanza di ossa e di coproliti di iena Pachycrocuta brevirostris, così come la presenza di numerosi segni di morsi sulle ossa fossili, suggerisce che questa specie ha svolto un ruolo importante nell’accumulo locale delle ossa.

Fig.2. Cava Dell´Erba, si riconosce le fessure riempite di argille rosse.

Fig.3. Fessura con riempimento di argille, dette terra rossa.

Fig.4. Ossa di micromammiferi.

BIBLIOGRAFIA:
BUCKLAND (1823): Reliquiae Diluvianae, or, Observations on the Organic Remains attesting the Action of a Universal Deluge.