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19.11.2011

L´estinzione C/P: tra Chicxulub e Trappi del Deccan

Fino a circa cinquanta anni fa il limite Cretaceo-Paleocene (C/P), famoso per l´estinzione di massa che decretò la fine di alcuni dinosauri, era in sostanza sconosciuto per via della mancanza di una successione stratigrafica completa. 
Nel decennio 1960-1970 il geologo americano Walter Alvarez studio nella gola del Bottaccione (nei pressi di Gubbio, Umbria) una successione di calcari e marne - la formazione della "Scaglia rossa" - e cerco di calcolare la velocità di deposizione di questi strati torbiditici del Cretaceo - Paleocene.

Fig.1. La transizione Cretaceo - Paleocene nella formazione della "Scaglia rossa" (rotata di 90°, il Paleocene si trova di sopra).

Durante la ricerca sulla concentrazione di micro-meteore nei sedimenti scopri un'anomalia nella concentrazione di elementi rari, come per l´esempio l´Iridio. La concentrazione era talmente elevata che era difficile spiegare il fenomeno solo con un'ipotetica fluttuazione del tasso di sedimentazione della Scaglia Rossa. In un primo momento Walter, insieme al padre e fisico (e premio nobel) Luis W. Alvarez, propose una supernova e un incremento della caduta di polvere cosmica sulla terra come fonte dell´Iridio, ma ben presto cambio idea, formulando l´ipotesi di un impatto di meteorite metallico sulla terra. Per avvalorare l´ipotesi comunque mancavano successive prove e soprattutto il punto d´impatto. Tra il 1981 e il 1993 ricerche geofisiche scoprirono un immenso cratere d´impatto (con un diametro di 180 chilometri) nelle profondità della penisola dello Yucatan - denominato Chicxulub. Datazioni rivelarono che aveva l´età giusta per coincidere sia con l´incremento di Iridio, sia per spiegar l´estinzione di fine Cretaceo (il materiale fuso durante l´impatto e recuperato durante le trivellazioni fu datato a 65, 07 + -0,1 Ma). 
L´impatto di Chicxulub (e altri) è volentieri visto nei media e nel collettivo generico come l´unico fattore plausibile per spiegare l´estinzione alla fine del Cretaceo, ma durante questa transizione sono state osservate molte altre e profonde variazioni sulla terra - cambiamenti climatici, fluttuazione del livello marino e un intenso vulcanismo.

Secondo lo scenario proposto l´impatto uccise prima per via diretta (calore e onde di pressione sia nel cielo sia nel mare) e poi in modo indiretto: le polvere e i gas sprigionati dall´esplosione modificarono il clima, causando una piccola era glaciale, inoltre oscurarono il cielo, rendendo fotosintesi impossibili a tutte le piante. Dopo la morte delle piante ben presto tutte le catene trofiche collassarono - per primo morirono gli erbivori, seguiti ben presto dai piccoli carnivori e infine i grandi predatori. Ci sono diversi problemi con questa ricostruzione, che si basa più su considerazioni teoretiche che sull'evidenza dei fossili.
L´estinzione di fine Cretaceo fu sorprendentemente selettiva: nei mari si estinse il nannoplancton, foraminiferi planctonici, molluschi come le ammoniti e i grandi rettili. Comunque nello stesso ambiente sopravissero i foraminiferi bentonici, le diatomee, il gruppo dei radiolari e gran parte dei bivalvi e soprattutto i pesci. Sembra difficile spiegare come organismi autotrofi come i radiolari sopravissero a un ipotetico inverno nucleare e una notte post- apocalittica; com'è difficile spiegare perché pesci, che hanno bisogno del fitoplancton, riuscirono a trovare abbastanza cibo quando i rettili marini perirono.

Inoltre l´esatta datazione e processo dell´estinzione dei vari gruppi di organismi è incerta - non si sa esattamente se un determinato gruppo si è estinto esattamente 65 milioni di anni fa o forse già prima. 
Da diversi anni il gruppo di ricerca attorno all´americana Gerta Keller ha messo in dubbio le datazioni proposte, basandosi soprattutto sul processo di estinzioni di foraminiferi. Keller ha proposto che già prima di Chicxulub molte specie di foraminiferi mostravano un declino o erano già estinte. Inoltre secondo l´interpretazione di una stratigrafia nei pressi di Brazos (Texas) ci furono più di un singolo impatto nel Cretaceo superiore, che comunque non avevano quasi nessun effetto sulle comunità di fossili studiate.

In una nuova ricerca condotta su sedimenti e fossili dell´India il gruppo di lavoro ha proposto una via di mezzo per spiegare sia il declino precedente e considerando possibili effetti di un impatto.
I Trappi del Deccan sono un territorio igneo localizzato nella parte centro occidentale dell'India, e rappresenta una delle più estese zone vulcaniche del pianeta. Sono datati a un´età di 60 a 65 milioni di anni -  è considerate per questo da molti ricercatori come alternativa all´impatto per spiegare l´estinzione di fine Cretaceo. Comunque l´esatta cronologia dei Trappi rimaneva un mistero - poiché un periodo di cinque milioni di anni sembrava troppo lungo per spiegar una (dal punto geologico) improvvisa estinzione di massa. 

Solo negli ultimi anni nuove tecnologie hanno reso possibile  capire meglio il processo di formazione: I Trappi del Deccan si sono formati in tre singole fasi, iniziate 67,5 milioni di anni fa. La seconda fase eruttiva e quella più forte è responsabile di circa l´80% della massa complessiva dei depositi vulcanici - ed è proprio questa fase che coincide con la maggiore estinzione dei foraminiferi studiati. L´ultima (la terza) fase eruttiva, la più debole, è datata a 300.000 anni dopo il picco complessivo dell´attività vulcanica (figura 2 secondo KELLER).
Secondo il nuovo scenario la prima fase di attività vulcanica ha ridotto notevolmente il tasso dell´evoluzione dei foraminiferi e indebolito le popolazioni esistenti, anche se non ha causato un'estinzione di massa. La seconda fase, quella più forte, ha colpito ecosistemi indeboliti dalle eruzioni precedenti - è proprio in questo periodo che molte specie studiate scompaiono nel record fossile. Dopo questa estinzione i mari furono lentamente ripopolati da specie opportunistiche - ma i sedimenti mostrano anche un livello ricco di Irido - occorre una seconda estinzione di massa che termina con la terza fase vulcanica. 

Fig.3. I cambiamenti nella comunità di foraminiferi studiati - si osservano delle estinzioni di singole specie, ma anche un generale indebolimento e rimpicciolimento delle specie superstiti (secondo KELLER)

Il gruppo di ricerca non nega completamente il ruolo di vari impatti di asteroidi sulla biodiversità, ma propone una catastrofe combinata per spiegare meglio la cronologia e selettività dell´estinzione Cretaceo-Paleocene. L´incremento dell´attività vulcanica indebolisce per migliaia di anni prima dell´impatto (gli impatti?) gli ecosistemi della terra - è durante questo periodo che molti organismi non riescono ad adattarsi alle nuove condizioni. I gas e le ceneri hanno modificato il clima, i livelli dei mari si abbassano, forse anch´essi per via dell´intensa attività magmatica del pianeta, infine l´impatto di asteroide - non forte come proposto in passato ma che colpisce in un momento critico - che decreta la fine di molti gruppi di organismi.

Bibliografia:

ALVAREZ, W., ALVAREZ, L.W., ASARO, F. & MICHELl, H.V. (1979): Anomalous iridium levels at the Cretaceous/Tertiary boundary at Gubbio, Italy: Negative results of tests for a supernova origin. In: Cretaceous-Tertiary Boundary Events Symposium; II. Proceedings (Eds W.K. Christensen and T. Birkelund), pp. 69. University of Copenhagen
ALVAREZ, L.W., ALVAREZ, W., ASARO, F. & MICHEL, H.V. (1980): Extraterrestrial cause for the Cretaceous-Tertiary extinction. Science 208: 1095-1108
ALVAREZ, W. (2009): The historical record in the Scaglia limestone at Gubbio: magnetic reversals and the Cretaceous-Tertiary mass extinction. Sedimentology 56: 137-148
BAKER, V.R. (1998): Catastrophism and uniformitarianism” logical roots and current relevance in geology. In: BLUNDELL, D. J. & SOTT, A. C. (eds.) Lvell: the Past is the Key to the Present. Geological Society, London, Special Publications, 143: 171-182
FRENCH, B.M. (2003): Traces of Catastrophes: A handbook of Shock-Metamorphic Effects in Terrestrial Meteorite Impact Structures. Lunar and planetary Institute
KELLER, G.; ABRAMOVICH, S.; BERNER, Z. & ADATTE, T. (2009): Biotic effects of the Chixulub impact, K-T catastrophe and sea level change in Texas. Paleogeography, Paleoclimatology, Paleoecology 271:52-68
SCHULTE et al. (2010): The Chicxulub Asteroid Impact and Mass Extinction at the Cretaceous-Paleogene Boundary. Science 327(5970): 1214 – 1218

08.11.2011

L´arte rupestre tra fauna preistorica e genetica

L´arte rupestre preistorica dell´Europea è molto ricca, più di 100 siti sono conosciuti, perlopiù in Spagna e Francia, con più di 4.000 rappresentazioni di animali. Più di un terzo di queste raffigurazioni mostrano cavalli in diversi stili artistici, da disegni dettagliati e molto naturalistici a forme astratte o semplici sagome disegnate con le dita sul suolo fangoso. La caverna di Pech Merle (Francia meridionale) è particolare dato che un grande disegno su una parete di roccia mostra macchie nere su sfondo bianco, sia dentro sia al di fuori della sagoma di due cavallini. Il disegno, datato a 25.000 anni, fu interpretato perlopiù come rappresentazione simbolica di significato conosciuto, poiché il particolare disegno di macchie nere e bianche é conosciuto solo da animali addomesticati da almeno 10.000 anni. 

Fig.1. Diverse rappresentazioni di cavalli nell´arte rupestre, esempi delle caverne di Lascaux, Chauvet e Pech Merle. Secondo analisi genetiche è possibile che tutte le raffigurazioni siano state ispirate da livree di animali reali - esempio di cavallo di przewalski e moderne razze di cavallo (immagine presa da PRUVOST et al. 2011).

Una nuova ricerca genetica ha ora rilevato che l´artista potrebbe essersi comunque ispirato ad animali reali. Un gruppo di ricercatori tedeschi e inglesi ha analizzato il DNA recuperato da trentuno resti fossili di cavalli, proveniente da tutta l´Eurasia e datati da 20.000 a 2.000 anni fa. Secondo i profili genetici ricostruiti diciotto cavalli avevano una pelliccia chiara, 7 erano scuri, ma 6 mostrano una mutazione genetica che causava una pelliccia a macchie bianche e nere. Le macchie bianche e nere erano particolarmente diffuse tra i resti fossili provenienti dall´Europa dell´est e ovest, dei dieci esemplari studiati quattro mostrano la particolare mutazione. Secondo i ricercatori è possibile che questa mutazione e livrea fossero molto più frequenti durante le fasi glaciali nella popolazione equina europee, poiché provvedeva una sorta di mimetismo nella tundra coperta da neve. Dopo i 14.000 anni la particolare varietà divenne molto rara, finche é stata riscoperta da moderni allevatori.
Comunque le raffigurazioni nell´arte rupestre, anche se fossero state ispirate dal mondo naturale, contengono anche molti particolari spirituali e un forte simbolismo. Le macchie di Pech Merle non sono solo distribuite sugli animali, ma anche in file attorno alla testa e il corpo dei due cavallini, con tanto d'impronte di mane umane. Il significato di questa composizione rimane un mistero.

Bibliografia:

PRUVOST, M. et al. (2011): Genotypes of predomestic horses match phenotypes painted in Paleolithic works of cave art. Proceedings of the Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America.

04.11.2011

La Toscana: Terra di balene e vermi mangia-ossa

"They say the sea is cold, but the sea contains the hottest blood of all,
and the wildest, the most urgent.
"
"Whales Weep Not!" D.H. Lawrence (1885-1930)

Gli abissi marini sono stati spesso comparati con un deserto in cui solo occasionalmente si trovano delle oasi - campi idrotermali in cui sorgenti di acqua bollente offrono abbastanza energia da alimentare un ecosistema, oppure le carcasse in decomposizione di grandi animali marini.
I processi tafonomici in mare aperto differiscono notevolmente da quelli osservabili vicino alla costa o in acque poco profonde - anche se purtroppo ancora poco si conosce sui fattori che gli influenzano - soprattutto se si tratta di gigantesche carcasse, come per esempio di balena. Si presume che la decomposizione di un corpo cosi grande è influenzata in una prima fase dalla profondità della colonna d´acqua e la pressione idrostatica, due fattori che influenzano il tempo in cui la carcassa galleggia nell´acqua. Una volta raggiunto il fondo, la decomposizione della balena segue una successione generale con diverse ondate di animali spazzini e saprofagi. La carne è rapidamente rimossa da grandi animali, come per esempio squali. I resti, come tessuto adiposo e cartilagine, sono colonizzati più lentamente  da organismi che si cibano sia dei resti organici che dal denso tappeto di batteri che si sviluppa su di essi. Dopo alcuni mesi rimangono solo le ossa, anch´esse sono colonizzate da una comunità di specie molto interessante è specializzata per quest'ambiente estremo composta principalmente da batteri, molluschi e policheti.
Gli esempi di grandi balene morte studiate oggigiorno sono abbastanza rari e imprese difficili (al minimo serve un sottomarino), ma il record fossile, soprattutto del Neogene, ha restituito materiale molto interessante e di relativamente facile accesso.

Già nel 2010 una ricerca condotta su scheletri di balena fossile ritrovati nel Pliocene toscano (per esempio localitá come Ponte a Elsa, Castelfiorentino, Castellarano e Castell' Arquato) ha mostrato che già in passato esisteva una successione di organismi sulle carcasse di balene e questa successione dipendeva in parte dalla profondità in cui giaceva la balena. 
Un´altra ricerca pubblicata nello stesso anno ha descritto su ossa fossili di un giacimento spagnolo degli icnofossili - Trypanites ionasi - che sono stati attribuita a delle tane di un organismo comparabili al moderno genere di "vermi-mangia ossa" Osedax (gruppo di animali descritto appena nel 2002 nelle ossa di balena ritrovati sul fondo della baia di Monterey, California). Osedax e un policheto che non possiede bocca o sistema digerente, ma assorbe sostanze nutritive grazie a delle protuberanze a forma di radice che entrano all´interno delle ossa.

Fig.1. Ricostruzione dell´organismo che ha prodotto l´icnofossile Trypanites ionasi (immagine da MUNIZ et al. 2010), basandosi sopratutto sull´anatomia del moderno genere Osedax.

Una ricerca pubblicata recentemente nella rivista Historical Biology ha descritto simili tane su un reperto proveniente dalla Toscana - il primo esempio d'icnofossile di "vermi-mangia ossa" descritto dalla regione dal Mediterraneo, e il terzo esempio in assoluto nel record fossile (a parte il materiale spagnolo esistono resti di ossa con delle tracce ritrovate nei pressi della costa dello stato di Washington).
L´icnofossile, composto di un bulbo all´interno delle ossa, è stato scoperto grazie a delle analisi di ossa con il metodo della tomografia computerizzata eseguite all´University of Leeds e il Natural History Museum in Inghilterra.

Fig.2. Scan di tomografia computerizzata con ricostruzione dell´organismo che ha prodotto le tane sulle ossa di balene del Pliocene toscano (HIGGS et al. 2011).

La scoperta è interessante perche amplifica notevolmente l´areale di distribuzione dei vermi mangia-ossa nel passato (6-3 milioni di anni). Inoltre è verosimile secondo i ricercatori che ancora oggi negli abissi del Mediterraneo esistano specie non ancora descritte di questo gruppo di policheti.

Bibliografia:

ALLISON, P.A.; SMITH, C.R.; KUKERT, H.; DEMING, J.W. & BENNETT, B.A. (1991): Deep-water taphonomy of vertebrate carcasses: a whale skeleton in the bathyal Santa Catalina Basin. Paleobiology 17(1): 78-89
DOMINICI, S.; CIOPPI, E.; DANISE, S.; BETOCCHI, U.; GALLAI, G.; TANGOCCI, F.; VALLERI, G. & MONECHI, S. (2009): Mediterranean fossil whale falls and the adaption of molluscs to extreme habitats. Geology 37(9): 815-818
HIGGS, N.D.; LITTLE, C.T.S.; GLOVER, A.G.; DAHLGREN, T.G.; SMITH, C.R. & DOMINICI, S. (2011): Evidence of Osedax worm borings in Pliocene (3 Ma) whale bone from the Mediterranean. Historical Biology
MUNIZ, F.; DE GIBERT, J.M. & ESPERANTE, R. (2010): First trace-fossil evidence of bone-eating worms in Whale carcasses. Palaios 25: 269-273

05.09.2011

Coelodonta thibetana e Megafauna

Una nuova specie di rinoceronte fossile descritta nella rivista Science aiuterà a ricostruire la storia evolutiva della Megafauna del Pleistocene. Molti caratteristici animali della tundra dell´era glaciale, tra cui il rinoceronte lanoso, il mammut o il cervo gigante, sono stati considerati specie autoctone dell´Eurasia, evolutosi in risposta ai cambiamenti climatici durante il Pleistocene.

I resti fossiliferi della nuova specie Coelodonta thibetana sono stati scoperti nel 2007 in sedimenti Pliocenici (ca. 3,7 milioni di anni) del bacino di Zanda sull'altopiano Tibetano. Il cranio di questa specie mostra alcune particolarità che sono state associate a una vita in ambienti freddi e con precipitazioni nevose.

- I molari hanno una corona alta, adatti a una dieta a base di piante dure come l´erba che caratterizza le steppe asiatiche.

- La base del (falso) corno del rinoceronte è appiattita e il corno stesso probabilmente era curvato in avanti e si espandeva sopra il muso. Questa particolare struttura potrebbe essere stata usata come una pala per liberare il suolo dalla neve - un simile carattere è conosciuto dalla specie Pleistocenica (ca. 2 milioni di anni) di Coleodonta antiquitatis, il comune rinoceronte lanoso dell'iconografia sull´era glaciale.

Questi caratteri erano in principio un adattamento a una vita nella steppa dell´altopiano, che si rivelarono favorevoli durante il raffreddamento del clima globale. Dall´altopiano il genere Coleodonta si diffuse verso la regione dell´odierna China con la specie Coelodonta nihowanensi,  verso la Siberia  con la specie Coelodontia tologoijensis e verso l´Asia e l´Europa con la specie Coleodonta antiquitatis.

Fig.1. Distribuzione geografica delle specie di Coelodonta secondo DENG.

L´associazione fossilifera a cui appartiene C. thibetana include più di 23 specie di mammiferi, tra cui alcune relative a delle moderne specie, come la  pecora azzurra nana (Pseudois schaeferi), il leopardo delle nevi (Panthera uncia), l'antilope tibetana (Pantholops hodgsonii) e il tasso (Meles sp.), ma anche specie estinte come Hipparion.
Un'associazione interessante, che include specie associate a steppe asciutte e fredde a specie di montagna e di distribuzione generale. La fauna della tundra pleistocenica probabilmente era un'associazione unica, che comprendeva animali che oggi troviamo nella tundra artica (fredda e umida) e altre specie adatte a un clima di steppa (fredda e secca). Durante il raffreddamento globale del Pleistocene questi due ecosistemi si avvicinarono geograficamente, e con essi le loro specie caratteristiche che formarono un'unica, oggi estinta, fauna.

Bibliografia:

DENG, T.; WANG, X.; FORTELIUS, M.; LI, Q.; WANG, Y.; TSENG, Z.J.; TAKEUCHI, G.T.; SAYLOR, J.E.; SÄILÄ, L.K. & XIE G. (2011):  Out of Tibet: Pliocene Woolly Rhino Suggests High-Plateau Origin of Ice Age Megaherbivores. Science Vol.333 (6047): 1285-1288

01.09.2011

Giustizia tardiva per il Tilacino

"Alcuni dei pastori affermano che uno di questi animali uccide centinaia di pecore in un tempo molto breve, ed esistono …[]… notizie che uomini sono stati attaccati da loro ... []"
Gerard Krefft, 1871.

"Il tilacino uccide le pecore, ma limita il suo attacco a una alla volta, ed è quindi in nessun modo distruttivo come un gruppo di cani domestici diventati selvatici o come il Dingo dell'Australia, che causano distruzione in una singola notte. Alte ricompense sono state tuttavia sempre date ai proprietari di pecore per la loro uccisione e dato che oggigiorno ogni pezzo di terra è occupato, è probabile che in alcuni anni quest'animale, talmente interessante per lo zoologo, si estinguerà; e ora estremamente raro, anche nei luoghi più remoti  e meno frequentati dell´isola."
John West, 1850.

Fig.1. Il Tilacino, in una raffigurazione da parte di Joseph Matias Wolf del 1861

Il Tilacino (Thylacinus cynocephalus) era conosciuto durante il XIX secolo sotto vari nomi ai coloni dell´isola di Tasmania: lupo marsupiale, lupo-zebra, iena-opossum, tigre-bulldog, tigre marsupiale, pantera o Dingo della Tasmania - nomi che enfatizzano che l´animale era considerato un pericoloso predatore - soprattutto di pecore, animali importati che costituivano la base dell´economia dell´isola.
Il primo tilacino avvistato dai esploratori europei fu descritto nel 1792 da un marinaio come un "grande cane, di colore bianco e nero e apparenza di bestia feroce". Il primo esemplare ucciso risale a marzo 1805. Ritenuto animale nocivo e pericoloso, fu cacciato senza tregua fino alla seconda meta del XIX / inizo XX secolo, quando i numeri degli animali abbattuti e le taglie pagate diminuirono notevolmente, indicando che la popolazione stava collassando. L´ultimo esemplare confermato morirà il 7 settembre del 1936 nello zoo di Hobart.

Una nuova ricerca (ATTARD et al. 2011) sembra confermare le - al tempo inutili - avvertenze di West che il Tilacino non era un predatore abituale di pecore. La mandibola del muso allungato si poteva aprire con un angolo massimo di 120 gradi - impressionante - ma la struttura era inadatta e troppo debole per attaccare grandi prede. Basandosi su modelli di biomeccanica i ricercatori hanno simulato le forze esercitate sul cranio di Tilacino durante i movimenti di predazione e masticazione. Secondo i risultati ottenuti il Tilacino con il suo cranio allungato e fragile si era adattato per catturare prede piccole e veloci, come specie di opossum o piccole specie di canguro (di cui resti furono ritrovati nel primo esemplare ucciso).

La ricerca potrebbe anche spiegare l´estinzione "improvvisa" del Tilacino nella seconda meta del XIX secolo. Il Tilacino era specie già rara quando la Tasmania fu colonizzata all´inizio del secolo (alcune stime parlano di una populazione di 5.000 individui), la caccia indiscriminata impattó ulteriormente su di una popolazione già ridotta. Il crollo netto nei numeri degli esemplari uccisi (almeno 2.000) nella seconda meta del XIX secolo fu imputato in parte a un'epidemia che colpiva gli animali superstiti, fortemente indeboliti nel loro sistema immunitario da una diminuzione drastica della loro variabilità genetica.

Sulla base dei nuovi risultati e la dieta specializzata del Tilacino si può ipotizzare che anche senza caccia la distruzione dell'habitat e la conseguente diminuzione dell´areale della specie erano sufficienti per portare questo animale all´orlo dell´estinzione. Incapace di adattarsi a nuove prede, in forte concorrenza con altri grandi predatori, come il Diavolo della Tasmania, con una popolazione debole, il Tilacino si estinse nell´arco di pochi decenni, anche se alcuni criptozoologi non vogliono far morire la speranza.


Bibliografia:

31.08.2011

Juramaia sinensis: fossile aiuta a colmare lacuna evoluzionistica

Uno scheletro incompleto ritrovato nella provincia di Liaoning (nord est China) potrebbe rivelarsi un importante tassello per comprendere meglio l´evoluzione dei mammiferi durante il Mesozoico.

Juramaia sinensis
-la "Madre Giurassica dalla China" - è stata descritta dal paleontologo specializzato in mammiferi Zhe-Xi Luo e il suo gruppo di lavoro in un articolo pubblicato recentemente nella rivista "Nature".
L´animale si è conservato in argille della formazione di Tiaojishan, il fossile comprende un cranio incompleto e parte anteriore dello scheletro, la roccia conserva anche impronte di parti molle come per esempio la pelliccia.

Basandosi sulla morfologia delle ossa degli arti conservati e soprattutto dei denti i ricercatori hanno proposto che il piccolo animale possa essere imparentato con i moderni mammiferi placentali, spostando l´avvento di questo gruppo di almeno trentacinque milioni di anni.
Basandosi su cronologie molecolari la diversificazione tra i mammiferi marsupiali e placentali fu postulata a circa 160 milioni di anni fa, ma il mammifero placentale più antico conosciuto finora era la specie Eomaia scansoria (descritta nel 2002 dalla formazione di Yixian) datata ad appena 125 milioni di anni fa. Juramaia ora ha aiutato a colmare questa lacuna.
Il fossile chiarisce anche un altro aspetto importante dell´evoluzione negli antichi mammiferi: Gli arti conservati di Juramaia mostrano primi adattamenti a una vita arboricola, stile di vita che nei mammiferi placentali del Mesozoico avrà un grande successo evolutivo.

Fig.1. Fossile e ricostruzione dello scheletro e aspetto di Juramaia sinensis eseguita da Mark A. Klingler del Carnegie Museum of Natural History. Questo mammifero del Giurassico era di piccole dimensioni, il cranio preservato é lungo appena 22 millimetri (la lunghezza completa é sconosciuta per via delle parti mancanti). Dalla dentatura si presuppone che l´animale si cibava d'insetti e piccoli invertebrati, gli arti sono adatti per una vita arboricola e attiva (da LUO et al. 2011).

Fig.2. Ricostruzione della filogenia dei maggiori gruppi di mammiferi, basandosi sulla morfologia dei molari (che mostrano una cresta per la masticazione basale molto ampia a differenza dei mammiferi Metateri) Juramaia è stata collocata alla base dei mammiferi Euteri (da LUO et al.2011).

Bibliografia:

LUO, Z.-X., YUAN, C.-X., MENG, Q.J. & JI, Q. (2011): A Jurassic eutherian mammal and divergence of marsupials and placentals. Nature 476: 442-445

05.08.2010

Pakasuchus: Il "coccodrillo gatto"

Dopo due anni di studi ricercatori dell’Università dell’Ohio hanno pubblicato la descrizione di una nuova specie di coccodrillo che mostra una peculiarità molto "mammaliana".
Le somiglianze ritrovate hanno perfino indotto i paleontologi a designare la specie
con il termine swahili per "gatto” (Paka): Pakasuchus kapilimai (anche se le due specie sistematicamente non centrano nulla – restiamo a osservare se i media generali capiranno il concetto).

Fig.1. Ricostruzione di Pakasuchus kapilimai (National Science Foundation / Zina Deretsky).

Il fossile pressoché completo (soprattutto il cranio) dell'animale è stato scoperto nel 2008 sulle sponde di un fiume in un bacino secondario della Rift Valley africana,
Rukwa Rift Basin nei pressi del lago Tanganica nello stato della Tanzania. I sedimenti fluviali da cui proviene il reperto sono datati a 105 milioni di anni, è hanno restituiti inoltre una grande varietà di altre specie di rettili, dinosauri e pesci (speriamo che in futuro sentiremo altre novità di questo giacimento).

I grandi coccodrilli moderni con i loro denti conici sono perfettamente adattati a catturare, trattenere e trascinare le loro prede, ma non a masticarla e processare il cibo già nella cavità orale. A differenza di essi, la nuova specie mostra molte peculiarità che ricordare tratti di mammiferi, era un animale piccolo e gracile, le placche ossee tipiche dei coccodrilli mostrano una riduzione per minimizzare la massa del corpo e aumentare la sua mobilità e gli arti sono molto snelli in relazione al corpo, ma la più grande sorpresa paleontologica è la complessa dentizione che questa specie aveva sviluppato. Il numero complessivo dei denti è molto ridotto se comparata ai coccodrilli moderni, ma altamente specializzati con una pronunciata conformazione eterodonte - i denti posteriori ricordano dei molari, sono ampi è le loro corone relative combaciano, formando come nei mammiferi delle placche capaci di tritare il cibo.

Fig.2. Cranio di Pakasuchus kapilimai, che in un' primo momento ricorda veramente il cranio di un sinapside, a parte che le aperture del cranio non coincidono (AFP / National Science Foundation / John Sattle).

Questi è altri caratteri pongono la nuova specie tra o relativa al sottoordine dei Notosuchia, un gruppo di “coccodrilliformi” diffuso tra i 110 agli 80 milioni di anni fa sul continente australe di Gondawana e relativi subcontinenti dal Cretaceo in poi.

Uno sbalorditivo esempio di evoluzione convergente - secondo l'ipotesi preliminare formulata in base agli ultimi ritrovamenti, questi rettili si sono adattati sull’emisfero australe alle nicchie che nell’emisfero boreale erano occupati dai mammiferi: piccoli, ma agili predatori specializzati a inseguire e processare piccole prede come insetti e vertebrati di minore stazza.


Bibliografia:

CONNOR et al. (2010): The evolution of mammal-like crocodyliforms in the Cretaceous Period of Gondwana. nature 466: 748-751

07.07.2010

La tigre dai denti a sciabola: Il predatore perfetto si riconosce dalle sue ossa

Fig.1. Una rappresentazione di Smilodon del 1903, esempio del lavoro pionieristico di Charles R. Knight, figura da CHORLTON 1985.

Pochi predatori estinti sono noti al grande pubblicò come la tigre dai denti a sciabola, che viene ritenuta per le sue spettacolari zanne come perfetto esempio di mammifero predatore.
Ma lo studio della struttura e la forma delle zanne ha rivelato che possiedono una sezione ovale, è per questo, a differenza dei felini odierni, sono inadeguato a sopportare le forze di una preda che lotta per liberarsi dal morso del predatore (McHENRY et al. 2007). Secondo questo modello, per evitare una frattura dei canini, era necessario per questi predatori di gestire e immobilizzare la preda il più efficacemente possibile.

Confrontando radiografie della tigre dai denti a sciabola, Smilodon fatalis, del leone americano, Panthera atrox, e di 28 specie di felini moderni, una ricerca pubblicata di recente (MEACHEN-SAMUELS et al. 2010) ha osservato effettivamente che gli omeri degli arti anteriori di S. fatalis erano molto più spessi in relazione alla loro lunghezza, e la corteccia ossea esterna era più sviluppata in confronto a tutti gli altri felini studiati.

Sulla base di queste osservazioni, la ricerca deduce che Smilodon era un predatore potente che differisce dai felini esistenti nella sua maggiore capacità di sottomettere la preda usando gli arti anteriori. Questo sviluppo e la risultante forza maggiore degli arti anteriori faceva parte di un complesso adattamento guidata dalla necessità di minimizzare la durata e l’ entità della lotta per sopraffare la preda, al fine di proteggere gli allungati canini e di posizionare accuratamente il finale morso letale.


Bibliografia:

CHORLTON, W. (ed) (1985): Ice Ages (Planet Earth). Time-Life Books: 176
MEACHEN-SAMUELS, J.A. & VALKENBURGH, B. van (2010): Radiographs Reveal Exceptional Forelimb Strength in the Sabertooth Cat, Smilodon fatalis. PLOS One 5(7): e11412. doi:10.1371/journal.pone.0011412
McHENRY, C.R.; WROE, S.; CLAUSEN, P.D:; MORENO, K. & CUNNINGHAM, E. (2007): Supermodeled sabercat, predatory behavior in Smilodon fatalis revealed by high-resolution 3D computer simulation. PNAS Vol. 104(41): 16010-16015

06.05.2010

Special Feature: The Neandertal Genome

In the 7 May 2010 issue of Science, Green et al. report a draft sequence of the Neandertal genome composed of over 3 billion nucleotides from three individuals, and compare it with the genomes of five modern humans. A companion paper by Burbano et al. describes a method for sequencing target regions of Neandertal DNA. A News Focus , podcast segment, and special online presentation featuring video commentary, text, and a timeline of Neandertal-related discoveries provide additional context for their findings.

"Neandertals, the closest evolutionary relatives of present-day humans, lived in large parts of Europe and western Asia before disappearing 30,000 years ago. We present a draft sequence of the Neandertal genome composed of more than 4 billion nucleotides from three individuals. Comparisons of the Neandertal genome to the genomes of five present-day humans from different parts of the world identify a number of genomic regions that may have been affected by positive selection in ancestral modern humans, including genes involved in metabolism and in cognitive and skeletal development. We show that Neandertals shared more genetic variants with present-day humans in Eurasia than with present-day humans in sub-Saharan Africa, suggesting that gene flow from Neandertals into the ancestors of non-Africans occurred before the divergence of Eurasian groups from each other."

BIBLIOGRAFIA:
GREEN et al. (2010): A Draft Sequence of the Neandertal Genome. Science 328 (5979):710 - 722 doi: 10.1126/science.1188021

03.05.2010

Mutant Mammoth

"We have genetically retrieved, resurrected and performed detailed structure-function analyses on authentic woolly mammoth hemoglobin to reveal for the first time both the evolutionary origins and the structural underpinnings of a key adaptive physiochemical trait in an extinct species. Hemoglobin binds and carries O2; however, its ability to offload O2 to respiring cells is hampered at low temperatures, as heme deoxygenation is inherently endothermic (that is, hemoglobin-O2 affinity increases as temperature decreases). We identify amino acid substitutions with large phenotypic effect on the chimeric ß/d-globin subunit of mammoth hemoglobin that provide a unique solution to this problem and thereby minimize energetically costly heat loss. This biochemical specialization may have been involved in the exploitation of high-latitude environments by this African-derived elephantid lineage during the Pleistocene period. This powerful new approach to directly analyze the genetic and structural basis of physiological adaptations in an extinct species adds an important new dimension to the study of natural selection."

Grazie ad una mutazione genetica anche la fisiologia del mammut era adattata alle condizioni estreme di una glaciazione.

Kevin Campbell e colleghi presso l'Università di Manitoba a Winnipeg, hanno scoperto che in questa specie anche il trasporto di ossigeno nel sangue si era adattato alle basse temperature. I ricercatori hanno analizzato il DNA di un mammut lanoso (Mammuthus primigenius) di 43.000 anni fa e lo hanno confrontato con il materiale genetico di moderni elefanti.

Grazie a una mutazione nel gene che codifica la produzione di emoglobina, i globuli rossi con la proteina modificata potevano facilmente acquisire e rilasciare l’ossigeno necessario anche a basse temperature.
Nei proboscidati moderni e nella maggioranza dei vertebrati con l’abbassamento della temperatura corporea l´energia necessaria per rompere il legame molecolare tra l’emoglobina e l’ossigeno aumenta, rendendo difficile e costoso in termini energetici il rilascio dell’ossigeno al tessuto corporeo, che rischia l’asfissia, soprattutto nelle estremità che si raffreddano velocemente.

Con la diversa configurazione degli aminoacidi, l’emoglobina nel sangue del mammut tendeva a legarsi con meno forza all’ ossigeno e per questo l´energia necessaria per rilasciare l´ossigeno era minore. Il mammut era in grado di sfruttare meglio l’ossigeno anche a basse temperature, senza perdita di energia supplementare per il processo fisiologico descritto, un notevole vantaggio nell’ ambiente freddo di una glaciazione in corso.


BIBLIOGRAFIA:
CAMPBELL, K.L.; ROBERTS, J.E.E.; WATSON, L.N.; STETEFELD, J.; SLOAN, A.M.; SIGNORE, A.V.; HOWATT, J.W.; TAME, J.R.H.; ROHLAND, N.: SHEN, T-J.; AUSTIN, J.J.; HOFREITER, M; HO, C.; WEBER, R.E. & COOPER, A. (2010): Substitutions in woolly mammoth hemoglobin confer biochemical properties adaptive for cold tolerance. Nature Genetics. Published online 02 May 2010: doi:10.1038/ng.574

Immagine introduttiva: Copertina di "Tarzan at the Earth's Core", disegno Frank Frazetta.

01.05.2010

Il Gene, l´Anfibio e il Mammifero

"The western clawed frog Xenopus tropicalis is an important model for vertebrate development that combines experimental advantages of the African clawed frog Xenopus laevis with more tractable genetics. Here we present a draft genome sequence assembly of X. tropicalis. This genome encodes more than 20,000 protein-coding genes, including orthologs of at least 1700 human disease genes. Over 1 million expressed sequence tags validated the annotation. More than one-third of the genome consists of transposable elements, with unusually prevalent DNA transposons. Like that of other tetrapods, the genome of X. tropicalis contains gene deserts enriched for conserved noncoding elements. The genome exhibits substantial shared synteny with human and chicken over major parts of large chromosomes, broken by lineage-specific chromosome fusions and fissions, mainly in the mammalian lineage."


Dawkins lo noterà con soddisfazione, dato che afferma che anche senza un singolo fossile possiamo provare l´evoluzione tramite la genetica - é stato pubblicato uno delle più complete sequenze di genoma di anfibio, più correttamente della specie di rana (Anura) Xenopus tropicalis.
Questa specie possiede 20.000 geni che codificano proteine, e la maggior parte di essi sono disposti nei cromosomi in modo simile a mammiferi (uomo) e uccelli (pollo).
Inoltre la specie Homo sapiens e Xenopus tropicalis hanno in comune l´80% dei geni che causano malattie ereditarie. Questo potrebbe significare che avevamo in comune degli antenati 360 milioni di anni fa?


BIBLIOGRAFIA:
HELLSTEN, U. et al. (2010): The Genome of the Western Clawed Frog Xenopus tropicalis. Science Vol.328(5978): 633 - 636. DOI: 10.1126/science.1183670

Immagine introduttiva: Copertina di "Frogs" del 1972

29.04.2010

Dinosauri surgelati?

Il clima durante il Cretaceo viene spesso immaginato come uniformemente caldo, sia nello spazio che nel tempo, e il dinosauro e il multitubercolato sono sempre (o quasi sempre) rappresentati in una foresta tropicale lussureggiante.
Le interpretazioni vecchie imputavano la temperatura media dal pianeta, molto superiore alle condizioni recenti, a un tasso di CO2 elevato e correnti marine che disperdevano l'energia solare efficacemente sull'intero globo (in parte come risultato della paleogeografia che differisce da quella odierna).
Una vegetazione subtropicale raggiungeva anche latitudini polari e i poli probabilmente non presentavano una coltra di ghiaccio.

Una nuova ricerca (PRICE et al. 2010) però ha messo in rilievo un possibile cambiamento climatico 137 milioni di anni fa. Studiando la composizione isotopica di minerali e fossili dell'isola di Svalbard (oggi situata nel circolo polare) i ricercatori hanno ricostruito un abbassamento della temperatura media dell'acqua marina da 13° a 4-7°. I fossili e le litologie riscontrate sono tipiche di un ambiente caldo-umido di palude e mare poco profondo, ma entro un breve arco di tempo (beninteso in senso geologico di alcuni migliaia di anni) si osserva un deterioramento climatico pronunciato nell' ambiente marino.

Questo studio conferma in parte ricerche più vecchie, che mostrano che la nostra immagine di un mesozoico formato serra con un clima omogeneo, e risultanti provincie faunistiche con poca variabilità climatica, è troppo semplicistico.


I valori isotopici di foraminiferi di 91 milioni di anni fa, proprio durante una fase con elevate temperature globali nel Cretaceo, con temperature dell'oceano che raggiungevano valori ricostruiti di 35-37°, mostrano che grandi quantità di acqua furono esportati dall'oceano (BORNEMANN et al. 2008). Di conseguenza anche il livello degli oceani si abbasso di 25 a 40m. Secondo gli autori della ricerca l'unica possibilità di stoccaggio di cosi grandi quantità di acqua sono ghiacciai.
La ricostruzione assume che sulla terra ferma (i mari rimanevano troppo caldi) durante fasi con un clima fresco (con valori annui in medi più alti, ma con estati relativamente fredde e umide) che potevano durare anche 200.000 anni, si sviluppavano ghiacciai, probabilmente nell'entroterra di continenti o su catene montuose. Si deve anche considerare che lo sviluppo di ghiacciai non dipende solo dalla temperatura, ma anche delle precipitazioni - in un clima globale più caldo anche l'evaporazione, e di conseguenza le precipitazioni possono aumentare, causando paradossalmente l'avanzamento di ghiacciai.

Fig. 2. Paleogeografia semplificata con zone climatiche ricostruite e siti di fossili "polari", tra cui "Dinosaur Cove", che già a quei tempi si trovava nei limiti del circolo polare.

Nel sito di Dinosaur Cove, nel nordest dell’Australia, si possono trovare arenarie e siltiti risalenti al Cretaceo superiore di 100 milioni di anni fa, depositati in una piana alluvionale con sparsi laghi che si estendeva nel rift che si stava aprendo tra l’Australia e l’Antartide. Il clima di questo sito, che ha restituito anche una peculiare fauna e flora, tra cui forse uno dei primi mammiferi placentali denominato Ausktribosphenos e ossa indeterminate di due specie di monotremi, è stato ricostruito grazie agli isotopi di ossigeno delle rocce e fossili di piante.
Il valore della temperatura media annua ottenuto tramite questi due metodi varia tra 0-8°C e i 10°. A sostenere e ampliare questa ricostruzione di un clima temperato a freddo e la geologia e la composizione della flora in generale , che è dominata da conifere, preadattati a condizioni fredde e secche, come risultano durante fasi di gelo. Abbondanti resti e spore di felci e muschi comunque mostrano condizioni che in media annua erano molto umide. La presenza di accumulazioni di strati di foglie per questo sono state interpretate come stagionali fasi in cui piante superiore cessavano la loro crescita – forse in risposta di una stagione fredda o secca, o una combinazione di questi due fattori. I singoli strati di arenarie in questo modello potrebbero rappresentare piene e risultanti alluvioni che scendevano dalle scarpate del rift quando con l’inizio della calda stagione incominciava la fusione dei ghiacci o la neve accumulata.


Con la ricostruzione sempre più dettagliata del paleo clima quello che emerge è che il clima già in passato presentava notevoli variazioni, e che il sistema clima dipende da moltissimi fattori, in parte non ancora compresi dalle scimmie nude che negli ultimi secoli hanno cominciato a giocarci.

BIBLIOGRAFIA:

ICKERS-RICH, P. & RICH, T.H. (1999): I dinosauri polari dell’Australia. L’evoluzione dei vertebrate. Le Scienze Quaderni. No.107

PRICE, G.D. & NUNN, E.V. (2010): Valanginian isotope variation in glendonites and belemnites from Arctic Svalbard: Transient glacial temperatures during the Cretaceous greenhouse. Geology 38: 251-254

BORNEMANN, A.; NORRIS, R.D.; FRIEDRICH, O.; BECKMANN, B.; SCHOUTEN, S.; SINNINGHE-DAMSTE, J.S.; VOGEL, J.; HOFMANN, P. & WAGNER, T. (2008): Isotopic Evidence for Glaciation During the Cretaceous Supergreenhouse. Science Vol. 319 (5860): 189 - 192 DOI: 10.1126/science.1148777

Immagine introduttiva: Copertina di "Turok - Son of Stones" del Marzo 1964

24.04.2010

Low diversity dinosaurs

"Beta diversity is an important component of large-scale patterns of biodiversity, but its explicit examination is more difficult than that of alpha diversity. Only recently have data sets large enough been presented to begin assessing global patterns of species turnover, especially in the fossil record. We present here an analysis of beta diversity of a Maastrichtian (71–65 million years old) assemblage of dinosaurs from the Western Interior of North America, a region that covers 1.5 × 106 km2, borders an epicontinental sea, and spans 20° of latitude. Previous qualitative analyses have suggested regional groupings of these dinosaurs and generally concluded that there were multiple distinct faunal regions. However, these studies did not directly account for sampling bias, which may artificially decrease similarity and increase turnover between regions. Our analysis used abundance-based data to account for sampling intensity and was unable to support any hypothesis of multiple distinct faunas; earlier hypothesized faunal delineations were likely a sampling artifact. Our results indicate a low beta diversity and support a single dinosaur community within the entire Western Interior region of latest Cretaceous North America. Homogeneous environments are a known driver of low modern beta diversities, and the warm equable climate of the late Cretaceous modulated by the epicontenental seaway is inferred to be an underlying influence on the low beta diversity of this ancient ecosystem."

La diversitá dei dinosauri a fine Cretaceo getta un´importante luce sulla modalita della loro estinzione - se improvvisa o graduale.

BIBLIOGRAFIA:
VAVREK, M.J. & LARSSON, C.E. (2010): Low beta diversity of Maastrichtian dinosaurs of North America. PNAS online April 19, 2010, doi: 10.1073/pnas.0913645107


Interview with Dr. Larrson mp3 (3MB)

18.04.2010

T rex: Il re delle sanguisughe

In molti film di avventura é un’immagine ricorrente - il protagonista o una comparsa dopo aver attraversato una palude si toglie con disgusto delle sanguisughe (sottoclasse Hirudinea) dalla pelle. Ma c´e di peggio: mentre questi rappresentanti ectoparasiti normalmente si attaccano sull´ospite solo per un breve tempo, esistono tra gli Hirudinea anche specie che entrano nelle cavità del corpo, tra cui bocca, naso, occhi, ma anche aperture urogenitali e il recto, e sono noti per rimanerci per giorni o perfino settimane.
Mentre molte si queste specie sono opportuniste, alcune si sono adattate a uno specifico ospite, e l´uomo non fa eccezione,con dei parassiti personali. Esempi di infestazione nelle cavità interne di animali e uomini da parte di sanguisughe sono conosciuti da tutti i continenti, anche se si osserva una concentrazione nell´Africa e Asia.


Fig.2. Esempio di sanguisughe che attaccano le cavità nasali (C+D) Myxobdella annandalei e altri orifizi di mammiferi, tra cui occhi (A+B, Dinobdella ferox) da PHILLIPS et al. 2010.

La storia evolutiva di infestazione dei mammiferi, la sistematica e la filogenia di parassiti é ancora poco studiata, sopratutto per la mancanza di fossili di questi animali piccoli a corpo molle.
Un notevole progresso nella ricerca é l´attuale studio del materiale genetico delle specie conosciute.
In una recente ricerca viene presentata una nuova specie di sanguisuga, che infesta le cavità dell´uomo, e ha portato a notevoli risultati.
La specie Tyrannobdella rex ("Re delle terrificanti sanguisughe") é stata descritta dalle cavità nasali di diversi ragazzi peruviani, e raggiunge una lunghezza di 7cm.
Questa specie é unica nel suo genere in molti caratteri anatomici e la presenza sul continente americano sudamericano, di cui é l´unico rappresentante. Solo un´altra specie imparentata, Pintobdella chiapasensis, é stata descritta dal Messico. Ma T. rex differisce in molti punti dalle sanguisughe finora conosciute - possiede a differenza di altre specie (che né possiedono tre disposte a forma di Y) solo una singola "mandibola" con una file di pochi denti, che peró sono particolarmente sviluppati.

Fig.3. Morfologia comparativa di Tyrannobdella rex. A) Fotografia della singola "mandibola" con file di denti (Scala 100micrometri) estesa dall´apertura della "bocca". B) Ventosa anteriore con l´apertura boccale da cui esce la mandibola durante l´alimentazione (Scala 1mm). C) Immagine del profilo degli 8 denti sulla mandibola (Scala 100micrometri).D) Visione laterale della mandibola di un´altra specie di sanguisuga (Limnatis paluda) che mostra il tipico sviluppo dei denti degli Hirudinea - molti, ma piccoli denticoli (Scala 100micrometri) da PHILLIPS et al. 2010.

La distribuzione eterogenea di diverse specie di sanguisuga sulla terra con un simile stile di vita - di cibarsi del sangue nelle cavità di mammiferi- ha fatto pensare che si tratta di un’evoluzione convergente in diversi gruppi di sanguisughe.
Ma la nuova specie mostra caratteri che la collegano a altre specie con lo stesso comportamento, non solo sul continente americano, ma anche nel vecchio mondo. L´analisi effettuata sul materiale genetico conferma i caratteri morfologici e di comportamento - le sanguisughe che mostrano una preferenza per le cavità dei mammiferi si sono differenziati da un comune antenato.

Fig.4. Albero filogenetico ottenuto dallo studio delle sequenze mitocondriali di diverse specie di sanguisughe. Myxobdella, Praobdella e Dinobdella sono dei generi di Hirudinea che infestano l´uomo nel vecchio mondo. La nuova specie T.rex si colloca in questo gruppo e ne sottolinea l´origine monofiletica, da PHILLIPS et al. 2010.

Fig.5. Comune sanguisuga (Hirudo sp.) delle nostre latitudini.

BIBLIOGRAFIA:
PHILLIPS et al. (2010): Tyrannobdella rex N. Gen. N. Sp. and the Evolutionary Origins of Mucosal Leech Infestations. PLoS ONE 5(4): e10057. doi:10.1371/journal.pone.0010057

Immagine introduttiva: "Attack of the Giant Leches" (1959)

16.04.2010

Paleontologia dei vertebrati in Italia

A distanza di 25 anni dalla pubblicazione de "I vertebrate fossili", catalogo della mostra allestita al Palazzo della Gran Guardia a Verona nel 1980, questo volume presenta un panorama aggiornato dello stato delle conoscenze sui vertebrate fossili italiani, i quali, pur essendo relativamente rari nella documentazione paleontologica rispetto ai resti fossili di invertebrate, hanno grandissimo significato paleobiografico, paleoambientale e biostratigrafico.

Fig.1. Copertina

La nuova pubblicazione segue le orme del primo atlante, con un'iconografia accattivante e con reperti raramente segnalati. Purtroppo - da male in peggio in rispetto con il primo atlante- si è deciso di togliere completamente cartine o riferimenti geografici dal testo.


In questi 25 anni le ricerche sui vertebrati fossili hanno avuto uno straordinario sviluppo con il riconoscimento di nuovi taxa, la segnalazione di nuovi depositi, lo sviluppo dell' analisi tafonomia, la ricerca di correlazioni con depositi marini, la definizione si scale biocronologiche dettagliate e la integrazione dei dati paleontologici con quelli isotopici e paleo magnetici, oltre che con datazione radiometriche e geochimiche. Il volume registra puntualmente tutte le novità che sono emerse in questi anni.
I vertebrati fossili sono presentati secondo un ordine cronologico, a partire dal Paleozoico superiore fino al Quaternario e nei singoli capitoli, curati da specialisti nel settore o studiosi che hanno condotto attivamente ricerca sui reperti o luoghi menzionati, sono esposti i risultati delle ricerche condotte sia sui vertebrati marini che continentali di singoli giacimenti o periodi.

I depositi cenozoici risultano straordinariamente ricchi di resti di ambienti, e alcuni dei nuovi siti segnalati presentano un interesse globale sotto l'aspetto paleo ambientale e paleo biologico. I depositi a vertebrati continentali pleistocenici sono ordinati in uno schema biocronologico preciso e ben documentato. Le ricerche sui vertebrati pleistocenici insulari hanno dati interessanti risultati con il riconoscimento di successive fasi di dispersione di "Complessi faunistici" dal continente alle isole.
La descrizione della litologia dei depositi e il richiamo ai resti di altri organismi che frequentemente accompagnano i vertebrati marini tende a ricostruire il quadro ambientale che ha controllato la vita, la morte e i processi di fossilizzazione dei diversi taxa. I frequenti richiami all'affinità tra i taxa presenti in Italia e quelli noti in altre aree geografiche mettono in luce il significato paleo biografico globale di alcuni dei vertebrati fossili italiani e illustrano la successione degli eventi che hanno preceduto la formazione della penisola cosi come è attualmente.

La maturazione di una nuova sensibilità nei confronti dei depositi fossiliferi come documenti della storia del territorio e come monumenti naturali da conoscere e valorizzare, ha cambiato l'atteggiamento dei ricercatori e ha dato luogo a iniziative volte alla tutela, alla valorizzazione e fruizione del patrimonio paleontologico.
Purtroppo non tutte le iniziative finora hanno avuto successo, dato che il mulino burocratico lavora in tempi spesso superiori a quelli geologici.
Ricercatori professionisti spesso sono limitati sia nella risorsa tempo che in quella delle finanze (soprattutto negli ultimi tempi). Per monitorare l'intero territorio per questo la collaborazione con appassionati e dilettanti è essenziale, un fatto trascurato troppo spesso in modo negligente dai ricercatori stessi.
Molte segnalazioni di siti importanti provengono da appassionati raccoglitori di fossili, Si ha voluto sottolineare anche questo aspetto in un'opera per la quale si è scelto di utilizzare, nel rispetto del rigore scientifico, un linguaggio semplice e comprensibile anche da non specialisti e che potrà avere anche un valore educativo stimolando lo spirito di osservazione di qualche appassionato. Per chi ne volesse sapere in più, alla fine dei singoli capitolo viene messo a disposizione una lista essenziale di riferimenti scientifici.

Fig.2.
Fig.3.

Indice del volume:
Introduzione
Cenni di Storia della Paleontologia dei vertebrati in Italia

Ricerca, recupero e progetti di valorizzazione
Insularità e vertebrati terrestri endemici
PALEOZOICO E MESOZOICO

Il Permo-Triassico marino - I siti minori
I vertebrati continentali del Paleozoico e Mesozoico

Il Triassico medio delle Prealpi Lombarde
Il Norico marino dell'Italia Settentrionale

Il Giurassico marino
Il Cretaceo marino
IL PALEOGENE

I vertebrati marini
I vertebrati continentali
IL MIOCENE
I vertebrati marini I vertebrati della Pietra Leccese
Le terre emerse del Miocene
I vertebrati continentali
Le associazioni a vertebrati continentali del Messiniano
IL PLIO-PLEISTOCENE

I vertebrati marini

-I vertebrati Marini del Fiume Marecchia
-Il giacimento di Orciano (Pisa)
Le faune a mammiferi del Plio-Pleistocene
-L'area di Villafranca d'Asti e L' Unita Faunistica di Triversa

-I mammiferi fossili del ramo sud-occidentale del Bacino Tiberino, Umbria
-Poggio Rosso (Valdarno superiore)
-I vertebrati fossili delle ligniti di Pietrafitta, Bacino di Tavernelle/Pietrafitta

-Torre in Pietra

-La Polledrara di Cecanibbio (Roma)

-La Caverna Generosa: un tipico deposito di Grotta ad Ursus spelaeus

I VERTEBRATI DELLE ISOLE
La Sardegna
La Sicilia

Le isole minori

BIBLIOGRAFIA:
BONFIGLIO, L. (2005): Paleontologia dei vertebrati in Italia – Evoluzione biologica, significato ambientale e paleogeografia. Museo di Storia Naturale - Verona.
FERRETTI, A. (2005): Paleolibreria. PaleoItalia 13, Novembre 2005.

01.04.2010

DNA rivela che l'estinzione del mammut è stata improvvisa

L'isola artica di Wrangel era l'ultimo rifugio del mammut (Mammuthus primigenius), su 7.600 chilometri quadrati sperduti a nord della Siberia sopravisse fino a 3.700 anni fa una piccola popolazione di questa specie.
L'isola durante le fasi glaciali faceva parte della terraferma, ma con la fusione del ghiaccio e l'innalzamento del livello marino fu isolata dalla Siberia.

Ricercatori dell'Università di Stoccolma ora grazie all'analisi genetica di resti fossili recuperati hanno scoperto che gli ultimi mammut si sono estinti in breve tempo. Da ossa e denti di complessivamente 36 individui datati a diverse epoche, dall'isolamento dell'isola 9.000 anni fa fino al periodo di estinzione, è stato estratto il materiale genetico, e comparato con 6 animali datati a 12.000 fino a 36.000 anni fa.


La diversità genetica riscontrata mostra che la popolazione si era sviluppata da un ceppo ridotto di animali, rimasti intrappolati sull'isola quando il livello del mare si innalzo. Nientedimeno la popolazione era stabile dal punto genetico e la diversità genetica non era diminuita dall'isolamento in poi. Seconda la ricerca per questo consanguineità o malattie ereditarie possono essere escluse come motivo dell'estinzione finale, resta come spiegazione solo un fatto "catastrofico" che in breve tempo ha portato all'estinzione la popolazione superstite, come un rapido cambiamento climatico o l'arrivo dell'uomo sull'isola sperduta.


"During the Late Pleistocene, the woolly mammoth (Mammuthus primigenius) experienced a series of local extinctions generally attributed to human predation or environmental change. Some small and isolated populations did however survive far into the Holocene. Here, we investigated the genetic consequences of the isolation of the last remaining mammoth population on Wrangel Island. We analysed 741 bp of the mitochondrial DNA and found a loss of genetic variation in relation to the isolation event, probably caused by a demographic bottleneck or a founder event. However, in spite of ca 5000 years of isolation, we did not detect any further loss of genetic variation. Together with the relatively high number of mitochondrial haplotypes on Wrangel Island near the final disappearance, this suggests a sudden extinction of a rather stable population."

BIBLIOGRAFIA:

NYSTRÖM, V. et al. (2010): Temporal genetic change in the last remaining population of woolly mammoth. Proceedings of teh Royal Society- Biological Sciences. Published online March 31, 2010: doi: 10.1098/rspb.2010.0301