19.11.2011

L´estinzione C/P: tra Chicxulub e Trappi del Deccan

Fino a circa cinquanta anni fa il limite Cretaceo-Paleocene (C/P), famoso per l´estinzione di massa che decretò la fine di alcuni dinosauri, era in sostanza sconosciuto per via della mancanza di una successione stratigrafica completa. 
Nel decennio 1960-1970 il geologo americano Walter Alvarez studio nella gola del Bottaccione (nei pressi di Gubbio, Umbria) una successione di calcari e marne - la formazione della "Scaglia rossa" - e cerco di calcolare la velocità di deposizione di questi strati torbiditici del Cretaceo - Paleocene.

Fig.1. La transizione Cretaceo - Paleocene nella formazione della "Scaglia rossa" (rotata di 90°, il Paleocene si trova di sopra).

Durante la ricerca sulla concentrazione di micro-meteore nei sedimenti scopri un'anomalia nella concentrazione di elementi rari, come per l´esempio l´Iridio. La concentrazione era talmente elevata che era difficile spiegare il fenomeno solo con un'ipotetica fluttuazione del tasso di sedimentazione della Scaglia Rossa. In un primo momento Walter, insieme al padre e fisico (e premio nobel) Luis W. Alvarez, propose una supernova e un incremento della caduta di polvere cosmica sulla terra come fonte dell´Iridio, ma ben presto cambio idea, formulando l´ipotesi di un impatto di meteorite metallico sulla terra. Per avvalorare l´ipotesi comunque mancavano successive prove e soprattutto il punto d´impatto. Tra il 1981 e il 1993 ricerche geofisiche scoprirono un immenso cratere d´impatto (con un diametro di 180 chilometri) nelle profondità della penisola dello Yucatan - denominato Chicxulub. Datazioni rivelarono che aveva l´età giusta per coincidere sia con l´incremento di Iridio, sia per spiegar l´estinzione di fine Cretaceo (il materiale fuso durante l´impatto e recuperato durante le trivellazioni fu datato a 65, 07 + -0,1 Ma). 
L´impatto di Chicxulub (e altri) è volentieri visto nei media e nel collettivo generico come l´unico fattore plausibile per spiegare l´estinzione alla fine del Cretaceo, ma durante questa transizione sono state osservate molte altre e profonde variazioni sulla terra - cambiamenti climatici, fluttuazione del livello marino e un intenso vulcanismo.

Secondo lo scenario proposto l´impatto uccise prima per via diretta (calore e onde di pressione sia nel cielo sia nel mare) e poi in modo indiretto: le polvere e i gas sprigionati dall´esplosione modificarono il clima, causando una piccola era glaciale, inoltre oscurarono il cielo, rendendo fotosintesi impossibili a tutte le piante. Dopo la morte delle piante ben presto tutte le catene trofiche collassarono - per primo morirono gli erbivori, seguiti ben presto dai piccoli carnivori e infine i grandi predatori. Ci sono diversi problemi con questa ricostruzione, che si basa più su considerazioni teoretiche che sull'evidenza dei fossili.
L´estinzione di fine Cretaceo fu sorprendentemente selettiva: nei mari si estinse il nannoplancton, foraminiferi planctonici, molluschi come le ammoniti e i grandi rettili. Comunque nello stesso ambiente sopravissero i foraminiferi bentonici, le diatomee, il gruppo dei radiolari e gran parte dei bivalvi e soprattutto i pesci. Sembra difficile spiegare come organismi autotrofi come i radiolari sopravissero a un ipotetico inverno nucleare e una notte post- apocalittica; com'è difficile spiegare perché pesci, che hanno bisogno del fitoplancton, riuscirono a trovare abbastanza cibo quando i rettili marini perirono.

Inoltre l´esatta datazione e processo dell´estinzione dei vari gruppi di organismi è incerta - non si sa esattamente se un determinato gruppo si è estinto esattamente 65 milioni di anni fa o forse già prima. 
Da diversi anni il gruppo di ricerca attorno all´americana Gerta Keller ha messo in dubbio le datazioni proposte, basandosi soprattutto sul processo di estinzioni di foraminiferi. Keller ha proposto che già prima di Chicxulub molte specie di foraminiferi mostravano un declino o erano già estinte. Inoltre secondo l´interpretazione di una stratigrafia nei pressi di Brazos (Texas) ci furono più di un singolo impatto nel Cretaceo superiore, che comunque non avevano quasi nessun effetto sulle comunità di fossili studiate.

In una nuova ricerca condotta su sedimenti e fossili dell´India il gruppo di lavoro ha proposto una via di mezzo per spiegare sia il declino precedente e considerando possibili effetti di un impatto.
I Trappi del Deccan sono un territorio igneo localizzato nella parte centro occidentale dell'India, e rappresenta una delle più estese zone vulcaniche del pianeta. Sono datati a un´età di 60 a 65 milioni di anni -  è considerate per questo da molti ricercatori come alternativa all´impatto per spiegare l´estinzione di fine Cretaceo. Comunque l´esatta cronologia dei Trappi rimaneva un mistero - poiché un periodo di cinque milioni di anni sembrava troppo lungo per spiegar una (dal punto geologico) improvvisa estinzione di massa. 

Solo negli ultimi anni nuove tecnologie hanno reso possibile  capire meglio il processo di formazione: I Trappi del Deccan si sono formati in tre singole fasi, iniziate 67,5 milioni di anni fa. La seconda fase eruttiva e quella più forte è responsabile di circa l´80% della massa complessiva dei depositi vulcanici - ed è proprio questa fase che coincide con la maggiore estinzione dei foraminiferi studiati. L´ultima (la terza) fase eruttiva, la più debole, è datata a 300.000 anni dopo il picco complessivo dell´attività vulcanica (figura 2 secondo KELLER).
Secondo il nuovo scenario la prima fase di attività vulcanica ha ridotto notevolmente il tasso dell´evoluzione dei foraminiferi e indebolito le popolazioni esistenti, anche se non ha causato un'estinzione di massa. La seconda fase, quella più forte, ha colpito ecosistemi indeboliti dalle eruzioni precedenti - è proprio in questo periodo che molte specie studiate scompaiono nel record fossile. Dopo questa estinzione i mari furono lentamente ripopolati da specie opportunistiche - ma i sedimenti mostrano anche un livello ricco di Irido - occorre una seconda estinzione di massa che termina con la terza fase vulcanica. 

Fig.3. I cambiamenti nella comunità di foraminiferi studiati - si osservano delle estinzioni di singole specie, ma anche un generale indebolimento e rimpicciolimento delle specie superstiti (secondo KELLER)

Il gruppo di ricerca non nega completamente il ruolo di vari impatti di asteroidi sulla biodiversità, ma propone una catastrofe combinata per spiegare meglio la cronologia e selettività dell´estinzione Cretaceo-Paleocene. L´incremento dell´attività vulcanica indebolisce per migliaia di anni prima dell´impatto (gli impatti?) gli ecosistemi della terra - è durante questo periodo che molti organismi non riescono ad adattarsi alle nuove condizioni. I gas e le ceneri hanno modificato il clima, i livelli dei mari si abbassano, forse anch´essi per via dell´intensa attività magmatica del pianeta, infine l´impatto di asteroide - non forte come proposto in passato ma che colpisce in un momento critico - che decreta la fine di molti gruppi di organismi.

Bibliografia:

ALVAREZ, W., ALVAREZ, L.W., ASARO, F. & MICHELl, H.V. (1979): Anomalous iridium levels at the Cretaceous/Tertiary boundary at Gubbio, Italy: Negative results of tests for a supernova origin. In: Cretaceous-Tertiary Boundary Events Symposium; II. Proceedings (Eds W.K. Christensen and T. Birkelund), pp. 69. University of Copenhagen
ALVAREZ, L.W., ALVAREZ, W., ASARO, F. & MICHEL, H.V. (1980): Extraterrestrial cause for the Cretaceous-Tertiary extinction. Science 208: 1095-1108
ALVAREZ, W. (2009): The historical record in the Scaglia limestone at Gubbio: magnetic reversals and the Cretaceous-Tertiary mass extinction. Sedimentology 56: 137-148
BAKER, V.R. (1998): Catastrophism and uniformitarianism” logical roots and current relevance in geology. In: BLUNDELL, D. J. & SOTT, A. C. (eds.) Lvell: the Past is the Key to the Present. Geological Society, London, Special Publications, 143: 171-182
FRENCH, B.M. (2003): Traces of Catastrophes: A handbook of Shock-Metamorphic Effects in Terrestrial Meteorite Impact Structures. Lunar and planetary Institute
KELLER, G.; ABRAMOVICH, S.; BERNER, Z. & ADATTE, T. (2009): Biotic effects of the Chixulub impact, K-T catastrophe and sea level change in Texas. Paleogeography, Paleoclimatology, Paleoecology 271:52-68
SCHULTE et al. (2010): The Chicxulub Asteroid Impact and Mass Extinction at the Cretaceous-Paleogene Boundary. Science 327(5970): 1214 – 1218

08.11.2011

L´arte rupestre tra fauna preistorica e genetica

L´arte rupestre preistorica dell´Europea è molto ricca, più di 100 siti sono conosciuti, perlopiù in Spagna e Francia, con più di 4.000 rappresentazioni di animali. Più di un terzo di queste raffigurazioni mostrano cavalli in diversi stili artistici, da disegni dettagliati e molto naturalistici a forme astratte o semplici sagome disegnate con le dita sul suolo fangoso. La caverna di Pech Merle (Francia meridionale) è particolare dato che un grande disegno su una parete di roccia mostra macchie nere su sfondo bianco, sia dentro sia al di fuori della sagoma di due cavallini. Il disegno, datato a 25.000 anni, fu interpretato perlopiù come rappresentazione simbolica di significato conosciuto, poiché il particolare disegno di macchie nere e bianche é conosciuto solo da animali addomesticati da almeno 10.000 anni. 

Fig.1. Diverse rappresentazioni di cavalli nell´arte rupestre, esempi delle caverne di Lascaux, Chauvet e Pech Merle. Secondo analisi genetiche è possibile che tutte le raffigurazioni siano state ispirate da livree di animali reali - esempio di cavallo di przewalski e moderne razze di cavallo (immagine presa da PRUVOST et al. 2011).

Una nuova ricerca genetica ha ora rilevato che l´artista potrebbe essersi comunque ispirato ad animali reali. Un gruppo di ricercatori tedeschi e inglesi ha analizzato il DNA recuperato da trentuno resti fossili di cavalli, proveniente da tutta l´Eurasia e datati da 20.000 a 2.000 anni fa. Secondo i profili genetici ricostruiti diciotto cavalli avevano una pelliccia chiara, 7 erano scuri, ma 6 mostrano una mutazione genetica che causava una pelliccia a macchie bianche e nere. Le macchie bianche e nere erano particolarmente diffuse tra i resti fossili provenienti dall´Europa dell´est e ovest, dei dieci esemplari studiati quattro mostrano la particolare mutazione. Secondo i ricercatori è possibile che questa mutazione e livrea fossero molto più frequenti durante le fasi glaciali nella popolazione equina europee, poiché provvedeva una sorta di mimetismo nella tundra coperta da neve. Dopo i 14.000 anni la particolare varietà divenne molto rara, finche é stata riscoperta da moderni allevatori.
Comunque le raffigurazioni nell´arte rupestre, anche se fossero state ispirate dal mondo naturale, contengono anche molti particolari spirituali e un forte simbolismo. Le macchie di Pech Merle non sono solo distribuite sugli animali, ma anche in file attorno alla testa e il corpo dei due cavallini, con tanto d'impronte di mane umane. Il significato di questa composizione rimane un mistero.

Bibliografia:

PRUVOST, M. et al. (2011): Genotypes of predomestic horses match phenotypes painted in Paleolithic works of cave art. Proceedings of the Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America.

04.11.2011

La Toscana: Terra di balene e vermi mangia-ossa

"They say the sea is cold, but the sea contains the hottest blood of all,
and the wildest, the most urgent.
"
"Whales Weep Not!" D.H. Lawrence (1885-1930)

Gli abissi marini sono stati spesso comparati con un deserto in cui solo occasionalmente si trovano delle oasi - campi idrotermali in cui sorgenti di acqua bollente offrono abbastanza energia da alimentare un ecosistema, oppure le carcasse in decomposizione di grandi animali marini.
I processi tafonomici in mare aperto differiscono notevolmente da quelli osservabili vicino alla costa o in acque poco profonde - anche se purtroppo ancora poco si conosce sui fattori che gli influenzano - soprattutto se si tratta di gigantesche carcasse, come per esempio di balena. Si presume che la decomposizione di un corpo cosi grande è influenzata in una prima fase dalla profondità della colonna d´acqua e la pressione idrostatica, due fattori che influenzano il tempo in cui la carcassa galleggia nell´acqua. Una volta raggiunto il fondo, la decomposizione della balena segue una successione generale con diverse ondate di animali spazzini e saprofagi. La carne è rapidamente rimossa da grandi animali, come per esempio squali. I resti, come tessuto adiposo e cartilagine, sono colonizzati più lentamente  da organismi che si cibano sia dei resti organici che dal denso tappeto di batteri che si sviluppa su di essi. Dopo alcuni mesi rimangono solo le ossa, anch´esse sono colonizzate da una comunità di specie molto interessante è specializzata per quest'ambiente estremo composta principalmente da batteri, molluschi e policheti.
Gli esempi di grandi balene morte studiate oggigiorno sono abbastanza rari e imprese difficili (al minimo serve un sottomarino), ma il record fossile, soprattutto del Neogene, ha restituito materiale molto interessante e di relativamente facile accesso.

Già nel 2010 una ricerca condotta su scheletri di balena fossile ritrovati nel Pliocene toscano (per esempio localitá come Ponte a Elsa, Castelfiorentino, Castellarano e Castell' Arquato) ha mostrato che già in passato esisteva una successione di organismi sulle carcasse di balene e questa successione dipendeva in parte dalla profondità in cui giaceva la balena. 
Un´altra ricerca pubblicata nello stesso anno ha descritto su ossa fossili di un giacimento spagnolo degli icnofossili - Trypanites ionasi - che sono stati attribuita a delle tane di un organismo comparabili al moderno genere di "vermi-mangia ossa" Osedax (gruppo di animali descritto appena nel 2002 nelle ossa di balena ritrovati sul fondo della baia di Monterey, California). Osedax e un policheto che non possiede bocca o sistema digerente, ma assorbe sostanze nutritive grazie a delle protuberanze a forma di radice che entrano all´interno delle ossa.

Fig.1. Ricostruzione dell´organismo che ha prodotto l´icnofossile Trypanites ionasi (immagine da MUNIZ et al. 2010), basandosi sopratutto sull´anatomia del moderno genere Osedax.

Una ricerca pubblicata recentemente nella rivista Historical Biology ha descritto simili tane su un reperto proveniente dalla Toscana - il primo esempio d'icnofossile di "vermi-mangia ossa" descritto dalla regione dal Mediterraneo, e il terzo esempio in assoluto nel record fossile (a parte il materiale spagnolo esistono resti di ossa con delle tracce ritrovate nei pressi della costa dello stato di Washington).
L´icnofossile, composto di un bulbo all´interno delle ossa, è stato scoperto grazie a delle analisi di ossa con il metodo della tomografia computerizzata eseguite all´University of Leeds e il Natural History Museum in Inghilterra.

Fig.2. Scan di tomografia computerizzata con ricostruzione dell´organismo che ha prodotto le tane sulle ossa di balene del Pliocene toscano (HIGGS et al. 2011).

La scoperta è interessante perche amplifica notevolmente l´areale di distribuzione dei vermi mangia-ossa nel passato (6-3 milioni di anni). Inoltre è verosimile secondo i ricercatori che ancora oggi negli abissi del Mediterraneo esistano specie non ancora descritte di questo gruppo di policheti.

Bibliografia:

ALLISON, P.A.; SMITH, C.R.; KUKERT, H.; DEMING, J.W. & BENNETT, B.A. (1991): Deep-water taphonomy of vertebrate carcasses: a whale skeleton in the bathyal Santa Catalina Basin. Paleobiology 17(1): 78-89
DOMINICI, S.; CIOPPI, E.; DANISE, S.; BETOCCHI, U.; GALLAI, G.; TANGOCCI, F.; VALLERI, G. & MONECHI, S. (2009): Mediterranean fossil whale falls and the adaption of molluscs to extreme habitats. Geology 37(9): 815-818
HIGGS, N.D.; LITTLE, C.T.S.; GLOVER, A.G.; DAHLGREN, T.G.; SMITH, C.R. & DOMINICI, S. (2011): Evidence of Osedax worm borings in Pliocene (3 Ma) whale bone from the Mediterranean. Historical Biology
MUNIZ, F.; DE GIBERT, J.M. & ESPERANTE, R. (2010): First trace-fossil evidence of bone-eating worms in Whale carcasses. Palaios 25: 269-273

03.11.2011

Cronopio dentiacutus

Da sedimenti fluviali del Cretaceo é stata descritta una nuova specie di mammifero mesozoico, Cronopio dentiacutus, il cui nome fa riferimento ai Cronopio - creature fantastiche descritte nei saggi dell´autore argentino Julio Cortázar - e una caratteristica peculiare di questi mammiferi driolestidi (una linea evolutiva estinta di mammiferi) - un gruppo di sviluppati canini a forma di sciabola.  
Cronopio era un insettivoro di piccole dimensioni, con una lunghezza stimata di 10-15cm, che viveva nei pressi di un fiume con sponde ricoperte da una lussureggiante vegetazione. I resti fossili sono stati scoperti nel 2006 sui greti del fiume La Buitrera nella provincia del Rio Negro (Patagonia) e comprendono due crani e una mandibola ben conservata - i resti più completi di driolestidi finora studiati. 

 Fig.1. I resti fossili di Cronopio dentiacutus, immagine tratta da ROUGIERet al. 2011.

Questi fossili aiutano anche a colmare una lacuna nel record fossile dei mammiferi. I driolestidi erano conosciuti dall'America settentrionale ed Europa occidentale, i resti sparsi - soprattutto in forma di denti datati al Cretaceo - dal continente sudamericano sembravano indicare che qui si erano sviluppate particolari forme endemiche. I caratteri di Cronopio mostrano delle affinità con gruppi del Giurassico della Laurasia, ma anche importanti caratteri che si sono sviluppati nell´isolamento dopo la prima separazione del Gondwana dalla Laurasia (Giurassico medio), e in secondo luogo durante la separazione del continente sudamericano e la frammentazione del Gondwana (tardo Cretaceo). 

Bibliografia: 

ROUGIER, G.W.; APESTEGUIA, S. & GAETANO, L.C. (2011): Highly specialized mammalian skulls from the Late Cretaceous of South America. Nature 479: 98-102

15.10.2011

Le origini dei roditori sudamericani

Un'intera carrellata di nuove specie di roditori fossili é stata descritta dal Perù - l´associazione recuperata grazie a delle segnalazioni del geologo Bernhard Kummel nel lontano 1948 comprende i più antichi rappresentanti sudamericani del gruppo Caviomorpha - una piccola sensazione.
Kummel aveva menzionato che sulle sponde del fiume Ucayali si possono trovare diversi fossili, i ricercatori sono riusciti a localizzare il sito e nei sedimenti datati a 41 milioni di anni hanno estratto minuscoli denti che sono stati attribuiti a tre nuove specie: Cachiyacuy contamanensis (il cui nome è basata sulla regione del Contamana), Cachiyacuy kummeli (dedicata a Kummel) e Canaanimys maquiensis (per via del sito fossilifero). Inoltre sono stati trovati denti che sembrano rappresentare due generi già descritti nel 2004 dal Perù -  Eobranisamys ed Eospina - ma di cui mancavano informazione sulla età dei fossili. Il sito ha restituito anche resti fossili di marsupiali, di un armadillo e mammiferi ungulati, resti che però sono troppo frammentati perché siano identificate a livello di specie.

La scoperta ha importanti implicazioni per capire l´evoluzione dei roditori sudamericani, che mostrano molte affinità a quelli del continente africano. Basandosi su siti di fossili datati dai 32 ai 30 milioni di anni nel Chile e Patagonia/Argentina si può assumere che questo gruppo sia migrato dall´Africa prima nella parte settentrionale del continente sudamericano e poi abbia colonizzato il resto del Sudamerica.

Fig.1. Filogenia dei roditori asiatici -  africani - sudamericani, secondo ANTOINE et al. 2011.
Resta l´enigma come gli antenati dei moderni roditori sudamericani siano riusciti ad attraversare l´oceano Atlantico (che ha cominciato ad aprirsi nel Triassico, 200 milioni di anni fa). Sono possibili due scenari - una migrazione lunga su terre emerse attraverso l´Africa, l´Europa e l´America settentrionale, o la dispersione casuale d'individui su "zattere" naturali, che hanno solcato l´oceano Atlantico primordiale - una traversata barriera - ma che a quei tempi non era ampio come nei giorni nostri.

Bibliografia:

ANTOINE, P.-O. et al. (2011): Middle Eocene rodents from Peruvian Amazonia reveal the pattern and timing of caviomorph origins and biogeography. Proceedings of The Royal Society: 1-8

07.09.2011

L´ultimo tilacino

 Riassunto dell´articolo originale pubblicato su Scientific American
" September 7, 1936: The last Thylacine"

Il 7 settembre del 1936 muore nello zoo di Hobart l´ultimo esemplare accertato di tilacino (Thylacinus cynocephalus), grande predatore marsupiale endemico dell´isola di Tasmania. Leggende metropolitane gli attribuiscono il nome di Benjamin (non esiste nessun documento scritto che confermi una denominazione dell´animale, neanche il sesso è accertato) e che mori di depressione. Cinquanta anni dopo la specie fu ufficialmente dichiarata estinta e il 7 settembre è tuttora ricordato in Australia come "National Threatened Species Day".
Le cause principali dell´estinzione del tilacino sono moltipliche: una popolazione isolata e di numero limitato, la caccia, la distruzione dell'habitat naturale e concorrenza con altri predatori sull´isola.

Fig.1. Una fotografia del 1921 mostra il tilacino come predatore feroce e abituale di pecore e polli, in verità questo suo ruolo è disputabile.  Cronache del tempo da parte di naturalisti parlano del tilacino come un predatore (al massimo) occasionale. Una ricerca pubblicata di recente conferma che l´animale si era evoluto per cacciare prede più piccole della sua mole. Sta di fatto che l´ultimo esemplare ucciso nel maggio 1930 fu ucciso in un pollaio.

L´estinzione é rapida: Nel 1888 il governo locale promette una ricompensa di 1£ per ogni adulto abbattuto. All´inizio del XX secolo gli esemplari uccisi e le ricompense pagate diminuiscono nel corso di pochi anni, probabile segno che la popolazione stava collassando.

Fig.2. Ricompense per tilacini abbattuti pagate dal 1888 al 1912, dati tratti da GUILER 1985.

Nel 2008 il tilacino è ritornato - almeno in parte: DNA estratto da tessuti conservati in musei è stato introdotto in cellule di topo. Nell´embrione che si è sviluppato alcuni geni responsabili per il tessuto delle ossa si sono effettivamente attivati. 
Comunque voci ottimistiche e sensazionali che parlavano di una resuscitazione di un esemplare clonato di tilacino entro il 2010 sono state smentite dal tempo e le difficoltà tecnologiche -   il progetto è stato abbandonato.

Bibliografia:

GUILER, E.R. (1985): Thylacine: The Tragedy of the Tasmanian Tiger, Melbourne. Oxford University Press: 23-29
OLSEN, P. (2010): Upside Down World: Early European Impressions of Australia's Curious Animals. National Library of Australia: 240
OWEN, D. (2003): Thylacine - The tragic tale of the Tasmanian Tiger. Allen & Unwin: 228

05.09.2011

Coelodonta thibetana e Megafauna

Una nuova specie di rinoceronte fossile descritta nella rivista Science aiuterà a ricostruire la storia evolutiva della Megafauna del Pleistocene. Molti caratteristici animali della tundra dell´era glaciale, tra cui il rinoceronte lanoso, il mammut o il cervo gigante, sono stati considerati specie autoctone dell´Eurasia, evolutosi in risposta ai cambiamenti climatici durante il Pleistocene.

I resti fossiliferi della nuova specie Coelodonta thibetana sono stati scoperti nel 2007 in sedimenti Pliocenici (ca. 3,7 milioni di anni) del bacino di Zanda sull'altopiano Tibetano. Il cranio di questa specie mostra alcune particolarità che sono state associate a una vita in ambienti freddi e con precipitazioni nevose.

- I molari hanno una corona alta, adatti a una dieta a base di piante dure come l´erba che caratterizza le steppe asiatiche.

- La base del (falso) corno del rinoceronte è appiattita e il corno stesso probabilmente era curvato in avanti e si espandeva sopra il muso. Questa particolare struttura potrebbe essere stata usata come una pala per liberare il suolo dalla neve - un simile carattere è conosciuto dalla specie Pleistocenica (ca. 2 milioni di anni) di Coleodonta antiquitatis, il comune rinoceronte lanoso dell'iconografia sull´era glaciale.

Questi caratteri erano in principio un adattamento a una vita nella steppa dell´altopiano, che si rivelarono favorevoli durante il raffreddamento del clima globale. Dall´altopiano il genere Coleodonta si diffuse verso la regione dell´odierna China con la specie Coelodonta nihowanensi,  verso la Siberia  con la specie Coelodontia tologoijensis e verso l´Asia e l´Europa con la specie Coleodonta antiquitatis.

Fig.1. Distribuzione geografica delle specie di Coelodonta secondo DENG.

L´associazione fossilifera a cui appartiene C. thibetana include più di 23 specie di mammiferi, tra cui alcune relative a delle moderne specie, come la  pecora azzurra nana (Pseudois schaeferi), il leopardo delle nevi (Panthera uncia), l'antilope tibetana (Pantholops hodgsonii) e il tasso (Meles sp.), ma anche specie estinte come Hipparion.
Un'associazione interessante, che include specie associate a steppe asciutte e fredde a specie di montagna e di distribuzione generale. La fauna della tundra pleistocenica probabilmente era un'associazione unica, che comprendeva animali che oggi troviamo nella tundra artica (fredda e umida) e altre specie adatte a un clima di steppa (fredda e secca). Durante il raffreddamento globale del Pleistocene questi due ecosistemi si avvicinarono geograficamente, e con essi le loro specie caratteristiche che formarono un'unica, oggi estinta, fauna.

Bibliografia:

DENG, T.; WANG, X.; FORTELIUS, M.; LI, Q.; WANG, Y.; TSENG, Z.J.; TAKEUCHI, G.T.; SAYLOR, J.E.; SÄILÄ, L.K. & XIE G. (2011):  Out of Tibet: Pliocene Woolly Rhino Suggests High-Plateau Origin of Ice Age Megaherbivores. Science Vol.333 (6047): 1285-1288

01.09.2011

Giustizia tardiva per il Tilacino

"Alcuni dei pastori affermano che uno di questi animali uccide centinaia di pecore in un tempo molto breve, ed esistono …[]… notizie che uomini sono stati attaccati da loro ... []"
Gerard Krefft, 1871.

"Il tilacino uccide le pecore, ma limita il suo attacco a una alla volta, ed è quindi in nessun modo distruttivo come un gruppo di cani domestici diventati selvatici o come il Dingo dell'Australia, che causano distruzione in una singola notte. Alte ricompense sono state tuttavia sempre date ai proprietari di pecore per la loro uccisione e dato che oggigiorno ogni pezzo di terra è occupato, è probabile che in alcuni anni quest'animale, talmente interessante per lo zoologo, si estinguerà; e ora estremamente raro, anche nei luoghi più remoti  e meno frequentati dell´isola."
John West, 1850.

Fig.1. Il Tilacino, in una raffigurazione da parte di Joseph Matias Wolf del 1861

Il Tilacino (Thylacinus cynocephalus) era conosciuto durante il XIX secolo sotto vari nomi ai coloni dell´isola di Tasmania: lupo marsupiale, lupo-zebra, iena-opossum, tigre-bulldog, tigre marsupiale, pantera o Dingo della Tasmania - nomi che enfatizzano che l´animale era considerato un pericoloso predatore - soprattutto di pecore, animali importati che costituivano la base dell´economia dell´isola.
Il primo tilacino avvistato dai esploratori europei fu descritto nel 1792 da un marinaio come un "grande cane, di colore bianco e nero e apparenza di bestia feroce". Il primo esemplare ucciso risale a marzo 1805. Ritenuto animale nocivo e pericoloso, fu cacciato senza tregua fino alla seconda meta del XIX / inizo XX secolo, quando i numeri degli animali abbattuti e le taglie pagate diminuirono notevolmente, indicando che la popolazione stava collassando. L´ultimo esemplare confermato morirà il 7 settembre del 1936 nello zoo di Hobart.

Una nuova ricerca (ATTARD et al. 2011) sembra confermare le - al tempo inutili - avvertenze di West che il Tilacino non era un predatore abituale di pecore. La mandibola del muso allungato si poteva aprire con un angolo massimo di 120 gradi - impressionante - ma la struttura era inadatta e troppo debole per attaccare grandi prede. Basandosi su modelli di biomeccanica i ricercatori hanno simulato le forze esercitate sul cranio di Tilacino durante i movimenti di predazione e masticazione. Secondo i risultati ottenuti il Tilacino con il suo cranio allungato e fragile si era adattato per catturare prede piccole e veloci, come specie di opossum o piccole specie di canguro (di cui resti furono ritrovati nel primo esemplare ucciso).

La ricerca potrebbe anche spiegare l´estinzione "improvvisa" del Tilacino nella seconda meta del XIX secolo. Il Tilacino era specie già rara quando la Tasmania fu colonizzata all´inizio del secolo (alcune stime parlano di una populazione di 5.000 individui), la caccia indiscriminata impattó ulteriormente su di una popolazione già ridotta. Il crollo netto nei numeri degli esemplari uccisi (almeno 2.000) nella seconda meta del XIX secolo fu imputato in parte a un'epidemia che colpiva gli animali superstiti, fortemente indeboliti nel loro sistema immunitario da una diminuzione drastica della loro variabilità genetica.

Sulla base dei nuovi risultati e la dieta specializzata del Tilacino si può ipotizzare che anche senza caccia la distruzione dell'habitat e la conseguente diminuzione dell´areale della specie erano sufficienti per portare questo animale all´orlo dell´estinzione. Incapace di adattarsi a nuove prede, in forte concorrenza con altri grandi predatori, come il Diavolo della Tasmania, con una popolazione debole, il Tilacino si estinse nell´arco di pochi decenni, anche se alcuni criptozoologi non vogliono far morire la speranza.


Bibliografia:

31.08.2011

Juramaia sinensis: fossile aiuta a colmare lacuna evoluzionistica

Uno scheletro incompleto ritrovato nella provincia di Liaoning (nord est China) potrebbe rivelarsi un importante tassello per comprendere meglio l´evoluzione dei mammiferi durante il Mesozoico.

Juramaia sinensis
-la "Madre Giurassica dalla China" - è stata descritta dal paleontologo specializzato in mammiferi Zhe-Xi Luo e il suo gruppo di lavoro in un articolo pubblicato recentemente nella rivista "Nature".
L´animale si è conservato in argille della formazione di Tiaojishan, il fossile comprende un cranio incompleto e parte anteriore dello scheletro, la roccia conserva anche impronte di parti molle come per esempio la pelliccia.

Basandosi sulla morfologia delle ossa degli arti conservati e soprattutto dei denti i ricercatori hanno proposto che il piccolo animale possa essere imparentato con i moderni mammiferi placentali, spostando l´avvento di questo gruppo di almeno trentacinque milioni di anni.
Basandosi su cronologie molecolari la diversificazione tra i mammiferi marsupiali e placentali fu postulata a circa 160 milioni di anni fa, ma il mammifero placentale più antico conosciuto finora era la specie Eomaia scansoria (descritta nel 2002 dalla formazione di Yixian) datata ad appena 125 milioni di anni fa. Juramaia ora ha aiutato a colmare questa lacuna.
Il fossile chiarisce anche un altro aspetto importante dell´evoluzione negli antichi mammiferi: Gli arti conservati di Juramaia mostrano primi adattamenti a una vita arboricola, stile di vita che nei mammiferi placentali del Mesozoico avrà un grande successo evolutivo.

Fig.1. Fossile e ricostruzione dello scheletro e aspetto di Juramaia sinensis eseguita da Mark A. Klingler del Carnegie Museum of Natural History. Questo mammifero del Giurassico era di piccole dimensioni, il cranio preservato é lungo appena 22 millimetri (la lunghezza completa é sconosciuta per via delle parti mancanti). Dalla dentatura si presuppone che l´animale si cibava d'insetti e piccoli invertebrati, gli arti sono adatti per una vita arboricola e attiva (da LUO et al. 2011).

Fig.2. Ricostruzione della filogenia dei maggiori gruppi di mammiferi, basandosi sulla morfologia dei molari (che mostrano una cresta per la masticazione basale molto ampia a differenza dei mammiferi Metateri) Juramaia è stata collocata alla base dei mammiferi Euteri (da LUO et al.2011).

Bibliografia:

LUO, Z.-X., YUAN, C.-X., MENG, Q.J. & JI, Q. (2011): A Jurassic eutherian mammal and divergence of marsupials and placentals. Nature 476: 442-445

22.06.2011

Le scienze della terra nelle notizie: tra balena-volpe e il Tyrannosaurus che si é mangiato le cervella

Nonostante il dato di fatto che le scienze geologiche a paleontologiche dovrebbero svolgere un ruolo importante nella nostra società - ricordiamo l´effetto devastante dei terremoti su scala globale, su scala piú locale l´impatto di frane, oppure i ripetuti tentativi del creazionismo italiano di spacciarsi come scienza e di interpretare catastrofi naturali come giudizio divino.
La realtá mediatica é purtroppo spesso molto diversa - le notizie vengono riportate come un miscuglio di ignoranza, mancato interesse e malintesi, oppure adattate per promuovere scopi propri o politici. Leggi qui...

19.02.2011

Il spirito dell´armadillo

Un gruppo di ricercatori ha descrito il resto piú antico finora conosciuto di un genere di armadillo, la scoperta é avvenuta in materiale ritrovato 30 anni fa durante una spedizione in Bolivia e depositato nel museo di scienze naturali di Parigi.
La storia evolutiva del moderno ordine degli xenartri é ancora poco compresa, secondo l´analisi del DNA delle specie moderne la specifica sottofamiglia dei Tolypeutinae, a cui é stata attribuita la nuova specie fossile, si é separata dalle altre famiglie circa 26 milioni di anni fa, ma finora i resti fossili conosciuti raggiungevano al massimo una etá di 12 ai 14 milioni di anni.
All´appello mancavano 15 milioni di anni della storia evolutiva del gruppo, una sorta di linea fantasma che
collegava i rari fossili all´ultimo comune antenato degli armadilli rilevato dalla genetica. Questa mistero ha anche suggerito il nome per il nuovo genere e specie che con 26 milioni di anni raggiunge l´eta sostenuta dai dati genetici - Kuntinaru, che nel dialetto di Aymara, una lingua nativa delle Ande boliviani, significa "Spirito".

Fig.1. I resti fossili di Kuntinaru boliviensis gen and sp. nov., ricoverati 30 anni fa ma riconosciuti importanti solo di recente.

Bibliografia:

BILLET, G.; HAUTIER, L.;MUIZON, de C. & VALENTIN, X. (2011): Oldest cingulate skulls provide congruence between morphological and molecular scenarios of armadillo evolution. Proc. R. Soc. B published online 2 February 2011:doi: 10.1098/rspb.2010.2443