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08.11.2011

L´arte rupestre tra fauna preistorica e genetica

L´arte rupestre preistorica dell´Europea è molto ricca, più di 100 siti sono conosciuti, perlopiù in Spagna e Francia, con più di 4.000 rappresentazioni di animali. Più di un terzo di queste raffigurazioni mostrano cavalli in diversi stili artistici, da disegni dettagliati e molto naturalistici a forme astratte o semplici sagome disegnate con le dita sul suolo fangoso. La caverna di Pech Merle (Francia meridionale) è particolare dato che un grande disegno su una parete di roccia mostra macchie nere su sfondo bianco, sia dentro sia al di fuori della sagoma di due cavallini. Il disegno, datato a 25.000 anni, fu interpretato perlopiù come rappresentazione simbolica di significato conosciuto, poiché il particolare disegno di macchie nere e bianche é conosciuto solo da animali addomesticati da almeno 10.000 anni. 

Fig.1. Diverse rappresentazioni di cavalli nell´arte rupestre, esempi delle caverne di Lascaux, Chauvet e Pech Merle. Secondo analisi genetiche è possibile che tutte le raffigurazioni siano state ispirate da livree di animali reali - esempio di cavallo di przewalski e moderne razze di cavallo (immagine presa da PRUVOST et al. 2011).

Una nuova ricerca genetica ha ora rilevato che l´artista potrebbe essersi comunque ispirato ad animali reali. Un gruppo di ricercatori tedeschi e inglesi ha analizzato il DNA recuperato da trentuno resti fossili di cavalli, proveniente da tutta l´Eurasia e datati da 20.000 a 2.000 anni fa. Secondo i profili genetici ricostruiti diciotto cavalli avevano una pelliccia chiara, 7 erano scuri, ma 6 mostrano una mutazione genetica che causava una pelliccia a macchie bianche e nere. Le macchie bianche e nere erano particolarmente diffuse tra i resti fossili provenienti dall´Europa dell´est e ovest, dei dieci esemplari studiati quattro mostrano la particolare mutazione. Secondo i ricercatori è possibile che questa mutazione e livrea fossero molto più frequenti durante le fasi glaciali nella popolazione equina europee, poiché provvedeva una sorta di mimetismo nella tundra coperta da neve. Dopo i 14.000 anni la particolare varietà divenne molto rara, finche é stata riscoperta da moderni allevatori.
Comunque le raffigurazioni nell´arte rupestre, anche se fossero state ispirate dal mondo naturale, contengono anche molti particolari spirituali e un forte simbolismo. Le macchie di Pech Merle non sono solo distribuite sugli animali, ma anche in file attorno alla testa e il corpo dei due cavallini, con tanto d'impronte di mane umane. Il significato di questa composizione rimane un mistero.

Bibliografia:

PRUVOST, M. et al. (2011): Genotypes of predomestic horses match phenotypes painted in Paleolithic works of cave art. Proceedings of the Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America.

01.07.2010

L. melvillei: Una nuova inusuale balena del Miocene sudamericano

Quando furono trovati i primi fossili nel deserto del Perù i ricercatori pensarono alle zanne di un elefante, ma i resti parziali del cranio e i denti sono risultati appartenere a una balena del Miocene (ca.12-13Ma) lunga fino a 14m. I fossili sono stati scoperti nel 2008 nel deserto di Pisco-Ica, nel sud del Perù, e ora descritti e pubblicati in un articolo nella rivista “Nature”. Tra i resti frammentari, spuntano la mandibola e i 29 denti, che raggiungono una lunghezza fino a 40cm e una larghezza di 12cm, i più grandi denti di balena finora conosciuti.

Fig.1. Rappresentazione schematica dei resti ricuperati, cranio in vista dorsale (a) e ventrale (b), mandibola in vista dorsale (c), vista laterale della mandibola attaccata al cranio(d), e-g dentatura di L. melvillei, h+i dentatura di capodoglio attuale, figura da LAMBERT et al. 2010.

La nuova specie, che rappresenta anche un nuovo genere, è stata provvisoriamente denominata Leviathan melvillei, il nome del genere è ispirato al racconto del mostro marino mitologico nella Bibbia e la specie è un tributo all’autore Melville, conosciuto per il suo racconto su di Moby-Dick. Secondo contestazioni al momento non ancora ufficiali la denominazione Leviathan però è già occupato per un genere di proboscidato nordamericano (KOCH 1841).


Secondo la ricerca l’animale è paragonabile con il comune capodoglio (Physeter macrocephalus), il più grande odontocete esistente, è la dentatura conferma che si doveva trattare di un predatore specializzato per grosse prede. Moderni capodogli possiedono denti relativamente piccoli, dato che preferiscono cibarsi di grandi cefalopodi, che più che azzannare lì “risucchiano”. Data la grandezza nella mole e nella dentatura della nuova specie, si specula che tra le prede abituali si trovavano anche balene più piccole, che con le loro riserve di grasso sarebbero bastate per il fabbisogno del Leviathan.


Fig.2. Ricostruzione di Leviathan melvillei durante l’atto di prelazione su una balena di dimensioni minori, data la frammentarietà dei resti del cranio l’aspetto è speculativo e si basa soprattutto sulla presunta relazione con l’attuale capodoglio.

Bibliografia:

LAMBERT, O.; BIANUCCI, G.; POST, K.; DE MUIZON, C.; SALA-GISMONDI, R.; URBINA, M. & REUMER, J. (2010): The giant bite of a new raptorial sperm whale from the Miocene epoch of Peru. Nature Vol. 466: 105-108 doi:10.1038/nature09067

30.03.2010

Geology o(n)f Whale-falls

"They say the sea is cold, but the sea contains the hottest blood of all,
and the wildest, the most urgent.
"
Whales Weep Not! D.H. Lawrence (1885-1930)


The deep-sea is sometimes compared with a desert where only occasionally oasis exist - hydrothermal vents are locally oasis where the heat and chemicals coming from earth allow life in a cold and vast subaqueous desert.
But how got this habitat colonized by animals on the first time, and how the first organism reached this places and evolved to survive under these extreme conditions?
Biota of such vents and biota living on and off decomposing whale carcasses share peculiar chemosynthetic adaptations to exploit these resources, and this shared ability has suggested that they somehow are related each to another.


Surely since the Mesozoic, when large sea dwelling animals evolved, carcasses reached the bottom of the sea, for example some chemosynthetic molluscs appeared long before the modern great whales, and others share the last common ancestor with species living on shelf habitats 30 million years ago, when some of the modern whale lineages first evolved. Also molecular data suggest that specialization found in deep sea may have first appeared at shelf depths, and bone-eating worms related to vent polychaetes may represent intermediate stages of evolution and adaption.


Taphonomic processes in deep-water environments differ markedly from those in shallow waters. The preservation of modern whale skeletons is possibly influenced by the depth of the water column, increased hydrostatic pressure at greater depths is presumed to prevent the whale carcass from floating.

Once arrived on the bottom of the sea, the decomposition of whale carcasses follows a general succession of carrion feeders (like observed on terrestrial carcasses). The flesh is removed first by larger animals, like sharks, then the body and surroundings are colonized by animals that feed both on the carcass and on the bacterial mats developing on it. When only the bones remain, after some months or with larger animals after years, very specialized species community can found feeding on the bones itself.
In modern deep-sea carcasses abundant lipids are exploited by bacteria living within bones. Bone-dwelling mussels and polychaetes, in symbiotic relationship with bacteria, are abundant.
Modern natural whale falls are rare on shelves, but in Neogen shelf sediments often fully articulated skeletons were discovered. Research on this kind of discoveries is still rare.

One of this extraordinary discoveries, that may shade light on the evolution of this communities, was found in Pliocene (3,19-2,82Ma) sediments of the paleo-Tuscan archipelago, near the modern city of Orciano Pisano. During the excavation of the 10m long mysticete the species richness and position of the macrofauna with respect to the skeleton was recorded.
The results were compared with modern and fossil species assemblages, especially molluscs of different habitats, ranging from coastal to bathyal sample localities (0-1.600m depth). The studied fossil taphonomic assemblages comprise examples of Pliocene whales from various Italian localities, like Ponte a Elsa, Castelfiorentino, Castellarano and Castell' Arquato.

Fig.1. Taphonomy and paleoecology of Orciano Pisano "whale fall community". A) Glossus humanus in life position below neurocranium (dashed line outlines scapula). B) Megaxinus incrassatus in vertical position and C) in horizontal position. D) Tip of skull, with Amusium cristatum (long arrows) and M. incrassatus (short arrow). E) Articulated M. incrassatus below heavenly damaged large bones. F) Large tooth of Charcarodon carcharias. G) Tympanic bulla with deeply cut marks. H) view showing articulated, but damaged caudal vertebrae and lacking dorsal vertebrae. H1) Sketch of the skeleton with position of M. incrassatus (circles), G. humanus (stars) and teeth of Carcharodon carcharia (open triangles) and Prionace glauca (black triangle) (from DOMINICI et al. 2009).


The fossil whale fall communities showed some similarities to modern colonization of whale carcasses, but also important differences. Even if the specific taphonomic pathways those carcasses undergo in different water depths differ, some general observations can be made.


1) The high numbers of found shark teeth’s suggests that sharks are a frequent cause of initial flesh and bone consumption. Also they may provide access to the interior of the whale for other animals.


2) Organic enrichment in the sediments around the carcass provides an advantage for heterotrophic organisms (like molluscs and sea urchins).


3) Observed alteration of fossil bones are compatible with the occurrence of bone-eating worms, from a Spanish fossil whale in a recent study a new icnogenus was described, that represents the borings of animals maybe comparable to the modern bone-eating polychaetes Osedax.


4) In contrast to modern whale fall colonization, in the fossil record a "reef stage" is documented, in form of bone-cemented epibionts.


The importance of bone eating animals and chemosynthetic specialists increase from shallow to deep waters. The analyse of molluscs suggest that shelf whale-fall communities are structured similarly to shelf vent and seep communities, where local food webs exploit photosynthesis-derived carbon and animals gain enough energy from heterotrophy, and chemosynthetic symbiosis never dominate. This provides a possible insight in the evolution of these communities, whale-fall in different depths provided "oasis" for colonization of animals coming down from the shelf area or shelf area limits, step by step these refuges enabled organism to adapt to more severe conditions in the deep sea and finally colonize sea vents. Modern whale carcasses maybe still play an important role to connect these rare habitats among each other.


REFERENCES:
ALLISON et al. (1991): Deep-water taphonomy of vertebrate carcasses: a whale skeleton in the bathyal Santa Catalina Basin. Paleobiology 17(1): 78-89
DOMINICI et al. (2009): Mediterranean fossil whale falls and the adaption of molluscs to extreme habitats. Geology V.37(9):815-818; doi: 10.1130/G30073A.1
KAIM, A. et al. (2008): Chemosynthesis−based associations on Cretaceous plesiosaurid carcasses. Acta Palaeontol. Pol. 53(1): 97–104

Introduction imagine: Pliocene whale skeleton from Tuscany, Italy from the front cover of Geology 37(9) 2009

26.02.2010

Alla ricerca di Artiodattili misteriosi

"Dopo l´avvistamento, per quanto sia vago o causale, di una forma animale apparentemente sconosciuta, questo metodo consiste nell´accumulare poco a poco su di esso, a partire dalle fonti più varie, la maggiore quantità possibile di informazioni, nell´analizzare questi dati eterogenei, nel compararli e filtrarli, eliminando tutto ciò che é ascrivibile a burle, sviste, o variazioni individuali, fino a giungere ad una sintesi coerente e logica".
Bernard Heuvelmans (1965)

Fig.1. Un misterioso artiodattilo in una stampa chinese del 1607 (WANG & WANG 1607), cha dalla forma delle corna ricorda il genere enigmatico Pseudonovibos spiralis.

John MacKinnon stava esplorando nel Maggio del 1992 la regione del Vu-Quang (Nordvietnam) incaricato dal WWF a studiare possibili aree da tutelare.
Immagini satellitare della regione sembravano promettenti, una zona montuosa, di difficile accesso, e per questo con ancora rigogliosa foresta vergine. Nei rari paesi il ricercatore senti gli indigeni parlare di due specie di "capre" che vivevano nella foresta, sorprendentemente alla scienza era conosciuta solo una specie - il Serau. (Capricornis crispus).
I cacciatori raccontavano di una "capra della montagna" con lunghe corna, di cui due a tre volte l´anno catturavano un esemplare. Nel paese di Kim Quang, MacKinnon riuscì a recuperare tre calotte craniche provviste di corna. Fino all´estate 2003 quattro spedizioni di ricercatori vietnamiti riuscirono a collezionare resti di altri 20 esemplari, tra cui tre pelli complete.

La ricostruzione tramite i resti dell´animale mostrava un artiodattilo simile a un´antilope, con un'altezza di 80 a 90cm, un peso stimato di 100kg, coda corta, arti piccoli, colorazione bianca a strisce della testa. Il termine vietnamita era Saola, il nome scientifico di questa specie descritta tramite gli indizi raccolti é "Pseudoryx nghetinensis", falso orice del(la regione del) Nghe-Tinh. Solo dopo la conferma ufficiale dell'animale si comprese che archeologi avevano scoperto gia nei decenni passati anellini per orecchie della cultura dei popolo dei Sa-Huynh (1.000-200a.C.), nella regione centrale del Sud Vietnam, fatti di vetro o pietra (nefrite) con due teste di animali sconosciuti. Con la scoperta dello Pseudoryx nghetinensis nel 1992 forse si è riuscito a ritrovara l´animale che gli antichi avevano riprodotto.
L´interesse suscitato dalla scoperta fece crescere a dismisura la caccia a questo animale, nel 1994 alcuni esemplari giovani cacciati a frodo vennero sequestrati e portati allo zoo di Hanoi, dove pero morirono dopo alcuni mesi. Fino a oggi molto rimane nel dubbio sull'ecologia e la popolazione del Serau.


Per MacKinnon le scoperte non si limitarono a questo animale, nell'Aprile 1994 riuscì nello stesso paese della prima scoperta a recuperare un palco che assomigliava a quello del Muntjac indiano, ma grande il doppio con 20cm di lunghezza. Analisi del reperto tramite il profilo genetico rivelarono un'ulteriore specie sconosciuta: Megamuntiacus vuquangensis. Poco dopo un animale vivo fu scoperto in uno zoo privato della città di Lak Xao. Il Muntjac gigante può raggiungere un'altezza di 75cm, e un peso di 55kg.
Dallo zoo di Lak Xao arrivarono altri animali che erano conosciuti alla popolazione, ma non dalla scienza ufficiale, tra cui il "Fan Dong" - il Muntjac della foresta matura. Dal Vietnam sono conosciuti 18 crani di un cervo nano, il Truong-Son-Muntajc (Muntiacus truongsonensis), che dai locali viene chiamato " sam coi cacoong " - il cervo che vive nella foresta profonda/fitta. Fino ad oggi nessun scienziato è riuscito a osservare un animale vivo.


Ma le scoperte di misteriosi artiodattili non finiscono qui. Nel 1993 il biologo tedesco Wolfgang Peters scopri su un mercato di Saigon alcune corna inusuali, curvati con una striatura e lungi 45cm. Gli indigeni chiamano l´animale a cui sembra appartengono "Linh Duong", capra della montagna o pecora di montagna. In un primo momento le corna furono attribuite al mitico Kouprey, bovide raffigurato sui palazzi del popolo dei Khmer, é conosciuto alla scienza in principio solo tramite alcune corna e un esemplare catturato nel 1937 dal veterinario R. Sauvel, e poi descritto come Bos sauveli. Nel 1988 si stimava che esistevano ancora 300 esemplari di questa specie nel Cambogia, Laos, Vietnam e Tailandia - la situazione odierna é sconosciuta.

Ma secondo Peters le corna scoperte da lui non assomigliano a quelle del Kouprey, e anche se erano vecchie alcuni decenni (furono raccolte nel 1925), ha descritto insieme all´esperto per mammiferi Alfred Feiler una nuova specie: Pseudonovibos spiralis. In un negozio a Saigon é stato possibile acquistare una scultura in legno con delle corna attaccate, la testa scolpita assomiglia a una capra. Caratteri morfologici delle corna fanno pensare a una relazione con antilopi o capre, descrizione da parte di cacciatori invece a un bovino.

Ma un test del DNA e la composizione degli isotopi da parte di HASSANIN et al. 2001 gettano una luce completamente diversa sul caso. Secondo la sequenza genetica non c´e differenza rispetto al comune bovino addomesticato, Bos taurus, e gli isotopi mostrano che l´animale viveva in ambiente aperto e si cibava di erba, escludendo che si tratti di un abitante della foresta come postulato dalle circostanze di ritrovo dei resti studiati.
Fino a oggi non é chiaro se con P. spiralis si tratta di un animale reale, e se esiste ancora, o il tutto e un abile falso, pensato e fabbricato come talismano magico.

BIBLIOGRAFIA:
WANG CHI & WANG SI YI (1607): San Cai Tu Hui. China.

HEUVELMANS, B. (1965): On the Track of Unknown Animals. New York: Hill and Wang.
HASSANIN et al. (2001): Evidence from DNA that the mysterious 'linh duong' (Pseudonovibos spiralis) is not a new bovid. Comptes Rendu de l'Academie des Sciences, Paris, Sciences de la vie 324: 71-80

11.02.2010

Hoplitomeryx

Il record italiano di mammiferi terrestri è relativamente scarso durante il Miocene inferiore e medio, solo dal Miocene superiore in poi i resti abbondano. Giacimenti pre-Messiniani documentano l'esistenza di almeno tre bioprovince distinti sul territorio dell’arcipelago italiano. Due di queste sono caratterizzati da faune con caratteristiche endemiche, denominati secondo la posizione moderna la bioprovincia Abruzzo - Pugliese e Tosco-Sarda. La terza, la Calabria - Siciliana, mostra perlopiù mammiferi di distribuzione generale con elementi che testimoniano la connessione con il Nord Africa.
Durante il Miocene e Pliocene inferiore variazioni del livello marino trasformano l'area della penisola italiana per determinati periodi in un arcipelago di isole di varie dimensioni e con un clima tropicale - un parco giochi ideale per l'evoluzione.

Fig.2. L´arcipelago italiano nel Miocene-Pliocene con le località discusse.

Una di queste isole perdute è rappresentata oggigiorno dalla zona del Gargano, sulla costa orientale della Puglia. Praticamente tutti i mammiferi fossili conosciuti dai giacimenti del Gargano mostrano caratteristiche morfologiche per effetto dell’insularità. Questo assemblaggio è chiamato fauna a Mikrotia, dopo un genere endemico di muride fossile.
Una delle più straordinarie scoperte nei pressi di Foggia attribuite a questa fauna è rappresentato da un piccolo artiodattilo del genere Hoplitomeryx (LEINDERS 1984).
I primi fossili di Hoplitomeryx sono stati trovati alla fine degli anni Sessanta in limi e argille rosse, per niente o solo grossolanamente stratificate, denominate terra rossa, che in parte riempiono le fessure carsiche del substrato calcareo.

Fig.3. Molare di Hoplitomeryx.

L'età esatta di questi giacimenti è incerta, la correlazione stratigrafica e la cronologia dei mammiferi lascia supporre un intervallo temporale tra il Miocene superiore e il Pliocene inferiore, con le preferenze da vari autori per il Pliocene (VAN DER GEER 2007).
Hoplitomeryx ricorda solo nella sua morfologia per certi tratti il cervo di Muntjac, un rappresentante basale della famiglia dei cervi, ma possiede cinque corna (- non palchi!) un paio sopra ogni orbita e un corno nasale – e dei canini superiori prominenti.
Una combinazione unica di dettagli anatomicamente diagnostici, con ulteriore specializzazione nella struttura degli arti.
La sistematica di Hoplitomeryx è incerta, al momento solo una specie è stata descritta, Hoplitomeryx matthei (Leinders 1984) con la famiglia propria Hoplitomerycidae.
Il materiale fossile del Gargano pero mostra quattro a cinque classi di animali con dimensioni distinte (con stimati 5 a circa 50kg di massa corporea), che forse rappresentano singole specie (VAN DER GEER 2007).
Il problema se il materiale fossile rappresenta diverse specie si basa sul problema della datazione. I sedimenti che contengono i fossili non sono datati e non mostrano stratificazione, i resti stessi non mostrano una variazione relativa nelle differenti dimensioni, non è possibile dunque chiarire se queste classi sono un artefatto della colonna stratigrafica, una sequenza temporale di diverse specie, varie specie coesistenti nello stesso periodo o una semplice variazione nella specie.

TORRE et al. 2005 hanno postulato una relazione di Hoplitomeryx con ungulati primitivi della famiglia Choeropotamidae e Dacrytheridae, conosciuti dall’Eocene della Francia e imparentati a loro volta più strettamente con i suini. La colonizzazione della penisola italiana è avvenuta secondo questa teoria nel corso del Miocene, concludendosi nel Pliocene con gli ultimi rappresentanti di questo gruppo dispersi sulle isole del Mediterraneo.
Secondo VAN DER GEER anche una relazione con gli antenati della moderna antilocapra nordamericana (Antilocapridae) potrebbe essere plausibile.

Fino agli anni Novanta il genere era considerato un elemento endemico dell'isola del Gargano, ma nel 1990 in un deposito del Miocene con una ricca raccolta di vertebrati fossili (tra cui sette specie di mammiferi) sul crinale orientale del Monte Civita (Scontrone, Abruzzo) sono stati scoperti ulteriori fossili con i riferimenti a Hoplitomeryx.
Trovati incapsulato in una breccia di calcare giallo, i fossili si sono depositati circa 12 milioni di anni fa. Questo forse significa che esistevano connessioni, anche solo di carattere temporaneo, tra le varie isole e penisole italiane.

Durante il Messiniano (7Ma) i taxa che rappresentano la bioprovincia toscana scompaiono e vengono sostituiti da una fauna continentale con chiare affinità europee (BONFIGLIO 2005). Questo periodo geologico è caratterizzato da un calo pronunciato del livello del Mediterraneo, provocando la deposizione di evaporiti con un spessore che puo raggiungere i migliaia di metri.
Durante questa fase le isole si ricollegano con il continente Europeo, e si verifica una migrazione di mammiferi continentali che rimpiazzano le specie endemiche locali.
Solo in resti rappresentanti della provincia pugliese sopravvivono fino al Pliocene. Ma con la formazione di una connessione tra la penisola italiana e l’isola del Gargano, per causa della tettonica che fa risalire il promontorio del Gargano, anche l'ultimo Hoplitomeryx si è estinto.

BIBLIOGRAFIA:
Fig.1. Ricotruzione di
Hoplitomeryx tratta da AGUSTI, J. & ANTON, M. (2002): Mammoths, Sabertooths, and Hominids - 65 Million Years of Mammalian Evolution in Europe. Columbia University Press.

BONFIGLIO, L. (2005): Paleontologia dei vertebrati in Italia – Evoluzione biologica, significato ambientale e paleogeografia. Museo di Storia Naturale - Verona.

VAN DER GEER, A. (2007): The effect of insularity on the Eastern Mediterranean early cervoid Hoplitomeryx. The study of the forelimb. Quaternary International 182(1):145-159