Posts mit dem Label Anatomia werden angezeigt. Alle Posts anzeigen
Posts mit dem Label Anatomia werden angezeigt. Alle Posts anzeigen

08.11.2011

L´arte rupestre tra fauna preistorica e genetica

L´arte rupestre preistorica dell´Europea è molto ricca, più di 100 siti sono conosciuti, perlopiù in Spagna e Francia, con più di 4.000 rappresentazioni di animali. Più di un terzo di queste raffigurazioni mostrano cavalli in diversi stili artistici, da disegni dettagliati e molto naturalistici a forme astratte o semplici sagome disegnate con le dita sul suolo fangoso. La caverna di Pech Merle (Francia meridionale) è particolare dato che un grande disegno su una parete di roccia mostra macchie nere su sfondo bianco, sia dentro sia al di fuori della sagoma di due cavallini. Il disegno, datato a 25.000 anni, fu interpretato perlopiù come rappresentazione simbolica di significato conosciuto, poiché il particolare disegno di macchie nere e bianche é conosciuto solo da animali addomesticati da almeno 10.000 anni. 

Fig.1. Diverse rappresentazioni di cavalli nell´arte rupestre, esempi delle caverne di Lascaux, Chauvet e Pech Merle. Secondo analisi genetiche è possibile che tutte le raffigurazioni siano state ispirate da livree di animali reali - esempio di cavallo di przewalski e moderne razze di cavallo (immagine presa da PRUVOST et al. 2011).

Una nuova ricerca genetica ha ora rilevato che l´artista potrebbe essersi comunque ispirato ad animali reali. Un gruppo di ricercatori tedeschi e inglesi ha analizzato il DNA recuperato da trentuno resti fossili di cavalli, proveniente da tutta l´Eurasia e datati da 20.000 a 2.000 anni fa. Secondo i profili genetici ricostruiti diciotto cavalli avevano una pelliccia chiara, 7 erano scuri, ma 6 mostrano una mutazione genetica che causava una pelliccia a macchie bianche e nere. Le macchie bianche e nere erano particolarmente diffuse tra i resti fossili provenienti dall´Europa dell´est e ovest, dei dieci esemplari studiati quattro mostrano la particolare mutazione. Secondo i ricercatori è possibile che questa mutazione e livrea fossero molto più frequenti durante le fasi glaciali nella popolazione equina europee, poiché provvedeva una sorta di mimetismo nella tundra coperta da neve. Dopo i 14.000 anni la particolare varietà divenne molto rara, finche é stata riscoperta da moderni allevatori.
Comunque le raffigurazioni nell´arte rupestre, anche se fossero state ispirate dal mondo naturale, contengono anche molti particolari spirituali e un forte simbolismo. Le macchie di Pech Merle non sono solo distribuite sugli animali, ma anche in file attorno alla testa e il corpo dei due cavallini, con tanto d'impronte di mane umane. Il significato di questa composizione rimane un mistero.

Bibliografia:

PRUVOST, M. et al. (2011): Genotypes of predomestic horses match phenotypes painted in Paleolithic works of cave art. Proceedings of the Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America.

01.09.2011

Giustizia tardiva per il Tilacino

"Alcuni dei pastori affermano che uno di questi animali uccide centinaia di pecore in un tempo molto breve, ed esistono …[]… notizie che uomini sono stati attaccati da loro ... []"
Gerard Krefft, 1871.

"Il tilacino uccide le pecore, ma limita il suo attacco a una alla volta, ed è quindi in nessun modo distruttivo come un gruppo di cani domestici diventati selvatici o come il Dingo dell'Australia, che causano distruzione in una singola notte. Alte ricompense sono state tuttavia sempre date ai proprietari di pecore per la loro uccisione e dato che oggigiorno ogni pezzo di terra è occupato, è probabile che in alcuni anni quest'animale, talmente interessante per lo zoologo, si estinguerà; e ora estremamente raro, anche nei luoghi più remoti  e meno frequentati dell´isola."
John West, 1850.

Fig.1. Il Tilacino, in una raffigurazione da parte di Joseph Matias Wolf del 1861

Il Tilacino (Thylacinus cynocephalus) era conosciuto durante il XIX secolo sotto vari nomi ai coloni dell´isola di Tasmania: lupo marsupiale, lupo-zebra, iena-opossum, tigre-bulldog, tigre marsupiale, pantera o Dingo della Tasmania - nomi che enfatizzano che l´animale era considerato un pericoloso predatore - soprattutto di pecore, animali importati che costituivano la base dell´economia dell´isola.
Il primo tilacino avvistato dai esploratori europei fu descritto nel 1792 da un marinaio come un "grande cane, di colore bianco e nero e apparenza di bestia feroce". Il primo esemplare ucciso risale a marzo 1805. Ritenuto animale nocivo e pericoloso, fu cacciato senza tregua fino alla seconda meta del XIX / inizo XX secolo, quando i numeri degli animali abbattuti e le taglie pagate diminuirono notevolmente, indicando che la popolazione stava collassando. L´ultimo esemplare confermato morirà il 7 settembre del 1936 nello zoo di Hobart.

Una nuova ricerca (ATTARD et al. 2011) sembra confermare le - al tempo inutili - avvertenze di West che il Tilacino non era un predatore abituale di pecore. La mandibola del muso allungato si poteva aprire con un angolo massimo di 120 gradi - impressionante - ma la struttura era inadatta e troppo debole per attaccare grandi prede. Basandosi su modelli di biomeccanica i ricercatori hanno simulato le forze esercitate sul cranio di Tilacino durante i movimenti di predazione e masticazione. Secondo i risultati ottenuti il Tilacino con il suo cranio allungato e fragile si era adattato per catturare prede piccole e veloci, come specie di opossum o piccole specie di canguro (di cui resti furono ritrovati nel primo esemplare ucciso).

La ricerca potrebbe anche spiegare l´estinzione "improvvisa" del Tilacino nella seconda meta del XIX secolo. Il Tilacino era specie già rara quando la Tasmania fu colonizzata all´inizio del secolo (alcune stime parlano di una populazione di 5.000 individui), la caccia indiscriminata impattó ulteriormente su di una popolazione già ridotta. Il crollo netto nei numeri degli esemplari uccisi (almeno 2.000) nella seconda meta del XIX secolo fu imputato in parte a un'epidemia che colpiva gli animali superstiti, fortemente indeboliti nel loro sistema immunitario da una diminuzione drastica della loro variabilità genetica.

Sulla base dei nuovi risultati e la dieta specializzata del Tilacino si può ipotizzare che anche senza caccia la distruzione dell'habitat e la conseguente diminuzione dell´areale della specie erano sufficienti per portare questo animale all´orlo dell´estinzione. Incapace di adattarsi a nuove prede, in forte concorrenza con altri grandi predatori, come il Diavolo della Tasmania, con una popolazione debole, il Tilacino si estinse nell´arco di pochi decenni, anche se alcuni criptozoologi non vogliono far morire la speranza.


Bibliografia:

31.08.2011

Juramaia sinensis: fossile aiuta a colmare lacuna evoluzionistica

Uno scheletro incompleto ritrovato nella provincia di Liaoning (nord est China) potrebbe rivelarsi un importante tassello per comprendere meglio l´evoluzione dei mammiferi durante il Mesozoico.

Juramaia sinensis
-la "Madre Giurassica dalla China" - è stata descritta dal paleontologo specializzato in mammiferi Zhe-Xi Luo e il suo gruppo di lavoro in un articolo pubblicato recentemente nella rivista "Nature".
L´animale si è conservato in argille della formazione di Tiaojishan, il fossile comprende un cranio incompleto e parte anteriore dello scheletro, la roccia conserva anche impronte di parti molle come per esempio la pelliccia.

Basandosi sulla morfologia delle ossa degli arti conservati e soprattutto dei denti i ricercatori hanno proposto che il piccolo animale possa essere imparentato con i moderni mammiferi placentali, spostando l´avvento di questo gruppo di almeno trentacinque milioni di anni.
Basandosi su cronologie molecolari la diversificazione tra i mammiferi marsupiali e placentali fu postulata a circa 160 milioni di anni fa, ma il mammifero placentale più antico conosciuto finora era la specie Eomaia scansoria (descritta nel 2002 dalla formazione di Yixian) datata ad appena 125 milioni di anni fa. Juramaia ora ha aiutato a colmare questa lacuna.
Il fossile chiarisce anche un altro aspetto importante dell´evoluzione negli antichi mammiferi: Gli arti conservati di Juramaia mostrano primi adattamenti a una vita arboricola, stile di vita che nei mammiferi placentali del Mesozoico avrà un grande successo evolutivo.

Fig.1. Fossile e ricostruzione dello scheletro e aspetto di Juramaia sinensis eseguita da Mark A. Klingler del Carnegie Museum of Natural History. Questo mammifero del Giurassico era di piccole dimensioni, il cranio preservato é lungo appena 22 millimetri (la lunghezza completa é sconosciuta per via delle parti mancanti). Dalla dentatura si presuppone che l´animale si cibava d'insetti e piccoli invertebrati, gli arti sono adatti per una vita arboricola e attiva (da LUO et al. 2011).

Fig.2. Ricostruzione della filogenia dei maggiori gruppi di mammiferi, basandosi sulla morfologia dei molari (che mostrano una cresta per la masticazione basale molto ampia a differenza dei mammiferi Metateri) Juramaia è stata collocata alla base dei mammiferi Euteri (da LUO et al.2011).

Bibliografia:

LUO, Z.-X., YUAN, C.-X., MENG, Q.J. & JI, Q. (2011): A Jurassic eutherian mammal and divergence of marsupials and placentals. Nature 476: 442-445

05.08.2010

Pakasuchus: Il "coccodrillo gatto"

Dopo due anni di studi ricercatori dell’Università dell’Ohio hanno pubblicato la descrizione di una nuova specie di coccodrillo che mostra una peculiarità molto "mammaliana".
Le somiglianze ritrovate hanno perfino indotto i paleontologi a designare la specie
con il termine swahili per "gatto” (Paka): Pakasuchus kapilimai (anche se le due specie sistematicamente non centrano nulla – restiamo a osservare se i media generali capiranno il concetto).

Fig.1. Ricostruzione di Pakasuchus kapilimai (National Science Foundation / Zina Deretsky).

Il fossile pressoché completo (soprattutto il cranio) dell'animale è stato scoperto nel 2008 sulle sponde di un fiume in un bacino secondario della Rift Valley africana,
Rukwa Rift Basin nei pressi del lago Tanganica nello stato della Tanzania. I sedimenti fluviali da cui proviene il reperto sono datati a 105 milioni di anni, è hanno restituiti inoltre una grande varietà di altre specie di rettili, dinosauri e pesci (speriamo che in futuro sentiremo altre novità di questo giacimento).

I grandi coccodrilli moderni con i loro denti conici sono perfettamente adattati a catturare, trattenere e trascinare le loro prede, ma non a masticarla e processare il cibo già nella cavità orale. A differenza di essi, la nuova specie mostra molte peculiarità che ricordare tratti di mammiferi, era un animale piccolo e gracile, le placche ossee tipiche dei coccodrilli mostrano una riduzione per minimizzare la massa del corpo e aumentare la sua mobilità e gli arti sono molto snelli in relazione al corpo, ma la più grande sorpresa paleontologica è la complessa dentizione che questa specie aveva sviluppato. Il numero complessivo dei denti è molto ridotto se comparata ai coccodrilli moderni, ma altamente specializzati con una pronunciata conformazione eterodonte - i denti posteriori ricordano dei molari, sono ampi è le loro corone relative combaciano, formando come nei mammiferi delle placche capaci di tritare il cibo.

Fig.2. Cranio di Pakasuchus kapilimai, che in un' primo momento ricorda veramente il cranio di un sinapside, a parte che le aperture del cranio non coincidono (AFP / National Science Foundation / John Sattle).

Questi è altri caratteri pongono la nuova specie tra o relativa al sottoordine dei Notosuchia, un gruppo di “coccodrilliformi” diffuso tra i 110 agli 80 milioni di anni fa sul continente australe di Gondawana e relativi subcontinenti dal Cretaceo in poi.

Uno sbalorditivo esempio di evoluzione convergente - secondo l'ipotesi preliminare formulata in base agli ultimi ritrovamenti, questi rettili si sono adattati sull’emisfero australe alle nicchie che nell’emisfero boreale erano occupati dai mammiferi: piccoli, ma agili predatori specializzati a inseguire e processare piccole prede come insetti e vertebrati di minore stazza.


Bibliografia:

CONNOR et al. (2010): The evolution of mammal-like crocodyliforms in the Cretaceous Period of Gondwana. nature 466: 748-751

07.07.2010

La tigre dai denti a sciabola: Il predatore perfetto si riconosce dalle sue ossa

Fig.1. Una rappresentazione di Smilodon del 1903, esempio del lavoro pionieristico di Charles R. Knight, figura da CHORLTON 1985.

Pochi predatori estinti sono noti al grande pubblicò come la tigre dai denti a sciabola, che viene ritenuta per le sue spettacolari zanne come perfetto esempio di mammifero predatore.
Ma lo studio della struttura e la forma delle zanne ha rivelato che possiedono una sezione ovale, è per questo, a differenza dei felini odierni, sono inadeguato a sopportare le forze di una preda che lotta per liberarsi dal morso del predatore (McHENRY et al. 2007). Secondo questo modello, per evitare una frattura dei canini, era necessario per questi predatori di gestire e immobilizzare la preda il più efficacemente possibile.

Confrontando radiografie della tigre dai denti a sciabola, Smilodon fatalis, del leone americano, Panthera atrox, e di 28 specie di felini moderni, una ricerca pubblicata di recente (MEACHEN-SAMUELS et al. 2010) ha osservato effettivamente che gli omeri degli arti anteriori di S. fatalis erano molto più spessi in relazione alla loro lunghezza, e la corteccia ossea esterna era più sviluppata in confronto a tutti gli altri felini studiati.

Sulla base di queste osservazioni, la ricerca deduce che Smilodon era un predatore potente che differisce dai felini esistenti nella sua maggiore capacità di sottomettere la preda usando gli arti anteriori. Questo sviluppo e la risultante forza maggiore degli arti anteriori faceva parte di un complesso adattamento guidata dalla necessità di minimizzare la durata e l’ entità della lotta per sopraffare la preda, al fine di proteggere gli allungati canini e di posizionare accuratamente il finale morso letale.


Bibliografia:

CHORLTON, W. (ed) (1985): Ice Ages (Planet Earth). Time-Life Books: 176
MEACHEN-SAMUELS, J.A. & VALKENBURGH, B. van (2010): Radiographs Reveal Exceptional Forelimb Strength in the Sabertooth Cat, Smilodon fatalis. PLOS One 5(7): e11412. doi:10.1371/journal.pone.0011412
McHENRY, C.R.; WROE, S.; CLAUSEN, P.D:; MORENO, K. & CUNNINGHAM, E. (2007): Supermodeled sabercat, predatory behavior in Smilodon fatalis revealed by high-resolution 3D computer simulation. PNAS Vol. 104(41): 16010-16015

01.07.2010

L. melvillei: Una nuova inusuale balena del Miocene sudamericano

Quando furono trovati i primi fossili nel deserto del Perù i ricercatori pensarono alle zanne di un elefante, ma i resti parziali del cranio e i denti sono risultati appartenere a una balena del Miocene (ca.12-13Ma) lunga fino a 14m. I fossili sono stati scoperti nel 2008 nel deserto di Pisco-Ica, nel sud del Perù, e ora descritti e pubblicati in un articolo nella rivista “Nature”. Tra i resti frammentari, spuntano la mandibola e i 29 denti, che raggiungono una lunghezza fino a 40cm e una larghezza di 12cm, i più grandi denti di balena finora conosciuti.

Fig.1. Rappresentazione schematica dei resti ricuperati, cranio in vista dorsale (a) e ventrale (b), mandibola in vista dorsale (c), vista laterale della mandibola attaccata al cranio(d), e-g dentatura di L. melvillei, h+i dentatura di capodoglio attuale, figura da LAMBERT et al. 2010.

La nuova specie, che rappresenta anche un nuovo genere, è stata provvisoriamente denominata Leviathan melvillei, il nome del genere è ispirato al racconto del mostro marino mitologico nella Bibbia e la specie è un tributo all’autore Melville, conosciuto per il suo racconto su di Moby-Dick. Secondo contestazioni al momento non ancora ufficiali la denominazione Leviathan però è già occupato per un genere di proboscidato nordamericano (KOCH 1841).


Secondo la ricerca l’animale è paragonabile con il comune capodoglio (Physeter macrocephalus), il più grande odontocete esistente, è la dentatura conferma che si doveva trattare di un predatore specializzato per grosse prede. Moderni capodogli possiedono denti relativamente piccoli, dato che preferiscono cibarsi di grandi cefalopodi, che più che azzannare lì “risucchiano”. Data la grandezza nella mole e nella dentatura della nuova specie, si specula che tra le prede abituali si trovavano anche balene più piccole, che con le loro riserve di grasso sarebbero bastate per il fabbisogno del Leviathan.


Fig.2. Ricostruzione di Leviathan melvillei durante l’atto di prelazione su una balena di dimensioni minori, data la frammentarietà dei resti del cranio l’aspetto è speculativo e si basa soprattutto sulla presunta relazione con l’attuale capodoglio.

Bibliografia:

LAMBERT, O.; BIANUCCI, G.; POST, K.; DE MUIZON, C.; SALA-GISMONDI, R.; URBINA, M. & REUMER, J. (2010): The giant bite of a new raptorial sperm whale from the Miocene epoch of Peru. Nature Vol. 466: 105-108 doi:10.1038/nature09067

23.06.2010

Kadanuumuu - il grande

Dall’Etiopia arriva la notizia del ritrovamento di ossa di gigante - un gigante per l’epoca in cui viveva.
Archeologi hanno pubblicato la ricerca condotta sui resti di un esemplare maschio di Australopithecus afarensis con un'altezza di 1,52m, 40cm più alto della celebre Lucy, anch’ essa appartenente alla stessa specie. Il fossile è stato denominato appropriatamente Kadanuumuu, che nella lingua degli Afar vuole dire "grande uomo".

Il reperto è stato dissotterrato nel 2005 nella regione dell’Afar (Etopia), è datato a 3,58 milioni di anni. Questa età si colloca tra Ardipithecus (4,4Ma), considerato uno degli ominidi più antichi finora conosciuti, ma la cui relazione evolutiva al genere Australopithecus non è chiara, e Lucy, più giovane di 400.000 anni.
Il fossile di Kadanuumuu grazie alla preservazione di molte ossa postcraniali finora mancanti nelle ricostruzioni dei Australopithechi ha riconfermato studi anatomici e biomeccanici condotti in precedenza su altri fossili di Australopithecus. Il genere poteva camminare eretto su due piedi in modo efficace e molto simile all’uomo moderno già 3,6 milioni di anni fa. I nuovi fossili inoltre mostrano una evoluzione delle proporzioni del torace e degli arti inferiori in A. africanus.
L'allungamento degli arti è un adattamento a una camminata potente è veloce, è conferma che questi adattamenti, insieme a altri, per la camminata bipede sono caratteri molto antichi.

Bibliografia:

SELASSIE, Y.H.; LATIMER, B.M.; ALENE, M.; DEINO, A.L.; GILBERT, L.; MELILLO, S.M.; SAYLOR, B.Z.; SCOTT, G.R. & LOVEJOY, C.O. (2010): An early Australopithecus afarensis postcranium from Woranso-Mille, Ethiopia. PNAS online June 21 doi: 10.1073/pnas.1004527107

17.06.2010

Identificate tracce di denti di mammifero su ossa del Cretaceo (tra cui di dinosauro)

Fig.1. Le tracce identificati come probabili segni di un mammifero che ha rosicchiato l’osso, da MUZZIN 2010.

In un comunicato di stampa provvisorio dell'Università di Yale viene annunciata la notizia che nella rivista "Paleontology" paleontologi hanno pubblicato la scoperta di impronte di denti di mammiferi su diverse ossa, tra cui anche di dinosauro. Se confermato, queste sono le più antiche testimonianze di questo tipo di ichnotraccia identificato finora.

Nicholas Longrich, dell'Università di Yale, è Michael J. Ryan, del Cleveland Museum of Natural History, hanno riscoperto varie ossa nella collezione dell' Università dell' Alberta e del Royal Tyrrell Museum, è altre ancora durante una campagna di scavi nella provincia di Alberta.
Tutti i fossili provengono da sedimenti del Cretaceo, i segni sono stati trovati su un femore di Champsosaurus (rettile aquatico), su una costola di dinosauro (Hadrosauria/Ceratopsia indet.), femore di presunto ornithischio e su una mandibola di un marsupiale.


L' attribuzione dei segni a dei mammiferi multitubercolati viene supposta sulla base di due solchi paralleli tra di loro, simile alla conformazione di due incisivi paralleli, caratteristica conosciuta solo dai mammiferi in quel periodo. Molte ossa mostrano multipli segni disposti in fila sulla circonferenza dell' osso.
I paleontologi assumono che le ossa sono state rosicchiate non per scarnificarli, ma per il loro contenuto di minerali e per soddisfare il bisogno alimentare supplementare dell' animale in questione.


Risorsa:

MUZZIN, S.T. (2010): Dinosaur-chewing mammals leave behind oldest known tooth marks. Online 16.06.2010, consultato 17.06.2010

21.05.2010

Il mammifero e il suo pelo

Una delle caratteristiche fondamentali di tutte le specie di mammiferi sono la presenza di peli sulla dermide, che fungono da strato isolante e giocano un importante ruolo nel mantenimento della temperatura corporea. La struttura dei peli può essere di importanza tassonomica, infatti, molte identificazioni in campo aperto e studi forensi si basano sul recupero e la determinazione di ciuffi strappati dalla peluria dell’animale. Grazie a questi studi per esempio è stato possibile identificare le pelli usati da “Ötzi” come indumenti, tra cui capra e cervo.I caratteri distintivi dei peli di mammifero sono.

- La struttura esterna dei peli: la forma e disposizione rispetto all'asse del pelo delle scaglie cuticolari.
- Il bordo delle singole scaglie.
- La grandezza e la distanza dei bordi delle singole scaglie rispetto all’intero pelo.

- La sezione trasversale e longitudinale del pelo e la forma della cavità centrale (medulla)

Fig.1. Le caratteristiche per descrivere il pelo di mammifero ( da BACKWELL et al. 2009).
- disposizione delle scaglie rispetto all’asse del pelo
- forma delle singole scaglie
- forma dei bordi delle singole scaglie
- distanza dei bordi delle singole scaglie ("grandezza delle scaglie")


Fig. 2. Esempi di strutture di peli osservate tramite microscopio elettronico. a,b) cercopiteco (Chlorocebus sp.), c) galago (Galago sp.), d) umano (Homo sapiens), preso da BACKWELL et al. 2009.

Con l'avvento delle tecniche genetiche, se in un pelo ritrovato è ancora integro il follicolo pilifero possono essere effettuati anche identificazione tramite il DNA delle cellule.

Anche se la ceratina, di cui sono composti i peli mammaliani, è abbastanza resistente alle intemperie del tempo, resti o impronte di peli di mammiferi sono abbastanza rari nel record geologico. Durante la fossilizzazione devono essere presenti condizioni particolari (p.e. ambiente anossico o asciutto), e gli spazzini che amano la ceratina come spuntino (p.e. coleotteri dermistidi) non devono avere accesso al reperto.

Dal Paleocene cinese (ca. 59-56 milioni di anni) sono conosciute impronte fossili di peli, conservati nelle feci di mammiferi carnivori e uccelli rapaci. La conservazione è talmente perfetta, che è stato possibile osservare le singole scaglie dei peli e a attribuire i resti a almeno quattro specie, tra cui probabilmente anche un rappresentante del genere Lambdopsalis, un Multitubercolato relativamente grande per i suoi tempi. La scoperta conferma che anche questi progenitori dei moderni mammiferi possedevano uno strato isolante costituito da peli.
Dalla Cina viene anche il più antico mammifero placentale con tanto di peli: Eomaia scansoria. Il fossile è stato rinvenuto nella formazione di Yixian (Provincia di Liaoning), datata al Cretaceo (125 milioni di anni). Lo scheletro conservato completo e in connessione anatomica è circondato dalla sagoma della folta pelliccia.


Nell’ambra sono conosciuti peli del Miocene della Repubblica Dominicana e del Mar Baltico, e dal Cretaceo della Francia è stato descritto l'esempio più antico finora conosciuto. Nel permafrost della Siberia e del Canada si sono conservati integri le pelurie di mammut e altri animali del Pleistocene.
La più antica testimonianza di capelli umani conosciuti fino all’ultimo anno erano resti trovati su una mummia del popolo dei Chincorro (Chile del Nord), datata a 9.000 anni, ma in un coprolite di iena vecchio più di 200.000 anni è stato descritto quello che viene interpretato come l’impronta di peli delle prime specie di Homo.

BIBLIOGRAFIA:

BACKWELL, L.; PICKERING, R.; BROTHWELL, D.; BERGER, L.; WITCOMB, M.; MARTILL, D.; PENKMAN, K. & WILSON, A. (2009): Probable human hair found in a fossil hyaena coprolite from Gladysvale cave, South Africa. Journal of ARcheological Science 36: 1269-1276
JI, Q.; LUO, Z.-X.; YUAN, C.X.; WIBLE, J.R.; ZHANG, J.-P. & GEORGI, J.A. (2002): The earliest known eutherian mammal. Nature (416): 816-822
MENG, J. & WYSS, A.R. (1997): Multituberculate and other mammal hair recovered from Palaeogene excreta. Nature 385(6618): 712-714

20.05.2010

Il (pelo di) mammifero nell'ambra

Fig.1. Il due frammenti di pelo conservato nell´ambra e disegni interpretativi con evidenziato la struttura esterna (da VULLO et al. 2010).

Sul suo blog Brian Switek ha riportato una nuova ricerca che descrive peli di mammifero in un'ambra di 100 milioni di anni fa. La scoperta del fossile è avvenuta nello stesso sito, nel sud ovest della Francia, che ha restituito già diversi mammiferi mesozoici e in cui l'anno scorso è stato recuperato il fossile di Arcantiodelphys.
L'attribuzione dei peli a un determinato gruppo di mammiferi recenti o fossili non è possibile, ma comunque la struttura esteriore assomiglia molto a peli di mammiferi moderni. Insieme al pelo nell'ambra si sono conservate anche larve di ditteri, che forse offrono un indizio tafonomico di come i peli siano finiti incastonati nella resina. Dato che molte larve di specie di mosce si cibano di carcasse, forse la resina ha inglobato parte di una carcassa di mammifero insieme a questi piccoli spazzini.


BIBLIOGRAFIA:

VULLO, R.; GIRARD, V.; AZAR, D. & NERAUDEAU, D. (2010): Mammalian hairs in Early Cretaceous amber. Naturwissenschaften. DOI: 10.1007/s00114-010-0677-8

03.05.2010

Mutant Mammoth

"We have genetically retrieved, resurrected and performed detailed structure-function analyses on authentic woolly mammoth hemoglobin to reveal for the first time both the evolutionary origins and the structural underpinnings of a key adaptive physiochemical trait in an extinct species. Hemoglobin binds and carries O2; however, its ability to offload O2 to respiring cells is hampered at low temperatures, as heme deoxygenation is inherently endothermic (that is, hemoglobin-O2 affinity increases as temperature decreases). We identify amino acid substitutions with large phenotypic effect on the chimeric ß/d-globin subunit of mammoth hemoglobin that provide a unique solution to this problem and thereby minimize energetically costly heat loss. This biochemical specialization may have been involved in the exploitation of high-latitude environments by this African-derived elephantid lineage during the Pleistocene period. This powerful new approach to directly analyze the genetic and structural basis of physiological adaptations in an extinct species adds an important new dimension to the study of natural selection."

Grazie ad una mutazione genetica anche la fisiologia del mammut era adattata alle condizioni estreme di una glaciazione.

Kevin Campbell e colleghi presso l'Università di Manitoba a Winnipeg, hanno scoperto che in questa specie anche il trasporto di ossigeno nel sangue si era adattato alle basse temperature. I ricercatori hanno analizzato il DNA di un mammut lanoso (Mammuthus primigenius) di 43.000 anni fa e lo hanno confrontato con il materiale genetico di moderni elefanti.

Grazie a una mutazione nel gene che codifica la produzione di emoglobina, i globuli rossi con la proteina modificata potevano facilmente acquisire e rilasciare l’ossigeno necessario anche a basse temperature.
Nei proboscidati moderni e nella maggioranza dei vertebrati con l’abbassamento della temperatura corporea l´energia necessaria per rompere il legame molecolare tra l’emoglobina e l’ossigeno aumenta, rendendo difficile e costoso in termini energetici il rilascio dell’ossigeno al tessuto corporeo, che rischia l’asfissia, soprattutto nelle estremità che si raffreddano velocemente.

Con la diversa configurazione degli aminoacidi, l’emoglobina nel sangue del mammut tendeva a legarsi con meno forza all’ ossigeno e per questo l´energia necessaria per rilasciare l´ossigeno era minore. Il mammut era in grado di sfruttare meglio l’ossigeno anche a basse temperature, senza perdita di energia supplementare per il processo fisiologico descritto, un notevole vantaggio nell’ ambiente freddo di una glaciazione in corso.


BIBLIOGRAFIA:
CAMPBELL, K.L.; ROBERTS, J.E.E.; WATSON, L.N.; STETEFELD, J.; SLOAN, A.M.; SIGNORE, A.V.; HOWATT, J.W.; TAME, J.R.H.; ROHLAND, N.: SHEN, T-J.; AUSTIN, J.J.; HOFREITER, M; HO, C.; WEBER, R.E. & COOPER, A. (2010): Substitutions in woolly mammoth hemoglobin confer biochemical properties adaptive for cold tolerance. Nature Genetics. Published online 02 May 2010: doi:10.1038/ng.574

Immagine introduttiva: Copertina di "Tarzan at the Earth's Core", disegno Frank Frazetta.

01.05.2010

Il Gene, l´Anfibio e il Mammifero

"The western clawed frog Xenopus tropicalis is an important model for vertebrate development that combines experimental advantages of the African clawed frog Xenopus laevis with more tractable genetics. Here we present a draft genome sequence assembly of X. tropicalis. This genome encodes more than 20,000 protein-coding genes, including orthologs of at least 1700 human disease genes. Over 1 million expressed sequence tags validated the annotation. More than one-third of the genome consists of transposable elements, with unusually prevalent DNA transposons. Like that of other tetrapods, the genome of X. tropicalis contains gene deserts enriched for conserved noncoding elements. The genome exhibits substantial shared synteny with human and chicken over major parts of large chromosomes, broken by lineage-specific chromosome fusions and fissions, mainly in the mammalian lineage."


Dawkins lo noterà con soddisfazione, dato che afferma che anche senza un singolo fossile possiamo provare l´evoluzione tramite la genetica - é stato pubblicato uno delle più complete sequenze di genoma di anfibio, più correttamente della specie di rana (Anura) Xenopus tropicalis.
Questa specie possiede 20.000 geni che codificano proteine, e la maggior parte di essi sono disposti nei cromosomi in modo simile a mammiferi (uomo) e uccelli (pollo).
Inoltre la specie Homo sapiens e Xenopus tropicalis hanno in comune l´80% dei geni che causano malattie ereditarie. Questo potrebbe significare che avevamo in comune degli antenati 360 milioni di anni fa?


BIBLIOGRAFIA:
HELLSTEN, U. et al. (2010): The Genome of the Western Clawed Frog Xenopus tropicalis. Science Vol.328(5978): 633 - 636. DOI: 10.1126/science.1183670

Immagine introduttiva: Copertina di "Frogs" del 1972

18.04.2010

T rex: Il re delle sanguisughe

In molti film di avventura é un’immagine ricorrente - il protagonista o una comparsa dopo aver attraversato una palude si toglie con disgusto delle sanguisughe (sottoclasse Hirudinea) dalla pelle. Ma c´e di peggio: mentre questi rappresentanti ectoparasiti normalmente si attaccano sull´ospite solo per un breve tempo, esistono tra gli Hirudinea anche specie che entrano nelle cavità del corpo, tra cui bocca, naso, occhi, ma anche aperture urogenitali e il recto, e sono noti per rimanerci per giorni o perfino settimane.
Mentre molte si queste specie sono opportuniste, alcune si sono adattate a uno specifico ospite, e l´uomo non fa eccezione,con dei parassiti personali. Esempi di infestazione nelle cavità interne di animali e uomini da parte di sanguisughe sono conosciuti da tutti i continenti, anche se si osserva una concentrazione nell´Africa e Asia.


Fig.2. Esempio di sanguisughe che attaccano le cavità nasali (C+D) Myxobdella annandalei e altri orifizi di mammiferi, tra cui occhi (A+B, Dinobdella ferox) da PHILLIPS et al. 2010.

La storia evolutiva di infestazione dei mammiferi, la sistematica e la filogenia di parassiti é ancora poco studiata, sopratutto per la mancanza di fossili di questi animali piccoli a corpo molle.
Un notevole progresso nella ricerca é l´attuale studio del materiale genetico delle specie conosciute.
In una recente ricerca viene presentata una nuova specie di sanguisuga, che infesta le cavità dell´uomo, e ha portato a notevoli risultati.
La specie Tyrannobdella rex ("Re delle terrificanti sanguisughe") é stata descritta dalle cavità nasali di diversi ragazzi peruviani, e raggiunge una lunghezza di 7cm.
Questa specie é unica nel suo genere in molti caratteri anatomici e la presenza sul continente americano sudamericano, di cui é l´unico rappresentante. Solo un´altra specie imparentata, Pintobdella chiapasensis, é stata descritta dal Messico. Ma T. rex differisce in molti punti dalle sanguisughe finora conosciute - possiede a differenza di altre specie (che né possiedono tre disposte a forma di Y) solo una singola "mandibola" con una file di pochi denti, che peró sono particolarmente sviluppati.

Fig.3. Morfologia comparativa di Tyrannobdella rex. A) Fotografia della singola "mandibola" con file di denti (Scala 100micrometri) estesa dall´apertura della "bocca". B) Ventosa anteriore con l´apertura boccale da cui esce la mandibola durante l´alimentazione (Scala 1mm). C) Immagine del profilo degli 8 denti sulla mandibola (Scala 100micrometri).D) Visione laterale della mandibola di un´altra specie di sanguisuga (Limnatis paluda) che mostra il tipico sviluppo dei denti degli Hirudinea - molti, ma piccoli denticoli (Scala 100micrometri) da PHILLIPS et al. 2010.

La distribuzione eterogenea di diverse specie di sanguisuga sulla terra con un simile stile di vita - di cibarsi del sangue nelle cavità di mammiferi- ha fatto pensare che si tratta di un’evoluzione convergente in diversi gruppi di sanguisughe.
Ma la nuova specie mostra caratteri che la collegano a altre specie con lo stesso comportamento, non solo sul continente americano, ma anche nel vecchio mondo. L´analisi effettuata sul materiale genetico conferma i caratteri morfologici e di comportamento - le sanguisughe che mostrano una preferenza per le cavità dei mammiferi si sono differenziati da un comune antenato.

Fig.4. Albero filogenetico ottenuto dallo studio delle sequenze mitocondriali di diverse specie di sanguisughe. Myxobdella, Praobdella e Dinobdella sono dei generi di Hirudinea che infestano l´uomo nel vecchio mondo. La nuova specie T.rex si colloca in questo gruppo e ne sottolinea l´origine monofiletica, da PHILLIPS et al. 2010.

Fig.5. Comune sanguisuga (Hirudo sp.) delle nostre latitudini.

BIBLIOGRAFIA:
PHILLIPS et al. (2010): Tyrannobdella rex N. Gen. N. Sp. and the Evolutionary Origins of Mucosal Leech Infestations. PLoS ONE 5(4): e10057. doi:10.1371/journal.pone.0010057

Immagine introduttiva: "Attack of the Giant Leches" (1959)

20.03.2010

Postura eretta non é un carattere unicamente umano

La postura eretta di noi umani é un carattere molto antico, già prima di 3,6 milioni di anni fa ominidi si muovevano efficacemente con questa tecnica. Comparando le impronte del sito di Laetoli, traccie lasciate 3,6 milioni di anni fa da alcuni ominidi attribuite al genere Australopithecus nella cenere del vulcano Sadiman, con tracce fresce di umani, ricercatori della University of Arizona sono riusciti a dimostare che le impronte sono molto simili tra di loro.

Gli scienziati hanno preparato una passerella di sabbia, in cui i partecipanti al test hanno lasciato le loro impronte di piede, per primo in postura eretta, poi in modo accovacciato (semieretto), simile ai moderni scimpanzé se si muovono sugli arti posteiori. Dalle impronte sono poi stati ricavati modelli tridimensionali.

Quando un umano cammina in posizione verticale, l'impressione e la profondità lasciate dalle dita dei piedi e il tallone è approssimativamente uguale. Tuttavia, se si muove come un scimpanzè, le dita dei piedi a causa della differente distribuzione del peso lasciano impronte più profonde. "Dopo aver analizzato gli scheletri di Australopithecus afarensis, ci aspettavamo che le impronte di Laetoli assomigliano a quelle lasciate dai partecipanti accovacciati", dichiare Raichlen, uno degli autori della ricerca.

Fig.1. Le due "simulazioni" di camminata, A) postura eretta e B) postura accovacciata, comparata all´impronta del sito di Laetoli (Tanzania), immagine presa da RAICHLEN et al. 2010.

Ma il risultato ottenuto dalle simulazioni é sorprendente, nelle impronte fossilizzate la profondita delle dita dei piedi e del tallone é simile - come negli esseri umani moderni. "Nonostante con un fisico che era ancora adattato a una vita temporanea negli alberi, si é sviluppato un moto della camminata simile a quello moderno. Questo tipo di movimento ha una alta efficienza energetica, un importante fattore nello sviluppo del camminare su due gambe."

BIBLIOGRAFIA :
RAICHLEN, D.A. et al. (2010): Laetoli Footprints Preserve Earliest Direct Evidence of Human-Like Bipedal Biomechanics. PLOS ONE (5)3
TYSON, E. (1751): The anatomy of a Pygmy compared with that of a monkey, an ape and a man. T. Osborne - London

26.01.2010

Bats and dolphins share the same evolution

Dolphins and bats have both evolved separately, but through the same genetic change, the specialized molecular structure of inner-ear hair cells that allow them to detect high frequency sounds and to use it for echolocation.

Scientists at Queen Mary, University of London have shown that the remarkable ability is shared by these very different animals at a much deeper level than anyone previously realised - all the way down to the molecular level.
Writing in the journal Current Biology, they describe how dolphins and bats have both evolved the same specialised form of inner-ear hair cells that allow them to use sophisticated echolocation: detecting unseen obstacles or tracking down prey by making a high frequency noise and listening for the echo that bounces back.

"The natural world is full of examples of species that have evolved similar characteristics independently, such as the tusks of elephants and walruses," said Stephen Rossiter of Queen Mary's School of Biological and Chemical Sciences. "However, it is generally assumed that most of these so-called 'convergent traits' have arisen by different changes in the animal's DNA. Our study shows that this very complex ability - echolocation - has in fact evolved by identical genetic changes in bats and dolphins."
According to Rossiter, the discovery represents an "unprecedented" example of convergence between two very different animals, and suggests that further studies might unearth more genetic similarities between species than scientists would have suspected.

"We were surprised by the strength of the evidence for convergence between these two groups of mammals, and, related to this, by the sheer number of convergent changes in the DNA that we found," he said.
Rossiter and colleague James Cotton teamed up with Shuyi Zhang from East China Normal University to sequence the Prestin gene, which describes a key protein found in the inner-ear hair cells of all mammals. The researchers discovered that this gene shows the very same changes in bats and dolphins, the results also clearly show how genetic changes have built up over time.

The Prestin protein is known to drive the vibration of the hair cells in response to sound. It is possible that the genetic changes observed in bats and dolphins allow more rapid vibrations and, therefore, the higher frequency hearing that is needed for echolocation. Rossiter added; "the fact that it is the very same genetic changes that occurred twice in nature suggests that there might be a limited number of evolutionary routes to high frequency hearing in mammals".
FONTE

Un notevole caso di convergenza evolutiva è stato osservato tra due gruppi di mammiferi superficialmente molto differenti tra di loro. Delfini e pipistrelli hanno evoluto separatamente, ma attraverso la stessa modificazione genetica, la struttura molecolare delle cellule ciliate interne dell'orecchio, che permettono loro di rilevare i suoni ad alta frequenza che utilizzano per l'ecolocalizzazione.

I ricercatori hanno sequenziato il gene che codifica la "Prestina", una proteina presente in tutte le cellule ciliate dell'orecchio mammaliano e che li rende elastici e abili a vibrare in risposta al suono. Nel gruppo dei pipistrelli e delfini il codice genetico e le mutazioni di esso sono identiche.
È possibile che le modificazioni specifiche del gene e della proteina osservate in questi due gruppi consenta alle cellule vibrazioni più rapide, e quindi percepire le frequenze che sono necessarie per l' ecolocalizzazione.

BIBLIOGRAFIA:
LIU et al. (2010): Convergent sequence evolution between echolocating bats and dolphins. Current Biology 20: R53-R54, 26.

25.01.2010

Bones and echolocation

Echolocation is an active form of orientation in which animals emit sounds and then listen to reflected echoes of those sounds to form images of their surroundings in their brains. Although echolocation is usually associated with bats, it is not characteristic of all bats. Most echolocating bats produce signals in the larynx, but within one family of mainly non-echolocating species (Pteropodidae), a few species use echolocation sounds produced by tongue clicks. Here we demonstrate, using data obtained from micro-computed tomography scans of 26 species (n = 35 fluid-preserved bats), that proximal articulation of the stylohyal bone (part of the mammalian hyoid apparatus) with the tympanic bone always distinguishes laryngeally echolocating bats from all other bats (that is, non-echolocating pteropodids and those that echolocate with tongue clicks). In laryngeally echolocating bats, the proximal end of the stylohyal bone directly articulates with the tympanic bone and is often fused with it. Previous research on the morphology of the stylohyal bone in the oldest known fossil bat (Onychonycteris finneyi) suggested that it did not echolocate, but our findings suggest that O. finneyi may have used laryngeal echolocation because its stylohyal bones may have articulated with its tympanic bones. The present findings reopen basic questions about the timing and the origin of flight and echolocation in the early evolution of bats. Our data also provide an independent anatomical character by which to distinguish laryngeally echolocating bats from other bats.

Fig.1. Tomografia di pipistrello con il sistema di ossa caratteristico per quelle specie che producono gli ultrasuoni nella laringe (Fonte: Robarts Research Institute).

Tra i pipistrelli non tutti usano l´ecolocazione, ma tra quelli che la usano si possono distinguere due tipi: quelli che producono gli ultrasuoni tramite lo schiocco della lingua, e quelli che usano la laringe. La ricerca condotta su 26 specie ha mostrato che in tutte le specie che usano il secondo metodo esiste un caratteristico ossicino che collega la laringe con il timpano dell´orecchio. Grazie a questa scoperta in futuro si potrà distinguere meglio anche il tipo di ecolocazione nelle forme fossili di pipistrelli, in più questo dettaglio potrebbe riaprire la discussione sul più antico pipistrello conosciuto -Onychonycteris finney- e se era capace di usare il sistema di orientamento tramite ultrasuoni.


BIBLIOGRAFIA:

VESELKA et al. (2010): A bony connection signals laryngeal echolocation in bats. Nature online publication 24 January 2010; doi:10.1038/nature08737