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08.11.2011

L´arte rupestre tra fauna preistorica e genetica

L´arte rupestre preistorica dell´Europea è molto ricca, più di 100 siti sono conosciuti, perlopiù in Spagna e Francia, con più di 4.000 rappresentazioni di animali. Più di un terzo di queste raffigurazioni mostrano cavalli in diversi stili artistici, da disegni dettagliati e molto naturalistici a forme astratte o semplici sagome disegnate con le dita sul suolo fangoso. La caverna di Pech Merle (Francia meridionale) è particolare dato che un grande disegno su una parete di roccia mostra macchie nere su sfondo bianco, sia dentro sia al di fuori della sagoma di due cavallini. Il disegno, datato a 25.000 anni, fu interpretato perlopiù come rappresentazione simbolica di significato conosciuto, poiché il particolare disegno di macchie nere e bianche é conosciuto solo da animali addomesticati da almeno 10.000 anni. 

Fig.1. Diverse rappresentazioni di cavalli nell´arte rupestre, esempi delle caverne di Lascaux, Chauvet e Pech Merle. Secondo analisi genetiche è possibile che tutte le raffigurazioni siano state ispirate da livree di animali reali - esempio di cavallo di przewalski e moderne razze di cavallo (immagine presa da PRUVOST et al. 2011).

Una nuova ricerca genetica ha ora rilevato che l´artista potrebbe essersi comunque ispirato ad animali reali. Un gruppo di ricercatori tedeschi e inglesi ha analizzato il DNA recuperato da trentuno resti fossili di cavalli, proveniente da tutta l´Eurasia e datati da 20.000 a 2.000 anni fa. Secondo i profili genetici ricostruiti diciotto cavalli avevano una pelliccia chiara, 7 erano scuri, ma 6 mostrano una mutazione genetica che causava una pelliccia a macchie bianche e nere. Le macchie bianche e nere erano particolarmente diffuse tra i resti fossili provenienti dall´Europa dell´est e ovest, dei dieci esemplari studiati quattro mostrano la particolare mutazione. Secondo i ricercatori è possibile che questa mutazione e livrea fossero molto più frequenti durante le fasi glaciali nella popolazione equina europee, poiché provvedeva una sorta di mimetismo nella tundra coperta da neve. Dopo i 14.000 anni la particolare varietà divenne molto rara, finche é stata riscoperta da moderni allevatori.
Comunque le raffigurazioni nell´arte rupestre, anche se fossero state ispirate dal mondo naturale, contengono anche molti particolari spirituali e un forte simbolismo. Le macchie di Pech Merle non sono solo distribuite sugli animali, ma anche in file attorno alla testa e il corpo dei due cavallini, con tanto d'impronte di mane umane. Il significato di questa composizione rimane un mistero.

Bibliografia:

PRUVOST, M. et al. (2011): Genotypes of predomestic horses match phenotypes painted in Paleolithic works of cave art. Proceedings of the Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America.

05.09.2011

Coelodonta thibetana e Megafauna

Una nuova specie di rinoceronte fossile descritta nella rivista Science aiuterà a ricostruire la storia evolutiva della Megafauna del Pleistocene. Molti caratteristici animali della tundra dell´era glaciale, tra cui il rinoceronte lanoso, il mammut o il cervo gigante, sono stati considerati specie autoctone dell´Eurasia, evolutosi in risposta ai cambiamenti climatici durante il Pleistocene.

I resti fossiliferi della nuova specie Coelodonta thibetana sono stati scoperti nel 2007 in sedimenti Pliocenici (ca. 3,7 milioni di anni) del bacino di Zanda sull'altopiano Tibetano. Il cranio di questa specie mostra alcune particolarità che sono state associate a una vita in ambienti freddi e con precipitazioni nevose.

- I molari hanno una corona alta, adatti a una dieta a base di piante dure come l´erba che caratterizza le steppe asiatiche.

- La base del (falso) corno del rinoceronte è appiattita e il corno stesso probabilmente era curvato in avanti e si espandeva sopra il muso. Questa particolare struttura potrebbe essere stata usata come una pala per liberare il suolo dalla neve - un simile carattere è conosciuto dalla specie Pleistocenica (ca. 2 milioni di anni) di Coleodonta antiquitatis, il comune rinoceronte lanoso dell'iconografia sull´era glaciale.

Questi caratteri erano in principio un adattamento a una vita nella steppa dell´altopiano, che si rivelarono favorevoli durante il raffreddamento del clima globale. Dall´altopiano il genere Coleodonta si diffuse verso la regione dell´odierna China con la specie Coelodonta nihowanensi,  verso la Siberia  con la specie Coelodontia tologoijensis e verso l´Asia e l´Europa con la specie Coleodonta antiquitatis.

Fig.1. Distribuzione geografica delle specie di Coelodonta secondo DENG.

L´associazione fossilifera a cui appartiene C. thibetana include più di 23 specie di mammiferi, tra cui alcune relative a delle moderne specie, come la  pecora azzurra nana (Pseudois schaeferi), il leopardo delle nevi (Panthera uncia), l'antilope tibetana (Pantholops hodgsonii) e il tasso (Meles sp.), ma anche specie estinte come Hipparion.
Un'associazione interessante, che include specie associate a steppe asciutte e fredde a specie di montagna e di distribuzione generale. La fauna della tundra pleistocenica probabilmente era un'associazione unica, che comprendeva animali che oggi troviamo nella tundra artica (fredda e umida) e altre specie adatte a un clima di steppa (fredda e secca). Durante il raffreddamento globale del Pleistocene questi due ecosistemi si avvicinarono geograficamente, e con essi le loro specie caratteristiche che formarono un'unica, oggi estinta, fauna.

Bibliografia:

DENG, T.; WANG, X.; FORTELIUS, M.; LI, Q.; WANG, Y.; TSENG, Z.J.; TAKEUCHI, G.T.; SAYLOR, J.E.; SÄILÄ, L.K. & XIE G. (2011):  Out of Tibet: Pliocene Woolly Rhino Suggests High-Plateau Origin of Ice Age Megaherbivores. Science Vol.333 (6047): 1285-1288

31.07.2010

Nuove specie di "ratto gigante" descritte dall´Indonesia

Ricercatori australiani hanno pubblicato l´immagine dei resti di una nuova specie di roditore fossile attribuita al genere Coryphomys, comparabile dalla morfologia con l´odierno genere Rattus, ma notevolmente piú grande con un peso stimato di 6 chilogrammi.
I resti fossili, che comprendono in complessivo 11 nuove specie di roditori, provengono da scavi archeologici in sedimenti di caverne datati dai 1.000 ai 2.000 anni dell´isola di Timor.
L´eta molto recente di questi fossili nutre un cauto ottimismo: Secondo i ricercatori é possibile che alcune di queste specie, conosciute al momento solo allo stato fossile, si rivelino tuttora viventi nella foresta pluviale che ricopre ancora il 15% dell´isola.

Fig.1. Comparazione dei resti fossili di Coryphomys con un cranio di ratto comune (Rattus rattus), vista ventrale, immagine AFP / CSIRO / Ken Aplin.

I rappresentanti dei Murinae (il gruppo che comprende topi e ratti) piú grandi viventi sono attribuiti al genere Mallomys, endemico dell´Indonesia, e che in alcune specie possono raggiungere un peso di 2 chilogrammi.

Bibliografia:

APLIN et al. (2010): Quaternary Murid Rodents of Timor Part I: New Material of Coryphomys buehleri Schaub, 1937, and Description of a Second Species of the Genus. Bulletin of the American Museum of Natural History: 3411 DOI: 10.1206/692.1

Video con esemplare di Mallomys:


07.07.2010

La tigre dai denti a sciabola: Il predatore perfetto si riconosce dalle sue ossa

Fig.1. Una rappresentazione di Smilodon del 1903, esempio del lavoro pionieristico di Charles R. Knight, figura da CHORLTON 1985.

Pochi predatori estinti sono noti al grande pubblicò come la tigre dai denti a sciabola, che viene ritenuta per le sue spettacolari zanne come perfetto esempio di mammifero predatore.
Ma lo studio della struttura e la forma delle zanne ha rivelato che possiedono una sezione ovale, è per questo, a differenza dei felini odierni, sono inadeguato a sopportare le forze di una preda che lotta per liberarsi dal morso del predatore (McHENRY et al. 2007). Secondo questo modello, per evitare una frattura dei canini, era necessario per questi predatori di gestire e immobilizzare la preda il più efficacemente possibile.

Confrontando radiografie della tigre dai denti a sciabola, Smilodon fatalis, del leone americano, Panthera atrox, e di 28 specie di felini moderni, una ricerca pubblicata di recente (MEACHEN-SAMUELS et al. 2010) ha osservato effettivamente che gli omeri degli arti anteriori di S. fatalis erano molto più spessi in relazione alla loro lunghezza, e la corteccia ossea esterna era più sviluppata in confronto a tutti gli altri felini studiati.

Sulla base di queste osservazioni, la ricerca deduce che Smilodon era un predatore potente che differisce dai felini esistenti nella sua maggiore capacità di sottomettere la preda usando gli arti anteriori. Questo sviluppo e la risultante forza maggiore degli arti anteriori faceva parte di un complesso adattamento guidata dalla necessità di minimizzare la durata e l’ entità della lotta per sopraffare la preda, al fine di proteggere gli allungati canini e di posizionare accuratamente il finale morso letale.


Bibliografia:

CHORLTON, W. (ed) (1985): Ice Ages (Planet Earth). Time-Life Books: 176
MEACHEN-SAMUELS, J.A. & VALKENBURGH, B. van (2010): Radiographs Reveal Exceptional Forelimb Strength in the Sabertooth Cat, Smilodon fatalis. PLOS One 5(7): e11412. doi:10.1371/journal.pone.0011412
McHENRY, C.R.; WROE, S.; CLAUSEN, P.D:; MORENO, K. & CUNNINGHAM, E. (2007): Supermodeled sabercat, predatory behavior in Smilodon fatalis revealed by high-resolution 3D computer simulation. PNAS Vol. 104(41): 16010-16015

23.06.2010

Kadanuumuu - il grande

Dall’Etiopia arriva la notizia del ritrovamento di ossa di gigante - un gigante per l’epoca in cui viveva.
Archeologi hanno pubblicato la ricerca condotta sui resti di un esemplare maschio di Australopithecus afarensis con un'altezza di 1,52m, 40cm più alto della celebre Lucy, anch’ essa appartenente alla stessa specie. Il fossile è stato denominato appropriatamente Kadanuumuu, che nella lingua degli Afar vuole dire "grande uomo".

Il reperto è stato dissotterrato nel 2005 nella regione dell’Afar (Etopia), è datato a 3,58 milioni di anni. Questa età si colloca tra Ardipithecus (4,4Ma), considerato uno degli ominidi più antichi finora conosciuti, ma la cui relazione evolutiva al genere Australopithecus non è chiara, e Lucy, più giovane di 400.000 anni.
Il fossile di Kadanuumuu grazie alla preservazione di molte ossa postcraniali finora mancanti nelle ricostruzioni dei Australopithechi ha riconfermato studi anatomici e biomeccanici condotti in precedenza su altri fossili di Australopithecus. Il genere poteva camminare eretto su due piedi in modo efficace e molto simile all’uomo moderno già 3,6 milioni di anni fa. I nuovi fossili inoltre mostrano una evoluzione delle proporzioni del torace e degli arti inferiori in A. africanus.
L'allungamento degli arti è un adattamento a una camminata potente è veloce, è conferma che questi adattamenti, insieme a altri, per la camminata bipede sono caratteri molto antichi.

Bibliografia:

SELASSIE, Y.H.; LATIMER, B.M.; ALENE, M.; DEINO, A.L.; GILBERT, L.; MELILLO, S.M.; SAYLOR, B.Z.; SCOTT, G.R. & LOVEJOY, C.O. (2010): An early Australopithecus afarensis postcranium from Woranso-Mille, Ethiopia. PNAS online June 21 doi: 10.1073/pnas.1004527107

31.05.2010

L’arte rupestre australiana: datata a 40.000 anni ?

Archeologi hanno annunciato negli ultimi giorni la scoperta (avvenuta due anni fa) di quello che potrebbero essere i più antichi esempi di arte rupestre del continente australiano. Il disegno in ocra rossa, situato nell’entroterra della terra di Arnhem, mostra apparentemente due grandi uccelli non volatori.

Fig.1. Immagine di Benn Gunn, tratta da MASTERS 2010.

Secondo un’interpretazione il disegno è stato ispirato dal genere Genyornis, che comprende uccelli giganti che secondo il record fossile (tra cui gusci di uova) si sono estinti tra i 43.000 e 40.000 anni fa.

L’archeologo Benn Gunn cita un paleontologo, rimasto al momento ancora anonimo, secondo cui i caratteri del disegno sono riconducibili all’uccello gigante, e chi ha realizzato il disegno doveva avere a disposizione un modello vivente. Nella zona sono già conosciuti esempi che mostrano la fauna preistorica dell’Australia, tra cui animali accertati come il Tilacino, ma anche di dubbia attribuzione come il leone marsupiale, l’echidna gigante o il canguro gigante.
I disegni non possono essere datati direttamente, dato che non sono composti da sostanze organiche, per questo se l’interpretazione degli animali rappresentati è corretta, due sono le interpretazioni possibili: i disegni datano almeno a 40.000 anni fa, prima dell’estinzione di Genyornis, o i disegni sono più recenti, è il genere al contrario di finora ritenuto si è estinto in tempi più recenti.

Questa interpretazione comunque è da considerare con molta cautela, l’identificazione di animali dipinti è molto speculativa, e se mai le rappresentazioni dovrebbero rappresentare una fauna reale, è non una fauna con caratteri religiosi o fantastici, gli uccelli in questione potrebbero essere stati ispirati anche da uccelli non volatori più piccoli e tuttora in vita nell’Australia, come per esempio il comune Emu (Dromaius novaehollandiae).

Inoltre è interessante notare che gli animali mostrano un disegno a strisce. Questo potrebbe rappresentare o un disegno naturale degli uccelli, o, dato che sembra una caratteristica frequente nei disegni di aborigeni, un simbolo forse religioso, smentendo le varie ricostruzioni fatti su questi particolari di marsupiali estinti come p.e. il leone marsupiale.


Bibliografia:


MASTERS, E. : Megafauna cave painting could be 40,000 years old. ABC News. Online 31. May 2010. Accessed 31.05.2010

03.05.2010

Mutant Mammoth

"We have genetically retrieved, resurrected and performed detailed structure-function analyses on authentic woolly mammoth hemoglobin to reveal for the first time both the evolutionary origins and the structural underpinnings of a key adaptive physiochemical trait in an extinct species. Hemoglobin binds and carries O2; however, its ability to offload O2 to respiring cells is hampered at low temperatures, as heme deoxygenation is inherently endothermic (that is, hemoglobin-O2 affinity increases as temperature decreases). We identify amino acid substitutions with large phenotypic effect on the chimeric ß/d-globin subunit of mammoth hemoglobin that provide a unique solution to this problem and thereby minimize energetically costly heat loss. This biochemical specialization may have been involved in the exploitation of high-latitude environments by this African-derived elephantid lineage during the Pleistocene period. This powerful new approach to directly analyze the genetic and structural basis of physiological adaptations in an extinct species adds an important new dimension to the study of natural selection."

Grazie ad una mutazione genetica anche la fisiologia del mammut era adattata alle condizioni estreme di una glaciazione.

Kevin Campbell e colleghi presso l'Università di Manitoba a Winnipeg, hanno scoperto che in questa specie anche il trasporto di ossigeno nel sangue si era adattato alle basse temperature. I ricercatori hanno analizzato il DNA di un mammut lanoso (Mammuthus primigenius) di 43.000 anni fa e lo hanno confrontato con il materiale genetico di moderni elefanti.

Grazie a una mutazione nel gene che codifica la produzione di emoglobina, i globuli rossi con la proteina modificata potevano facilmente acquisire e rilasciare l’ossigeno necessario anche a basse temperature.
Nei proboscidati moderni e nella maggioranza dei vertebrati con l’abbassamento della temperatura corporea l´energia necessaria per rompere il legame molecolare tra l’emoglobina e l’ossigeno aumenta, rendendo difficile e costoso in termini energetici il rilascio dell’ossigeno al tessuto corporeo, che rischia l’asfissia, soprattutto nelle estremità che si raffreddano velocemente.

Con la diversa configurazione degli aminoacidi, l’emoglobina nel sangue del mammut tendeva a legarsi con meno forza all’ ossigeno e per questo l´energia necessaria per rilasciare l´ossigeno era minore. Il mammut era in grado di sfruttare meglio l’ossigeno anche a basse temperature, senza perdita di energia supplementare per il processo fisiologico descritto, un notevole vantaggio nell’ ambiente freddo di una glaciazione in corso.


BIBLIOGRAFIA:
CAMPBELL, K.L.; ROBERTS, J.E.E.; WATSON, L.N.; STETEFELD, J.; SLOAN, A.M.; SIGNORE, A.V.; HOWATT, J.W.; TAME, J.R.H.; ROHLAND, N.: SHEN, T-J.; AUSTIN, J.J.; HOFREITER, M; HO, C.; WEBER, R.E. & COOPER, A. (2010): Substitutions in woolly mammoth hemoglobin confer biochemical properties adaptive for cold tolerance. Nature Genetics. Published online 02 May 2010: doi:10.1038/ng.574

Immagine introduttiva: Copertina di "Tarzan at the Earth's Core", disegno Frank Frazetta.

10.04.2010

Il genere Australopithecus

La descrizione di Australopithecus sediba ha aggiunto un´ulteriore rappresentante agli Australopiteci, un gruppo molto vasto come mostra il seguente resoconto:

Fig.1. Siti con resti fossili classificati o attribuiti al genere Australopithecus (Clicca per ingrandire la carta). Le zone rosse sono aree montuose. Dalla carta si riconosce il percorso della "Rift Valley", che attraversa quasi l´intero continente.

Australopithecus anamensis (4-3,9Ma): L´osso di un braccio di questa specie viene scoperta a Kanapoi, in Kenia, nel 1965. Il suo nome deriva da anam, che vuole dire lago, poiché le circostanze della scoperta fanno pensare che l´ominide viveva sulle sponde di un lago. I frammenti della tibia rinvenuti nel 1987 sulle sponde del Lago Turkana dimostrerebbero poi la postura eretta di questa specie di Australopiteco, progenitrice dell´A. afarensis.

Australopithecus afarensis (3,9-3,2Ma): Specie descritta tramite la scoperta della celebre "Lucy" il 30. novembre del 1974 nella regione etiopa di Afar. Ancora molti caratteri ancestrali: faccia larga con fronte bassa, naso piatto, mascella superiore sporgente e mandibola voluminosa di forma intermedia fra quella rettangolare e quella parabolica dell´uomo moderno. La specie viene considerata alla base della linea evolutiva umana.


Australopithecus africanus (3,5-2,3Ma): Il primo reperto risale al 1924, dalla caverna di Taung nel Sudafrica. Il cranio di questo esemplare di adolescente é arrotondato, con canini piú piccoli comparte a forme ancestrali. La posizione piú avanzata del foro occipitale fa supporre che fosse bipede. L´articolazione del ginocchio, tuttavia, mostra che l´andatura era piú vicina al modello delle scimmie antropomorfe di quanto non lo fosse quella di A. afarensis.


Australopithecus barhelghazali (3,5Ma): Specie rinvenuta nell´odierno Ciad, nel letto del fiume Bahr-el-Ghazal (il fiume delle gazzelle), ha messo in crisi le teorie scientifiche che ponevano l´Africa Orientale come culla esclusiva del genere Homo. L´unico reperto ritrovato é una mandibola con sette denti simile all´afarensis, ma con alcune differenze, come la sinfisi mandibolare piú verticale nella faccia interna e i premaolari a smalto.

Australopithecus boisei (2,3-1,2Ma): Riclassificato attualmente in un proprio genere Paranthropus. Uno degli ominidi piú grandi e robusti, adatto a una dieta alimentare vegetale con grandi molari, mascelle spesse a cui attaccavano possenti muscoli che a loro volta attaccavano alla cresta sagittale del cranio. Scoperto in Tanzania é stato uno degli ultimi Australopitheci a estinguersi ed ha convissuto con le prime specie di Homo.

Australopithecus aethiopicus (2,7Ma): Riclassificato attualmente in un proprio genere Paranthropus. Il primo ritrovamento é avvenuto in Etiopia e risale al 1968. I resti piú celebri provengono peró dal Kenya, dove viene alla luce un cranio detto "teschio nero" per la colorazione tramite ossidi di Magnesio presenti nel terreno. Discende dall´afarensis, del quale mostra lo stesso volto prominente, é il capostipite degli Paranthropus, con cui condivide la mascella rettangolare.


Australopithecus ramidus / garhi (5,2-4,4Ma): Riclassificato attualmente in un proprio genere Ardipithecus. I resti di 17 ominidi sono stati rinvenuti nel 1992 ad Asa Koma, in Etiopia. Le ossa delle articolazioi superiori e i denti rivelano dalle caratteristiche anatomiche ancestrali e una dieta vegetale, che fa pensare che questa specie abbia ancora molti tratti in comune con l´antenato comune di scimpanzé e ominidi. Il piede mostrerebbe una andatura bipede, nonostante il sua habitat naturale fossero le foreste.

BIBLIOGRAFIA:

DAY, M.H. (1986): Guide to Fossil Man. Butler & Tanner Ltd., London. 4th edition

RIVIECCIO, G. (ed.) (2007): L´evoluzione dell´uomo. NEWTON OGGI speciale. RCS Periodici.

28.03.2010

Bad Science made in Italy; Oppure uccelli elefante e DNA

Continua l´esplorazione negli abissi del giornalismo italiano scientifico, e come effetto collaterale più piacevole, nel mondo degli uccelli giganti. La " Repubblica" parla di una ricerca che ha estratto DNA da gusci fossili.

"L'uccello elefante (Aepyornis, epiornite) a confronto con l'uomo. In questa illustrazione, realizzata da Irene Deluis, l'enorme volatile appare in tutta la sua maestosità. L'immagine è stata diffusa dalla Murdoch University di Perth, in Australia. Per la prima volta nella storia, i ricercatori australiani sono riusciti a estrarre da alcuni gusci di uova fossilizzati il dna di questo animale leggendario. Si tratta di una specie che popolava le coste del Madagascar, scomparsa nel 1700 a causa della colonizzazione europea. Secondo gli studiosi, gli epiorniti erano gli uccelli più grandi mai visti in natura: potevano misurare fino a 3 metri e più d'altezza, per un peso di oltre mezza tonnellata. Le loro uova avevano una circonferenza di più di un metro e una lunghezza di oltre 35 centimetri. Il loro volume era circa 160 volte quello di un uovo di gallina."

Fig.2. Ricostruzione di Aepyornis maximus da BURIAN 1972.

Peccato che venga dato più credito a trivia sull´uccello elefante - Aepyornis - che alla ricerca stessa, per esempio chi l´ha pubblicata e dove, cosa é stato scoperto, come é stato estratto il materiale, cosa significa per la ricerca la possibilità di estrarre DNA da materiale fossile.
A parte che le uova studiate rappresentano diverse specie di uccelli, non tutti giganti, da diverse isole e continenti, dalla ricerca emerge che l´attribuzione di alcuni frammenti di uovo a Aepyornis rimane dubbia.


DNA antico é stato estratto dai piú disparati resti organici, da ossa e tessuto mummificato, peli e unghie, coproliti, sedimenti e penne, con risultati di vario successo.
Ora anche da 18 frammenti di gusci di vari generi di uccelli ricercatori sono riusciti a estrarre e analizzare frammenti di DNA. I resti studiate comprendono varie specie attuali e estinte tra cui il Moa (Dinornithiformes, forme imparentate con i moderni Ratiti) e diverse specie di anatre della Nuova Zelanda, uccelli elefante del Madagascar (Aepyornis e Mullerornis, anche essi imparentati con i moderni Ratiti), uccelli del tuono (Genyornis) Emu e specie di gufi dell´Australia. Complessivamente i fossili comprendono età tra circa 400 a 50.000 anni.
Il materiale che compone il guscio d´uovo é composto principalmente da carbonato di calcio cristallino sotto forma di calcite (97%) e una matrice organica composta da proteine e resti di cellule (3%).

Fig.3. Uovo indeterminato del Madagascar.

Il materiale genetico era in alcuni fossili in un ottimo stato di conservazione, sia la sequenza mitocondriale che del nucleo sono state amplificate con successo. I gusci secondo la ricerca rappresentano un ottimo substrato per proteggere materiale genetico dalla decomposizione in un ambiente caldo, in cui normalmente materiale organico va perso velocemente, anche la possibile contaminazione con batteri è minore in comparazione alle ossa. Grazie al DNA estratto é stato anche possibile attribuire alcuni fossili di provenienza sconosciuta alle rispettive specie, mentre gran parte dei frammenti di uova attribuite a Aepyornis sono state riclassificate come deposte da Mullerornis.

Fig.4. a) Sezione di guscio di uovo di Moa (Dinornis robustus) con la struttura schematica. b) Superficie esteriore di uovo di Moa, sono riconoscibili i pori che consentono la diffusione di gas dall´uovo. C) uovo attribuito dalla morfologia a uccello elefante (Aepyornis maximus). d) Anatra (Anas sp.) e e) Emu (Dromaius novaehollandiae). Scala 2mm. Le uova di uccello elefante sono le piú grandi conosciute, con una circonferenza fino ad un metro, e una lunghezza di 30cm. Immagine presa da OSKAM et al. 2010.

La piú grande specie di uccello elefante conosciute tra le 6 a 12 specie della famiglia degli Aepyornithidae era Aepyornis maximus, con un peso stimato di quasi 0,45 tonnellate. L´esatta cronologia dell´estinzione degli uccelli elefante é ancora incerta. 2.000 anni fa i primi coloni umani raggiunsero l´isola, insieme a animali domestici e probabilmente anche passeggeri clandestini, come roditori. Caccia, distruzione dell' habitat, predazione delle uova da parte di umani e specie aliene, e forse patogeni importati con le galline dei coloni hanno portato all´estinzione l´intera famiglia prima del 1600, anche se alcuni ricercatori ritengono plausibile una sopravvivenza fino al 19 secolo.

BIBLIOGRAFIA :

OSKAM et al. (2010): Fossil avian eggshell preserves ancient DNA. Proceedings of the Royal Society Biological Sciences. Published online 10 March 2010; doi: 10.1098/rspb.2009.2019
Immagine introduttiva: Copertina di "Turok - Son of Stones" del Luglio 1977

17.03.2010

Uccelli del terrore

La era Cenozoica viene spesso riferita come era dei mammiferi, ma naturalmente come già GOULD ci ricorda, i mammiferi erano un elemento nella fauna e flora, e vale la pena approfondire l´argomento su altri gruppi di animali che hanno condiviso ere geologiche e ecosistemi con noi mammiferi.

Mentre la storia evolutiva tra dinosauri e uccelli riscontra grande interesse nel pubblico, la paleontologia degli uccelli veri e propri é ristretta a un gruppo limitato di interessati, ma il record fossile degli uccelli, al contrario di quanto si pensa per via delle ossa leggere e friabili, é abbondante per l´intero Cenozoico.
Molti sono i siti in cui sono stati portati alla luce non solo ossa di mammiferi, ma anche di uccelli.
Nell'Europa si trovano importanti siti fossiliferi che hanno restituito ossa e perfino completi scheletri di uccelli del Paleogene (65-24Ma), tra cui i più importanti sono il sito di Messel (Eocene della Germania), la formazione del "London Clay" (Eocene inferiore dell'Inghilterra) e i sedimenti che riempiono le fessure del carso di Quercy (Eocene medio a Oligocene superiore della Francia).

La paleogeografia del Paleogene è caratterizzata dalla separazione dell'Europa dal Nord America durante l'Eocene inferiore, la chiusura dello stretto di mare di Turgai, che aveva separato l'Europa dall'Asia durante il Giurassico fino all'Oligocene, e la deriva dell'Australia verso nord durante l'Oligocene. Il clima, all'inizio ancora caldo e umido, durante l'Eocene e soprattutto nell'Oligocene mostra un calo della temperatura media globale, di conseguenza le vaste foreste tropicali si spostano verso l'equatore e vengono rimpiazzate nelle medie latitudini da steppe e praterie.

Forse proprio questo ambiente aperto e vasto favorisce l'evoluzione di inusuali predatori: Il Paleocene e l'Eocene inferiore nell'Europa e Nord America vedono l'avvento di giganteschi uccelli, che invece di volare evolvono possenti arti inferiori, adatti alla locomozione terrestre.

La famiglia dei Gastornithidae (Diatrymidae) raggiungeva anche un'altezza di 2m, e rappresentano verosimilmente un gruppo affine agli Anseriformis, di cui fanno parte le odierne anatre. A differenza delle rappresentazioni che li mostrano cacciare mammiferi, preferenzialmente sotto forma di un piccolo cavallo, non è accertato che si tratta di uccelli carnivori.

Fig.1. Rappresentante di Diatrymidae secondo BURIAN

Nel Miocene dell'Australia viveva Bullockornis planei, specie descritta nel 1998 da Peter Murray e Dirk Megirian, rappresentante degli uccelli tuono o Mihirungs (Dromornithidae, famiglia descritta nel 1839), uccelli che si sono estinti appena nel tardo Pleistocene (secondo alcuni autori le rappresentazioni di enormi impronte di uccelli nell'arte rupestre australiana è stata ispirati da incontri con questi animali). Anche se imparentati a loro volta con gli Anseriformis, la loro somiglianza con i Gastornithidae non risulta da una parentela diretta, ma da un'evoluzione parallela e convergente.
Erano animali che potevano raggiungere anche un peso stimato di mezza tonnellata, praticamente il più grande uccello mai esistito.
Lawrence M. Witmer e Kenneth D. Rose nel 1991 studiando il massivo becco e gli attaccamenti della muscolatura conclusero che questi caratteri sarebbero di gran lunga troppo sviluppati per un erbivoro, ma resta il dubbio sul modo in cui si cibavano questi animali. Il grande lobo olfattivo degli uccelli del tuono fa pensare che forse non erano cacciatori attivi, ma la loro dieta comunque comprendeva anche carcasse.

Anche sul continente sudamericano uccelli giganti sono sopravissuto per un periodo ben più lungo che in Europa, resti degli uccelli del terrore (Phorusrhacidae) sono conosciuti dal Paleocene fino al Pliocene. Questo gruppo come ulteriore esempio di evoluzione convergente non ha nulla a che fare con i primi due, ma è imparentato con il recente Seriemas, l'unico rappresentante moderno dei Cariamidae con due specie, il Seriemas dalle gambe rosse (Cariama cristata) e dalle gambe nere (Chunga burmeisteri). Questo gruppo nel passato geologico ha mostrato una considerevole diversità nelle sue specie. Esistevano forme piccole e di struttura gracile, ma è conosciuto anche un cranio fossile che raggiunge i 70cm di lunghezza.

Fig.2. Rappresentante di Phorusrhacidae secondo BURIAN

Caratteristici animali del Sudamerica, con la formazione dell'istmo di Panama nel Pliocene solo una specie di uccello del terrore si disperde fino all'odierna Florida, ma ben presto segui il destino delle altre specie di uccelli del terrore, e si estingue senza discendenti. Non è ben chiaro il motivo di questa estinzione, anche se la contemporanea migrazione di grandi carnivori placentali verso il Sudamerica sembra implicare una concorrenza tra i due gruppi, e una battaglia per le risorse e le prede che i grandi predatori pennuti alla fine non sono riusciti a decidere per se.

BIBLIOGRAFIA:
ALVARENGA & HÖFLING (2003): Systematic revision of the Phorusrhacidae (Aves: Ralliformes). Papéis Avulsos de Zoologia; Museu de Zoologia da Universidade de São Paulo. Volume 43(4):55-91
GOULD, S.J. (2004): The evolution of life on earth. Scientific American Special Edition: Dinosaurs and other Monsters. Vol.14 (2)
MARSHALL, L.G. (2004): The Terror Birds of South America. Scientific American Special Edition: Dinosaurs and other Monsters. Vol.14 (2)
MAYR, G. (2007): Die Vogelschar vor Fink und Star: Paläogene Vögel. Biologie in unserer Zeit. 37 (6): 376-382
OUZMAN et al. (2002): Extraordinary Engraved Bird Track from North Australia: Extinct Fauna, Dreaming Being and/or Aesthetic Masterpiece? Cambridge Archaeological Journal. 12(1): 103-112

15.03.2010

La fauna pleistocenica nel tempo del sogno

"Secondo un mito degli Aborigines, la dea-madre sole creo gli animali con una premessa, dovevano convivere pacificamente. Ma ben presto prevalse l'invidia tra di loro, é cominciarono a litigare. La dea-madre cosi ritorno sulla terra, é decise di esaudire a tutti gli animali il loro desidero, potevano scegliere da se la forma che volevano assumere. Per questo oggi sul continente australiano troviamo cosi strani animali."
PROTHER, D. (2007): Evolution: what the fossils say and why it matters. New York, Columbia

Fig.1.

La mitologia, e l'arte degli Aborigeni dell'Australia conosce forme astratte ma anche rappresentazioni eseguite fedelmente dal modello naturale, a tal punto da mostrare l'anatomia interna dei canguri o altri animali del loro ambiente. Considerando questo, ci si può chiedere se grazie alle pitture rupestri non sia possibile trarre spunti per le ricostruzioni di animali estinti oggigiorno, ma che durante le prime fasi di colonizzazione dell'Australia esistevano ancora, e verosimilmente ci fu contatto tra uomo e animale.

Gli aborigeni odierni descrivono ancora creature simili ad un coniglio gigante - KADIMAKARA e GYEDARRA, ed anche in Nuova Guinea orientale viene descritto una creatura gigante con il nome di GAZEKA.
Nella tradizione orale degli Aborigeni del New South Wales si racconta di una guerra tra uomini e canguri giganti, e solo i sciamani del popolo degli Adnyamathanha (Sud Australia) sono in grado di vedere un YAMUTI, essere mitico che viene rappresentato come canguro gigante.
Fossili confermano che la megafauna del Pleistocene australiano comprendeva anche diverse specie di canguri di stazza maggiore degli odierni rappresentanti, tra cui Procoptodon, il canguro dal muso corto, un animale erbivoro.
Ma sono conosciuti anche canguri carnivori, tra cui Propleopus e Ekaltadeta (Potoroidae: Propleopinae, canguri-ratto, con il rappresentante moderno Hypsiprymnodon moschatus), specie che potevano raggiungere stimati 20 a 60kg.

Esistono esempi accertati di rappresentazioni del Tilacino nell´arte rupestre degli Aborigeni dell'Australia datati almeno a 3.000 anni, l'animale è riconoscibili dalla forma del corpo e muso, inoltre mostra le caratteristiche strisce sul dorso. Queste raffigurazioni possono essere trovati sulla penisola di Burrup e la regione del Pilbara (Australia dell'Ovest).

Una delle pitture rupestri nel Northern Territory (Kakadu National Park) mostra un grosso animale con quattro zampe ed un grosso naso, accanto ci sono due animali simili, ma più piccoli. Alcuni studiosi ritengono che si possa trattare dell´immagine di una femmina e cucciolo di Palorchestes azael - un marsupiale imparentato col wombat gigante, con una presunta proboscide sul naso e p.q. riferito come elefante marsupiale. La forma della coda dell´arte rupestre ricorderebbe quella dei marsupiali in generale (tozza e muscolosa, con ampia base) ed l'immagine da l'impressione che l' animale sia coperto da una densa pelliccia.

Fig.2. La presunta rappresentazione di Palorchestes.

La datazione di questa immagine pero é dubbia, dai 6.000 ai 20.000 anni, come peraltro é dubbia l´esatta data dell´estinzione della megafauna australiana.

Nel giugno 2008 Tim Willing scopri a nord-ovest di Kimberley, in una caverna sulla costa dell'Admirality Gulf, la rappresentazione di un grande animale quadrupede con delle strisce sul dorso.

Fig.3. La presunta rappresentazione di Thylacoleo, tratto da AKERMAN & WILLING 2009.

La forma del muso tozzo, le prominenti strisce cha ricoprono l´intero dorso, le zampe con singoli digiti, un possibile canino protruso e l'impressione generale di un animale muscoloso hanno fatto pensare che l´artista non abbia rappresentato un tilacino, ma il leone marsupiale - Thylacoleo carnifex. Altri disegni antichi che secondo alcuni autori mostrano questo animale sono localizzati nella terra di Arnhem e nella regione del King George River (Kimberley).

Se questa attribuzione é corretta, questi disegni ci danno affascinanti informazioni sull`aspetto dell'animale, informazioni che i soli resti fossili non possono dare. Secondo una ricostruzione basata sull'interpretazione dell'arte rupestre, Thylacoleo possedeva una coda con una terminazione pelosa, orecchie appuntite, occhi grandi e prominenti (adatti a una vita notturna?) e strisce, simili al Tilacino, che pero coprivano l´intero dorso, senza raggiungere i fianchi e il ventre.

Fig.4. Ricostruzione di Thylacoleo carnifex secondo ANTON 1997.

BIBLIOGRAFIA:
AKERMAN, K. & WILLING, T. (2009): An ancient rock painting of a marsupial lion, Thylacoleo carnifex, from the Kimberley, Western Australia. Antiquity Vol. 83(319)
ANTON, M. & TURNER, A. (1997): The big cats and their fossil relatives.Columbia University Press
WATERHOUSE, G.R. (1846): A natural history of the mammalia. Vol.1. Marsupalia or pouched animals.Wilson & Ogilvy, London.

WROE, S. (2001): The lost kingdoms of Australia. Newton March-April: 98-104
WROE, S.(1999): Killer kangaroos and Other Murderous Marsupials. Scientific American May: 58-64

20.02.2010

Pachycrocuta

In Italia, l’inizio dell’età a mammiferi Villafranchiano (3,2-1,1Ma) vede un profondo rinnovamento faunistico, che segna la transizione tra faune plioceniche arcaiche, adattate a un ambiente caldo-umido subtropicale, a faune a carattere più moderno, adattate a condizioni climatiche più fresche e meno umide. In Italia giungono nuove specie sia di carnivori sia di erbivori, e si diffondono alcune forme adattate a spazi aperti. Fra i carnivori fanno la loro comparsa la iena cacciatrice Chasmaportetes lunensis, una delle prime specie di iene in Europa, ma ancora scarsamente adattata alla triturazione delle ossa.

Fig.1. Iena maculata (Crocuta crocuta) da GEIKIE 1914

Nel quadro generale si assume che le iene si sono estinte sul continente europeo alla fine dell´ultima glaciazione, anche se non esiste una chronologia del declino assoluta sull´intero territorio. Durante il Pleistocene superiore in Europa vivevano due specie di iene, Hyaena hyena, la ieana striata, e Crocuta crocuta, l´iena maculata.
In depositi della Spagna al termine del Pleistocene i ritrovamenti di queste specie divengono rari, mentre in quelli italiani mancano completamente. C. crocuta é documentata qui dal medio al Pleistocene superiore, uno dei più giovani siti é la caverna di San Teodoro in Sicilia, ultima bastione di questi animali sul continente con la subspecie C.crocuta subsp. spelaea, Goldfuss 1832.


Fig.2. Pachycrocuta brevirostris da TURNER & ANTON 1996, scala = 20cm.

Il primo fossile di Pachycrocuta descritto e rappresentato da Boule (1893) é un cranio del Pleistocene inferiore dal sito di Sainzelles nella Auvergne (Francia). Da allora resti di questa specie sono stati ritrovati sull´intero continente europeo fino alla regione del Mar Nero e attraverso l´Asia centrale fino in China.
Di eta maggiore (3-1,5Ma) sono i fossili dell´Africa. Il più antico resto occorre negli depositi della caverne di Makapansgat nella provincia del Transvaal. Mentre la specie si estingue sul continente africano circa un milione e mezzo di anni fa, il più antico sito europeo é quello del Pleistocene inferiore (1,6Ma) dei depositi di Olivola in Italia, da li in poi é rappresentata in molti siti europei, fino alle ultime apparizioni in siti del Pleistocene medio nella Germania (Süssenborn).


Caratteristica prominente é la mole del animale, comparabile a un leone recente, anche se questa considerazione é basata sopratutto su resti di cranio, mandibole e denti - resti dello scheletro postcraniale sono rari e frammentari.


Fig.3. Mandibola di Pachycrocuta. Le iene usano i premolari con le punte tozze per spaccare ossa. Meccanicamente sarebbe favorevole usare l´ultimo dente - il molare, vicino al punto di rotazione, ma questo ha già un altra funzione, come "forbice" per tagliare carne (da ANTON & TURNER 1997).

BIBLIOGRAFIA:
GEIKIE, J. (1914): The antiquity of man in Europe. Oliver & Boyd. Edinburgh
TURNER, A.& ANTON, M. (1996): The giant hyaena, Pachycrocuta brevirostris (Mammalia, Carnivora, Hyaenidae). GEOBIOS, 29(4): 455-468
ANTON, M. & TURNER, A. (1997): The big cats and their fossil relatives.Columbia University Press
YLL, R..; CARRION, J.S.; MARRA, A.C. & BONFIGLIO, L. (2006): Vegetation reconstruction on the basis of pollen in Late Pleistocene hyena coprolites from Teodoro Cave (Sicily, Italy). Palaeogeography, Palaeoclimatology, Palaeoecology 237: 32-39

12.02.2010

A new species of bull from the Early Pleistocene

The origin of the genus Bos is a debated issue. It has traditionally been linked with that of the genera Leptobos and Bison, two Eurasian forms. The oldest record of Bos, B. primigenius, in Eurasia is at Venosa-Notarchirico, Italy ( 0.5 to 0.6 Ma). However, the oldest published evidence of modern Bos is a skull fragment from Asbole, Lower Awash Valley, Ethiopia ( 0.6 to 0.8 Ma). This paper describes a new species, Bos buiaensis, from Buia, Eritrea (1.0 Ma). B. buiaensis shows a combination of primitive characters of the African Late Pliocene and Early Pleistocene form Pelorovis sensu stricto and derived characters of B. primigenius. This new finding demonstrates that Bos has been part of the human ecological landscape since the beginning of the genus Homo in the African Late Pliocene.

Viene riportato la scoperta dall’Eritrea di resti fossili datati a 1 milioni anni di una nuova specie di bovide, Bos buiaensis. La specie descritta ha caratteristiche intermedie tra bovidi più antichi e quelli moderni, che la rendono essenzialmente un anello mancante tra i più moderni rappresentanti del gruppo che si trovano in Eurasia, e gli antenati delle razze di bestiame africane.

Fig.1. Il cranio ricostruito della nuova specie Bos buiaensis insieme ai ricercatori Martinez-Navarro Bienvenido (a sinistra) e Francesco Landucci (Fonte immagine).


BIBLIOGRAFIA:

NAVARRO et al. (2010): A new species of bull from the Early Pleistocene paleoanthropological site of Buia (Eritrea): Parallelism on the dispersal of the genus Bos and the Acheulian culture. Quaternary International Vol.212(2): 169-175

08.02.2010

La tafonomia di fessure e caverne

La maggior parte di ampie cavità si generano in litologie solubili al contatto con l’acqua, come formazioni carbonatiche o evaporitiche. Queste fessure o caverne sono in grado di "raccogliere" animali durante un certo intervallo di tempo semplicemente per la caduta degli animali in essi, o intrappolamento all'interno. In questo ambiente altrimenti inaccessibili le ossa sono anche protetti da spazzini o dalle intemperie del tempo. Accumulazione di ossa nelle grotte erano conosciute fin dall'antichità, per esempio marinai greci raccontano, che avrebbero scoperte le ossa dei Ciclopi nelle grotte dell'isola di Sicilia. Alcuni secoli più tardi, il gesuita tedesco Athanasius Kircher visitò e studiò queste ossa, e nel 1678 pubblico una relazione dettagliata, il “Mundus subterraneus”, annunciando che i resti rappresentavano almeno quattro tipi diversi (e con diverse dimensioni ) di giganti preistorici. Solo secoli più tardi i fossili furono riconosciuti ad appartenere a elefanti del Pleistocene.

Fino al 1970 gli accumuli di ossa sono stati in gran parte attribuiti alle attività umane, anche se le osservazioni precedenti dimostravano come carnivori erano in grado di raccogliere le ossa e di processarle in modo analogo a quello umano.


Fig.1. Caverna con breccie ossifere in una stampa del 1849.

"Ho avuto l'opportunità di vedere una iena del Capo a Oxford ... sono stato anche in grado di osservare le modalità di distruzione delle ossa: lo stinco di un bue presentato a questa iena, ha cominciato a mordere via con i molari grossi frammenti dall’estremità superiore, e li inghiottì velocemente a pari della loro frammentazione. Al raggiungere della cavità midollare, l’osso si spacco in frammenti angolari ... continuava a spaccarli finché aveva estratto tutto il midollo ... Ciò fatto, ha lasciato intatto il condilo inferiore, che non contiene midollo, ed è molto duro. Lo stato e la forma dei frammenti residui sono proprio come quelli a Kirkdale; i segni dei denti su di essi sono molto pochi ... queste pochi, tuttavia, sono del tutto simile alle impressioni che troviamo sulle ossa di Kirkdale; le schegge piccole anche in forma e dimensioni, e nel modo di frattura, non sono distinguibili da quelle fossili ... non c'è assolutamente nessuna differenza tra di loro, tranne nel punto di età." BUCKLAND 1823

Un sito importante per la ricchezza di resti, e che combina i processi sopra descritti, è rappresentato da Pirro Nord, situato in una cava al margine nord-occidentale del promontorio del Gargano, vicino al villaggio di Apricena, nella Puglia. Qui nei sedimenti che riempiono una vasta rete carsica, sono stati scoperti ossa e scheletri di una grande varietà di mammiferi e altri vertebrati (anfibi, uccelli e rettili), che vengono datati dal Miocene fino al Pleistocene. L'accumulo di grandi mammiferi è dovuto in parte alla caduta o intrappolamento dei animali all'interno delle cavità più ampie (una serie di scheletri articolati è indicativa di accumulo senza trasporto), ma anche dal successivo trasporto fluviale delle carcasse all'interno della rete carsica. L'abbondanza di ossa e di coproliti di iena Pachycrocuta brevirostris, così come la presenza di numerosi segni di morsi sulle ossa fossili, suggerisce che questa specie ha svolto un ruolo importante nell’accumulo locale delle ossa.

Fig.2. Cava Dell´Erba, si riconosce le fessure riempite di argille rosse.

Fig.3. Fessura con riempimento di argille, dette terra rossa.

Fig.4. Ossa di micromammiferi.

BIBLIOGRAFIA:
BUCKLAND (1823): Reliquiae Diluvianae, or, Observations on the Organic Remains attesting the Action of a Universal Deluge.

Pleistocene Local Faunas Assemblages of Calabria

In this paper, current knowledge about Pleistocene mammals of Calabria has been updated, critically discussed, and conformed to the biochronological framework of Italy. Since the palaeogeography obviously influenced the mammalian distribution, Pleistocene maps hav been included and discussed. In Calabria, the Pleistocene fossil record of mammals is discontinuous in time and space. 15 Local Faunal Assemblages (LFA) have been selected and located in the biochronological chart of Italy. The most representative LFAs of Calabria, attributed to the Late Pleistocene, seem to be impoverished if compared to those of the rest of Italy. They are made by ubiquitous species of warm-temperate climate. The possible insular phase of Southern Calabria at the beginning of Late Pleistocene (MIS5) is discussed and rejected on the basis of the paleogeographical reconstruction and the absence of well documented endemic mammals. the role of Calabria as a dispersal way to Sicily has a consistent relevance in the discussion about evolutionary patterns in island environment. It seems that Calabria acted as a first filter to faunal spreading to Sicily and that the Strait of Messina was a weak sea-barrier in the late Middle Pleistocene and Late Pleistocene.

Fig.1. Geographic location of the studied sites (from MARRA 2009).

Fig.2. Pleistocene Local Faunas Assemblages of Calabria correlated to the standard mammal biochronology of Italy (from Marra 2009).

References:
MARRA, C.A. (2009): Pleistocene mammal faunas of Calabria (Southern Italy): biochronology and paleobiogeography. Bollettino della Societá Paleontologica Italiana, 48(2): 113-122

03.03.2009

La storia dell´uomo la racconta l´iena

Un team di ricerca dell´Università di Wits (Sudafrica) ha annunciato in un articolo pubblicato nella rivista "Journal of Archaeological Science" di avere scoperto quello che sembrerebbero i più antichi "capelli" umani finora conosciuti.
Il ritrovamento é avvenuto in dei coproliti di´iena - cioè escrementi fossilizzati - nella caverna di Gladysvale (Sudafrica), luogo conosciuto per il ritrovamento di fossili di ominidi.
I capelli umani fossili più antichi finora conosciuti erano stati datati a 9.000 anni - scoperti su una mummia della catena montuosa delle Ande - Sudamerica.
I coproliti ora analizzati di iena sono parte di un grosso mucchio - una vera e propria latrina usata da questi animali per diverse generazioni- con un’età compresa tra i 195.000 a 275.000 anni.

I fossili, che rappresentano le impronte di capelli impresse nel carbonato, che ha sostituito l´originale materiale organico, a detta della professoressa Lucinda Backwell mostrano la tipica struttura umana, e secondi i ricercatori rappresenta la più antica testimonianza - a parte delle ossa - dei primi progenitori del genere Homo.