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16.07.2010

Fossile mette in dubbio la datazione della diversificazione principale nelle scimmie del Vecchio Mondo

I due rami evolutivi che hanno portata da un lato agli ominidi (Hominoidea), inclusi noi stessi, e dall’altro verso il gruppo dei moderni cercopitechi (Cercopithecoidea) si sono separati più recentemente di quanto finora postulato.
Questa nuova ipotesi di datazione si basa sul ritrovamento di un cranio parziale nell'odierna Arabia Saudita occidentale.


Dai resti frammentari conosciuti precedentemente e considerati intermedi tra i due gruppi, datati tra i 23 - 30 milioni di anni, si era concluso che la diversificazione sia avvenutoa come minimo tra i 30 ai 35 milioni di anni fa.


Ma i nuovi fossili, rinvenuti nel 2009 nella parte mediale della formazione geologica di Shumaysi, sono stati datati a un’età compresa tra i 28 e 29 milioni di anni, e comprendono parti del cranio di un individuo maschile.
I caratteri più distintivi, per la sua attribuzione a un antenato comune, sono un muso protruso, mancante delle cavità nasali laterali e dei grandi molari. Questi caratteri secondo gli autori della ricerca non coincidono con i fossili delle scimmie del Vecchio Mondo (Catarrhini) finora conosciute, è sembrano confermare l’attribuzione di questa specie nell’area di transizione dei due grandi gruppi compresi nei Catarrini, che secondo la nuova ricerca si sono separati appena 28 milioni di anni fa.


Fig.1. Il fossile rinvenuto…

Fig.2. ... è il geologo Mohammed Ali (uno degli autori della ricerca) davanti alla Formazione di Shumaysi in cui è avvenuto la scoperta (fonte per entrambi le immagini: University of Michigan / Museum of Paleontology / Iyad S. Zalmout).

Bibliografia:


ZALMOUT, I.S.; SANDERS, W.J.; MACLATCHY, L.M.; GUNNELL, G.F.; AL-MUFARREH, Y.A.; ALI, M.A.; NASSER, A.H.; AL-MASARI, A.M.; AL-SOBHI, S.A.; NADHRA, A.O.; MATARI, A.H.; WILSON, J.A. & GINGERICH, P.D. (2010): New Oligocene primate from Saudi Arabia and the divergence of apes and Old World monkeys. Nature Vol. 466: 360–364 doi:10.1038/nature09094

23.06.2010

Kadanuumuu - il grande

Dall’Etiopia arriva la notizia del ritrovamento di ossa di gigante - un gigante per l’epoca in cui viveva.
Archeologi hanno pubblicato la ricerca condotta sui resti di un esemplare maschio di Australopithecus afarensis con un'altezza di 1,52m, 40cm più alto della celebre Lucy, anch’ essa appartenente alla stessa specie. Il fossile è stato denominato appropriatamente Kadanuumuu, che nella lingua degli Afar vuole dire "grande uomo".

Il reperto è stato dissotterrato nel 2005 nella regione dell’Afar (Etopia), è datato a 3,58 milioni di anni. Questa età si colloca tra Ardipithecus (4,4Ma), considerato uno degli ominidi più antichi finora conosciuti, ma la cui relazione evolutiva al genere Australopithecus non è chiara, e Lucy, più giovane di 400.000 anni.
Il fossile di Kadanuumuu grazie alla preservazione di molte ossa postcraniali finora mancanti nelle ricostruzioni dei Australopithechi ha riconfermato studi anatomici e biomeccanici condotti in precedenza su altri fossili di Australopithecus. Il genere poteva camminare eretto su due piedi in modo efficace e molto simile all’uomo moderno già 3,6 milioni di anni fa. I nuovi fossili inoltre mostrano una evoluzione delle proporzioni del torace e degli arti inferiori in A. africanus.
L'allungamento degli arti è un adattamento a una camminata potente è veloce, è conferma che questi adattamenti, insieme a altri, per la camminata bipede sono caratteri molto antichi.

Bibliografia:

SELASSIE, Y.H.; LATIMER, B.M.; ALENE, M.; DEINO, A.L.; GILBERT, L.; MELILLO, S.M.; SAYLOR, B.Z.; SCOTT, G.R. & LOVEJOY, C.O. (2010): An early Australopithecus afarensis postcranium from Woranso-Mille, Ethiopia. PNAS online June 21 doi: 10.1073/pnas.1004527107

22.06.2010

La guerra degli scimpanzé

Si riuniscono per la battuta di caccia e poi attaccano i più vulnerabili, scimpanzé tendono a mostrare violenza eccessiva contro altri gruppi, fino all’uccisione di individui estranei. Un possibile motivo? Competizione per cibo e conquista di nuovi territori.

Già Jane Goodall ha descritto la scena, perlopiù scimpanzé maschi si riuniscono per perlustrare i confini del loro territorio, sistematicamente sconfinano nel territorio di altri gruppi e attaccando e uccidendo gli individui che incontrano, fino all’annientamento completo dell’altro gruppo, un comportamento di una ferocità rara nel regno animale. Secondo una ricerca pubblicata nella rivista "Current Biology" dietro a questo comportamento c’è un fine molto preciso, conquistare nuove terre e risorse.

Per la loro ricerca i primatologi hanno osservato gli scimpanzé nel Parco Nazionale di Kibale in Uganda. Il gruppo di scimpanzé di Ngogo consiste di 150 individui, un gruppo straordinariamente grande.
I ricercatori sono stati in grado di documentare 18 campagne di “guerra” contro gruppi di scimpanzé che vivono nelle vicinanze. In ognuno di questi attacchi è stato ucciso almeno un animale del gruppo avversario.
Circa due uccisioni nel corso di un anno possono seriamente compromettere un gruppo piccolo di scimpanzé, il cui numero medio si aggira sui 20 individui.

Gli attacchi avvengono sempre in modo simile, fino a trenta individui di Ngogo, la stragrande maggioranza è composta da maschi, ma si sono osservati anche femmine, si avventa nel territorio straniero, alla ricerca degli individui più deboli, soprattutto femmine con i loro piccoli o individui giovani. In un caso si è osservato che il gruppo di attaccanti ha cercato per più di mezz’ ora a strappare un neonato a sua madre, ferendolo mortalmente.
Finora non era completamente chiaro perché gli scimpanzé mostrano questo atteggiamento, si assumeva una cosa simile all’invidia o lotta per le risorse, ma l’attuale ricerca ha dimostrato che il gruppo vincente ha effettivamente preso in possesso il territorio liberatosi, sia che gli individui estranei sono stati tutti uccisi, sia che hanno scelto di ritirarsi definitamente. Il grande gruppo di Ngogo con questa tattica di intimidazione è riuscito a ampliare il suo territorio negli anni passati per il 22 per cento.

Bibliografia:

MITANI, J.C.; WATTS, D.P. & AMSLER, S.J. (2010): Lethal intergroup aggression leads to territorial expansion in wild chimpanzees. Current Biology, Vol. 20(12): R507-R508 doi:10.1016/j.cub.2010.04.021

10.05.2010

If a bonobo say NO did he mean NO?

"Head-shaking gestures are commonly used by African great apes to solicit activities such as play. Here, we report observations of head shaking in four bonobos apparently aimed at preventing the recipient from doing something. This may reflect a primitive precursor of the negatively connoted head-shaking behavior in humans. Further investigations are needed to clarify the preventive function of head shakes and their evolutionary role in the evolution of negation in humans."

BIBLIOGRAFIA:

SCHNEIDER, C.; CALL, J. & LIEBAL, K. (2010): Do bonobos say NO by shaking their head? Primates. Published online 24 April 2010 : doi 10.1007/s10329-010-0198-2

Sembra che perfino tra i nostri cugini i scimpanzé bonobo si é diffusa la conoscenza della qualitá delle documentazioni scientifiche sui nostri canali...

06.05.2010

Special Feature: The Neandertal Genome

In the 7 May 2010 issue of Science, Green et al. report a draft sequence of the Neandertal genome composed of over 3 billion nucleotides from three individuals, and compare it with the genomes of five modern humans. A companion paper by Burbano et al. describes a method for sequencing target regions of Neandertal DNA. A News Focus , podcast segment, and special online presentation featuring video commentary, text, and a timeline of Neandertal-related discoveries provide additional context for their findings.

"Neandertals, the closest evolutionary relatives of present-day humans, lived in large parts of Europe and western Asia before disappearing 30,000 years ago. We present a draft sequence of the Neandertal genome composed of more than 4 billion nucleotides from three individuals. Comparisons of the Neandertal genome to the genomes of five present-day humans from different parts of the world identify a number of genomic regions that may have been affected by positive selection in ancestral modern humans, including genes involved in metabolism and in cognitive and skeletal development. We show that Neandertals shared more genetic variants with present-day humans in Eurasia than with present-day humans in sub-Saharan Africa, suggesting that gene flow from Neandertals into the ancestors of non-Africans occurred before the divergence of Eurasian groups from each other."

BIBLIOGRAFIA:
GREEN et al. (2010): A Draft Sequence of the Neandertal Genome. Science 328 (5979):710 - 722 doi: 10.1126/science.1188021

28.04.2010

Tanatologia di noi scimmie

Fig.1. Secondo la tradizione dell´antico Egitto prima di entrare nell´aldilàil cuore del defunto veniva pesato, se giudicato troppo pesante, l´anima del defunto veniva divorata dal "mangia-anime" - equivalente a una seconda, definitiva morte. Dal libro dei morti, papiro egiziano di Hunefer, conservato nel British Museum.

La famosa primatologa Jane Goodall in un'intervista ricorda che dopo i primi studi che aveva condotta sugli scimpanzé, le fu consigliato di descrivere che gli scimpanzé mostravano sentimenti come rabbia e invidia in modo meno diretto: "se si fosse osservato lo stesso comportamento degli animali nell'uomo, si sarebbe potuto parlare di rabbia e invidia."
Goodall fu anche criticata per aver dato agli scimpanzé del gruppo che studiava dei nomi anziché delle sigle o numeri, dal punto strettamente scientifico questo è una critica fondata, troppo grande è la tentazione di umanizzare gli oggetti di studio.
Ma ulteriori ricerche hanno mostrato che scimpanzé e umani condividono molti comportamenti e sentimenti, e forse e lecito usare con dovuta cautela le stesse terminologie.

L'uomo ha paura di quello che non conosce e non comprende, e il più grande ignoto e la morte. Per spiegare questa necessità evolutiva l'uomo ha creato rituali funebri, e inventato la religione per facilitare la separazione dai suoi cari e consolarsi sull'inevitabile - la consapevolezza della fine, il pensiero di una vita oltre la morte, che nessuno può provare razionalmente, dipende molto dalla nostra capacità di immaginazione e la nostra fantasia, fattore che molti autori ritengono forse uno delle poche caratteristiche che sono proprie dell'uomo.

Ricercatori britannici hanno potuto studiare e documentare per la prima volta quello che ritengono una risposta di un gruppo di scimpanzé verso la morte. L'osservazione grazie a delle videocamere è stata condotta in un parco safari, su un gruppo di scimpanzé di 4 individui, in cui una femmina anziana di 50 anni è morta pacificamente per vecchiaia.
Negli ultimi dieci minuti di vita gli altri scimpanzé hanno toccato il corpo dell'animale ripetutamente, ma dal momento del decesso in poi i contatti sono cessati istantaneamente.
La figlia della femmina morta è rimasta vicino al cadavere per la successiva notte, mentre i due altri scimpanzé del gruppo mostravano un sonno molto irrequieto, e un aumentato comportamento del "grooming" nei giorni seguenti (la cura del pelo a vicenda, che però combina l'utile con il piacevole, e riveste anche un importante significativo sociale negli scimpanzé).

Anche settimane dopo la morte, il corpo era stato tolto dalla recinzione il giorno seguente alla morte, gli scimpanzé mangiavano di meno e mostravano un atteggiamento tranquillo al di fuori del comune. La piattaforma dove era morta la vecchia femmina in tutto questo tempo veniva evitata, ma prima dell'evento era molto popolare tra gli animali per dormirci.


Secondo gli autori della ricerca si potrebbe dedurre che gli scimpanzé in un certo modo - al contrario di ipotesi precedenti - reagiscono alla morte di un loro parente: nelle ultime ore di vita di un individuo malato altri membri del gruppo mostrano un interesse aumentato, e dopo la sua morte restano a guardia del corpo e mostrano un comportamento che si potrebbe - in termini umani- descrivere come consolazione a vicenda.
Forse gli animali sono perfino capaci di realizzare il concetto di morte - un passo che come molte volte prima l'uomo riteneva esclusivo della sua natura, ma, come sottolineano gli autori della ricerca, forse è molto più antico del nostro genere (rimando a una discussione approfondita sul blog Geomythologica: Mitologie della morte: comportamento animale).

BIBLIOGRAFIA:
ANDERSON, J.R.; GILLIES, A. & LOCK, L.C: (2010): Pan thanatology. Current Biology 20: pR349
BIRO, D.; HUMLE, T.; KOOPS, K.; SOUSA, C.; HAYASHI, M. & MATSUZAWA, T. (2010): Chimpanzee mothers at Bossou, Guinea carry the mummified remains of their dead infants. Current Biology 20: pR351

RISORSE:
Intervista al Dr. Anderson mp3 (3MB)

YONG, E. (2010): How chimpanzees deal with death and dying. Not Exactly Rocket Science BLOG

10.04.2010

Il genere Australopithecus

La descrizione di Australopithecus sediba ha aggiunto un´ulteriore rappresentante agli Australopiteci, un gruppo molto vasto come mostra il seguente resoconto:

Fig.1. Siti con resti fossili classificati o attribuiti al genere Australopithecus (Clicca per ingrandire la carta). Le zone rosse sono aree montuose. Dalla carta si riconosce il percorso della "Rift Valley", che attraversa quasi l´intero continente.

Australopithecus anamensis (4-3,9Ma): L´osso di un braccio di questa specie viene scoperta a Kanapoi, in Kenia, nel 1965. Il suo nome deriva da anam, che vuole dire lago, poiché le circostanze della scoperta fanno pensare che l´ominide viveva sulle sponde di un lago. I frammenti della tibia rinvenuti nel 1987 sulle sponde del Lago Turkana dimostrerebbero poi la postura eretta di questa specie di Australopiteco, progenitrice dell´A. afarensis.

Australopithecus afarensis (3,9-3,2Ma): Specie descritta tramite la scoperta della celebre "Lucy" il 30. novembre del 1974 nella regione etiopa di Afar. Ancora molti caratteri ancestrali: faccia larga con fronte bassa, naso piatto, mascella superiore sporgente e mandibola voluminosa di forma intermedia fra quella rettangolare e quella parabolica dell´uomo moderno. La specie viene considerata alla base della linea evolutiva umana.


Australopithecus africanus (3,5-2,3Ma): Il primo reperto risale al 1924, dalla caverna di Taung nel Sudafrica. Il cranio di questo esemplare di adolescente é arrotondato, con canini piú piccoli comparte a forme ancestrali. La posizione piú avanzata del foro occipitale fa supporre che fosse bipede. L´articolazione del ginocchio, tuttavia, mostra che l´andatura era piú vicina al modello delle scimmie antropomorfe di quanto non lo fosse quella di A. afarensis.


Australopithecus barhelghazali (3,5Ma): Specie rinvenuta nell´odierno Ciad, nel letto del fiume Bahr-el-Ghazal (il fiume delle gazzelle), ha messo in crisi le teorie scientifiche che ponevano l´Africa Orientale come culla esclusiva del genere Homo. L´unico reperto ritrovato é una mandibola con sette denti simile all´afarensis, ma con alcune differenze, come la sinfisi mandibolare piú verticale nella faccia interna e i premaolari a smalto.

Australopithecus boisei (2,3-1,2Ma): Riclassificato attualmente in un proprio genere Paranthropus. Uno degli ominidi piú grandi e robusti, adatto a una dieta alimentare vegetale con grandi molari, mascelle spesse a cui attaccavano possenti muscoli che a loro volta attaccavano alla cresta sagittale del cranio. Scoperto in Tanzania é stato uno degli ultimi Australopitheci a estinguersi ed ha convissuto con le prime specie di Homo.

Australopithecus aethiopicus (2,7Ma): Riclassificato attualmente in un proprio genere Paranthropus. Il primo ritrovamento é avvenuto in Etiopia e risale al 1968. I resti piú celebri provengono peró dal Kenya, dove viene alla luce un cranio detto "teschio nero" per la colorazione tramite ossidi di Magnesio presenti nel terreno. Discende dall´afarensis, del quale mostra lo stesso volto prominente, é il capostipite degli Paranthropus, con cui condivide la mascella rettangolare.


Australopithecus ramidus / garhi (5,2-4,4Ma): Riclassificato attualmente in un proprio genere Ardipithecus. I resti di 17 ominidi sono stati rinvenuti nel 1992 ad Asa Koma, in Etiopia. Le ossa delle articolazioi superiori e i denti rivelano dalle caratteristiche anatomiche ancestrali e una dieta vegetale, che fa pensare che questa specie abbia ancora molti tratti in comune con l´antenato comune di scimpanzé e ominidi. Il piede mostrerebbe una andatura bipede, nonostante il sua habitat naturale fossero le foreste.

BIBLIOGRAFIA:

DAY, M.H. (1986): Guide to Fossil Man. Butler & Tanner Ltd., London. 4th edition

RIVIECCIO, G. (ed.) (2007): L´evoluzione dell´uomo. NEWTON OGGI speciale. RCS Periodici.

08.04.2010

Vi presento: Australopithecus sediba

Sul sito di Brian Switek viene presentato l´ominide la cui descrizione era stata annunciata martedì scorso. I resti di due individui, un esemplare giovane di maschio e una femmina adulta, sono stati scoperti nel 2008 in un sistema di caverne del Sudafrica, grazie alla ricostruzione dello scheletro é stata descritta la nuova specie Australopithecus sediba n.sp. (BERGER et al. 2010) nella rivista "Science".

Fig.1. Australopithecus sediba, l´esemplare maschio MH1 e la possibile femmina MH2 (da BERGER et al. 2010).

Il fossile é stato rinvenuto in sedimenti che si sono depositati 2 milioni di anni fa nel sistema di carso di Malapa. Questi ambienti sono particolarmente adatti per conservare ossa di vertebrati.

Fig.2. Il sito di Malapa é situato nella valle di Grootvleispruit. Immagine sopra: carta geologica semplificata, il sistema carsico é sviluppato seguendo zone fratturate dalla tettonica (da DIRKS et al. 2010).

Fig.3. Rappresentazione schematica del profilo di Malapa. Le ossa ora descritte forse sono state trasportate sul luogo di ritrovamento tramite l´azione dell´acqua all´interno della caverna. Verosimilmente ominidi o i loro resti in un primo momento sono caduti tramite imbuti nelle parti superiori del reticolo (da DIRKS et al. 2010).

A differenze di quanto sostenuto dai media generali, la posizione esatta nel cespuglio della nostra evoluzione della nuova specie non é ancora chiara, fatto sta che con un’età di 1,98 a 1,75 milioni di anni é contemporanea con le prime specie del genere Homo.
L’origine del genere Homo è controversa, tra le ipotesi più accreditate è la discendenza dal gruppo degli Australopithechi, o da predecessori di essi, facendo delle varie specie di Australopithecus un gruppo evolutosi parallelamente a Homo. I fossili più antichi attribuite al nostro genere sono stati ritrovati in Etiopia (Homo habilis aff.) e datano a 2,33 milioni di anni. Dal H. habilis verosimilmente si poi differenziato il H. erectus - l’insicurezza di questa parentela risulta dalla prolungata convivenza delle due specie, un’abitudine degli ominidi che le scoperte recenti sembrano confermare.
La nuova specie mostra caratteri intermedi tra i due grandi gruppi, lunghe braccia, adatte per arrampicarsi ancora sugli alberi e un cervello piccolo sono tipici per gli Australopithechi. Dall’altro lato la postura eretta e soprattutto il cranio con la faccia meno sporgente mostrano affinità con il genere Homo.

La questione che la nuova scoperta forse potrà chiarire definitivamente con ulteriori analisi, è se il genere a cui apparteniamo si è sviluppati da Australopitechi ancestrali o più recenti, come la nuova specie sembra presupporre.

06.04.2010

Il mito dell’anello mancante

Nei mass media e perfino in TV sta per arrivare un ulteriore anello mancante, che collega indubbiamente l’uomo con la scimmia, anche se, in effetti, ogni ulteriore fossile di ominidi collega una scimmia con un'altra, dato che dal punto anatomico l’uomo non ha mai smesso di essere una scimmia, come non ha mai smesso di essere mammifero.

Dopo Ardi e Ida il nuovo ominide ancora non ha nome, e la sua presentazione ufficiale avverrà appena fra due giorni. Poche sono le informazioni che finora sono sfuggite allo stretto embargo sottoposto su questo tassello milionario, il fossile attribuibile al vasto gruppo degli australopitechi è stato datato a due milioni di anni grazie all’analisi effettuata con l’acceleratore di particelle di Grenoble.
Scoperto nelle caverne di Sterkfontein del Sudafrica e studiato da ricercatori dell’Università di Witwatersrand (Johannesburg), che già hanno l’esclusiva su una produzione televisiva del fossile gestita dalla National Geographic.

E questo ultimo punto spiega forse lo scetticismo che questa “scoperta” ha suscitato al momento nel mondo dei blog scientifici, perfino la “Repubblica” di oggi non ha risparmiato critiche in confronto all’affermazione che si tratti dell’anello mancante tra uomo e scimmia. Le scoperte paleontologiche negli ultimi decenni hanno mostrato che l’evoluzione degli ominidi non fu mai una linea diretta, ma un cespuglio con varie specie e forse sottospecie di ominidi che vivevano nello stesso tempo e nello stesso ambiente, rendendo difficile una ricostruzione di un’evoluzione lineare come la si immagina il nostro collettivo tra ominidi ancestrali e moderni.


La nuova specie sarà un tassello importante, ma dopo le notizie sensazionalistiche che anche il NG ha prodotto in passato, e che si sono rivelate infondate, si deve essere cauti.
Inoltre è doveroso specificare due ulteriori punti, una nuova specie può essere descritta scientificamente solo in una rivista peer reviewed, che il NG non è, e l’attuale embargo su informazioni e il promuovere di una falsa “tensione”, come in un film di categoria B, sulla notizia mi sembra un atteggiamento infantile, che può solo danneggiare quello che dovrebbe essere una seria ricerca: quella sulla paleoantropologia e le nostre origini.

UPDATE 08.04.2010:
Qui la notizia della presentazione di Australopithecus sediba

26.03.2010

Ominidi di Denisova

Uno dei primi ominidi a uscire fuori dal continente africano fu l’Homo erectus circa 1,9 Ma fa. Dati genetici e archeologi mostrano poi almeno due fasi successive, circa 500.000 a 300.00 anni fa la migrazione degli antenati (verosimilmente rappresentati da H. heidelbergensis e rhodesiensis) che in Europa portarono all’evoluzione dell’uomo di Neandertal, e appena 50.000 anni fa l’uscita del H. sapiens dall’Africa verso l’Asia.
Dati genetici di materiale fossile sono conosciuti tuttora solo dalle due ultime specie, anche perché la molecola del DNA si altera facilmente in condizioni sfavorevoli come ambienti tropicali, dove verosimilmente vivevano i primi ominidi. La possibilità di preservazione aumenta considerevolmente in condizioni asciutte e fredde, come possono essere ritrovate in zone periglaciali ma anche nell’entroterra del continente asiatico.


Proprio queste condizioni hanno reso possibile l’estrazione con diversi metodi usati parallelamente del DNA mitocondriale dell’ominide di Denisova, che è rappresentato da una falange del quinto digite scavato nel 2008 in sedimenti che riempivano una caverna, in strati datati a 48.000 a 30.000 anni.

Il DNA rappresenta un singolo individuo, che in comparazione con 54 sequenze di controllo dell’uomo moderno si differisce in media di 385 posizioni di nucleotidi. Anche se a determinare l’esatta posizione sistematica sarà necessario analizzare materiale genetico del nucleo della cellula, le differenze osservate nel materiale genetico mitocondriale implica che l’ultimo comune antenato tra le due linee sia vissuto circa 1,04Ma fa, escludendo un rapporto diretto con la migrazione e radiazione dell’H. erectus avvenuto circa 900.000 anni prima.

Fig.1. Albero filogenetico del DNA mitocondriale analizzato, in colore grigio i 54 rappresentanti di H. sapiens moderno (di cui un individuo fossile), in blu i 6 individui di H. neanderthalensis e in rosso l’ominide di Denisova, sul lato destro la provenienza geografica del materiale analizzato (da KRAUSE et al. 2010). N.B.: Le immagini sono riprese dalla pubblicazione in risoluzione minore per soli scopi di discussione e didattica.

BIBLIOGRAFIA:

KRAUSE etal. (2010): The complete mitochondrial DNA genome of an unknown hominin from southern Siberia. Nature online publication 24 March 2010: doi:10.1038/nature08976

18.02.2010

Scimpanzé bonobo generosi

Un altro muro artificiale che separa l’uomo dalle altre scimmie antropomorfe è caduto: la condivisione di cibo non è un comportamento altruistico solo negli esseri umani, anche gli scimpanzé nani o bonobo condividono volontariamente e senza alcuna aggressione, forse perfino aspettandosi in futuro una ricompensa per il buon gesto.

Brian Hare della Duke University (North Carolina) e la sua collega Suzy Kwetuenda, del Lola ya Bonobo Santuario (Congo) hanno esaminato il comportamento di individui non imparentati tra di loro e pubblicato il studio nella rivista “Current Biology” di marzo.
Hanno dato il cibo a uno dei bonobo che poteva decidere: o mangiare tutto subito, o usare un’apposita chiave per aprire la porta verso un’altra stanza in cui si trovava o un altro individuo di bonobo o che era vuota.
"Abbiamo scoperto che gli animali volontariamente preferivano aprire le porte, dietro le quali si trovava un altro animale" racconta Hare. "Potevano consumare il pasto molto gradito facilmente da soli, ma hanno condiviso con gli altri animali - in assenza di segni di aggressività e frustrazione." Anche la velocità e la frequenza con la quale gli animali dividono il cibo rimane durante l’ esperimento pressoché costante.

"Questo comportamento è particolarmente sorprendente perché in genere i bonobo gestiscono il cibo molto attentamente e cercano di evitare perdite."
Non è escluso che il comportamento al primo sguardo altruistico nasconda un intento, quello che il gesto di dividere il cibo venga ricambiato prima o poi da quel animale che ha approfittato del regalo.

BIBLIOGRAFIA:
WOBBER; WRANGHAM & HARE (2010): Bonobos Exhibit Delayed Development of Social Behavior and Cognition Relative to Chimpanzees. Current Biology, Vol. 20(3):226-230
BOESCH; BOLE; ECKHARDT & BOESCH (2010): Altruism in Forest Chimpanzees: The Case of Adoption. PLoS ONE 5(1): e8901. doi:10.1371/journal.pone.0008901


23.10.2009

La cultura di fratello scimmia

L'uomo volentieri si ritiene unico nel suo genere - così anche nella capacità di sviluppare una cultura. Ma anche in scimpanzé selvatici, i nostri parenti più stretti, c'è qualcosa di simile a una cultura. Si tratta di modelli di comportamento che non sono né innati né acquisiti attraverso semplici tentativi - spiegazioni spesso usate per molti comportamenti osservati in natura.


Anche nelle scimmie abitudini e conoscenza possono essere trasmesse e divulgate all'interno del gruppo sociale, portando a comportamenti e soluzioni di problemi molto diversi tra gruppo geograficamente molto “vicini”, ma separati profondamente dal loro bagaglio culturale. La ricerca è stata annunciata da scienziati dell’università St. Andrews in Scozia nella rivista Current Biology.

Per testare la facoltà degli scimpanzé a solvere un problema, i ricercatori hanno nascosto del miele in una cavità appositamente preparata.

Un gruppo di scimpanzé studiati nella foresta di Kibale, nell’Uganda, hanno ben presto usato dei bastoni per arrivare al tanto desiderato miele nascosto. Un altro gruppo di scimpanzé nella vicina foresta di Budongo, invece ha escogitato un altro metodo: per ottenere il miele ha usato delle foglie masticate come una sorta di spugna.
Sorprendentemente il gruppo di Kibale conosce l’ uso di questo tipo di spugna, ma lo usa solamente per raggiungere dell'acqua nelle cavità degli alberi.
La velocità nell’risolvere il problema ha stupito i ricercatori, e anche le differenze osservate – le due popolazione, cosi i ricercatori – hanno potuto sfruttare conoscenze già esistenti per risolvere il problema nuovo, ma allo stesso tempo hanno sviluppato strategia diverse a seconda della loro cultura preesistente.

03.03.2009

La storia dell´uomo la racconta l´iena

Un team di ricerca dell´Università di Wits (Sudafrica) ha annunciato in un articolo pubblicato nella rivista "Journal of Archaeological Science" di avere scoperto quello che sembrerebbero i più antichi "capelli" umani finora conosciuti.
Il ritrovamento é avvenuto in dei coproliti di´iena - cioè escrementi fossilizzati - nella caverna di Gladysvale (Sudafrica), luogo conosciuto per il ritrovamento di fossili di ominidi.
I capelli umani fossili più antichi finora conosciuti erano stati datati a 9.000 anni - scoperti su una mummia della catena montuosa delle Ande - Sudamerica.
I coproliti ora analizzati di iena sono parte di un grosso mucchio - una vera e propria latrina usata da questi animali per diverse generazioni- con un’età compresa tra i 195.000 a 275.000 anni.

I fossili, che rappresentano le impronte di capelli impresse nel carbonato, che ha sostituito l´originale materiale organico, a detta della professoressa Lucinda Backwell mostrano la tipica struttura umana, e secondi i ricercatori rappresenta la più antica testimonianza - a parte delle ossa - dei primi progenitori del genere Homo.