Brian Switek del blog “Laelaps” riporta la ricerca fatta su un fossile italiano dimenticato per quasi 100 anni, dimostrando che la paleontologia propria del paese dei cachi viene più valorizzata sull’altro lato del globo che in terra propria (mentre la notizia sulla presunta definitiva senza il minimo ombra di dubbia causa dell’estinzione dei dinosauri è rimbalzata in ogni media fino alla nausea).
Viene riportata la ricerca condotta e pubblicata sulla rivista “Paleontology” su delle strie, solchi e abrasioni osservati sulle costole di un delfino fossile della specie Astadelphis gastaldii (Cetacea, Delphinidae) proveniente da sedimenti pliocenici del Piemonte e scoperto già nella seconda meta del 19. secolo. Secondo l’interpretazione degli autori, i danni delle ossa possono essere spiegati tramite l’avvenuta predazione del delfino da parte di un grosso squalo lungo fino a 4m, facendo di questo reperto una documentazione fossile rara e dettagliate di un attacco da parte di questi temibili predatori marini.
Viene riportata la ricerca condotta e pubblicata sulla rivista “Paleontology” su delle strie, solchi e abrasioni osservati sulle costole di un delfino fossile della specie Astadelphis gastaldii (Cetacea, Delphinidae) proveniente da sedimenti pliocenici del Piemonte e scoperto già nella seconda meta del 19. secolo. Secondo l’interpretazione degli autori, i danni delle ossa possono essere spiegati tramite l’avvenuta predazione del delfino da parte di un grosso squalo lungo fino a 4m, facendo di questo reperto una documentazione fossile rara e dettagliate di un attacco da parte di questi temibili predatori marini.
Fig.1. Fotografia e interpretazione delle tracce (in rosso) sulle ossa di Astadelphis gastaldii, con la ricostruzione del contorno del morso di squalo identificato come causa delle lesioni osservate (da BIANUCCI et al. 2010).
Sulla base della forma dei solchi e la loro disposizione generale sullo scheletro del delfino lo squalo predatore viene probabilmente identificato come appartenente alla specie Cosmopolitodus hastalis, anche se i dati a disposizioni non possono escludere la specie tuttora vivente Isurus oxyrinchus, che dal punto morfologico della dentatura è simile a C. hastalis. Lo squalo ha attaccato il delfino con un morso all’addome sul lato destro, avvicinandosi da dietro per sfruttare il vantaggio della sorpresa, in modo simile a quanto osservato per lo squalo bianco moderno quando attacca pinnipedi. Dopo il primo morso letale, un secondo morso meno forte è stato inflitto sul dorso del delfino, probabilmente l’animale morto o in agonia della morte stava galleggiando col ventre rivolto verso l’alto sulla superficie dell’acqua. Dopo il rilascio della preda da parte dello squalo, altri squali o pesci spazzini hanno lasciato a loro volta le loro impronte sulle ossa, che dopo essersi fossilizzati sono pervenuti fino a noi per raccontare un momento di vita e di morte nel mare pliocenico.
Fig.2. Sequenza proposta dell’attacco di squalo su delfino. Lo squalo attacca dal lato posteriore e ferisce il delfino sul lato destro. Dopo che il delfino agonizzante o morto si capovolge un secondo morso danneggia le ossa del dorso, lo squalo si ciba delle parti molli dell’animale. In seguito animali spazzini si occupano dei resti, le ossa alla fine si depositano e vengono inglobati nei sedimenti (da BIANUCCI et al. 2010).
BIBLIOGRAFIA:
BIANUCCI, G. et al. (2010): Killing in the Pliocene: shark attack on a dolphin from Italy. Palaeontology Vol. 53(2): 457-470
4 Kommentare:
Ciao, complimenti per il tuo blog! Lo leggo sempre.
Fantastica questa scena fossile di predazione, ma da che museo viene il reperto?
Andrea/GGD!
gogodinosaurs.splinder,com
Grazie per l´interesse.
Per il fossile non ho avuto accesso all´articolo originale, ma ho mandato una richiesta tramite e-mail a uno degli autori.
Se so qualcosa faccio sapere.
Bene! Grazie ;-)
Andrea/GGD!
Allora, il Dr. Bianucci é stato cosi gentile a rispondermi subito: il fossile é stato trovato nei pressi di Bagnasco, e ora si trova al museo regionale di Storia Naturale di Torino (Nr.MGPT PU13884)
"The dolphin fossil skeleton here examined was collected
in the second half of 19th century (Portis 1883, 1885)
from Bagnasco locality (Piedmont, northern Italy) in the
Pliocene formation called ‘Sabbie d’Asti’, referred to the
upper Zanclean - lower Piacenzian (3.1-3.8 Ma) interval
(Ferrero and Pavia 1996). Now it is kept in the Museo
Regionale di Storia Naturale di Torino, identified with
the catalogue number MGPT PU13884. It consists of an
incomplete skull, incomplete mandible, all seven cervical
vertebrae, 12 thoracic vertebrae and five lumbar vertebrae,
nine right ribs and 11 left ribs more or less complete.
Portis (1885) referred this fossil dolphin to the
extant genus Steno (Delphinidae, Odontoceti) and
described it as holotype of the fossil species Steno bellardii.
More recently, Bianucci (1996) assigned the same
specimen to a new genus named Astadelphis and considered
‘Steno bellardii’ an older synonym of the congeneric
‘Steno’ gastaldii, another species, previously described,
from the Pliocene sediments near Asti (Brandt 1874).
Hence, Bianucci (1996) assigned these two fossils to the
same species (Astadelphis gastaldii). The dolphin fossil
genus Astadelphis is known only from the Pliocene
deposits of Piedmont and shares some morphological
and probably phylogenetic affinities with the extant Sousa
and Sotalia."
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