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04.11.2011

La Toscana: Terra di balene e vermi mangia-ossa

"They say the sea is cold, but the sea contains the hottest blood of all,
and the wildest, the most urgent.
"
"Whales Weep Not!" D.H. Lawrence (1885-1930)

Gli abissi marini sono stati spesso comparati con un deserto in cui solo occasionalmente si trovano delle oasi - campi idrotermali in cui sorgenti di acqua bollente offrono abbastanza energia da alimentare un ecosistema, oppure le carcasse in decomposizione di grandi animali marini.
I processi tafonomici in mare aperto differiscono notevolmente da quelli osservabili vicino alla costa o in acque poco profonde - anche se purtroppo ancora poco si conosce sui fattori che gli influenzano - soprattutto se si tratta di gigantesche carcasse, come per esempio di balena. Si presume che la decomposizione di un corpo cosi grande è influenzata in una prima fase dalla profondità della colonna d´acqua e la pressione idrostatica, due fattori che influenzano il tempo in cui la carcassa galleggia nell´acqua. Una volta raggiunto il fondo, la decomposizione della balena segue una successione generale con diverse ondate di animali spazzini e saprofagi. La carne è rapidamente rimossa da grandi animali, come per esempio squali. I resti, come tessuto adiposo e cartilagine, sono colonizzati più lentamente  da organismi che si cibano sia dei resti organici che dal denso tappeto di batteri che si sviluppa su di essi. Dopo alcuni mesi rimangono solo le ossa, anch´esse sono colonizzate da una comunità di specie molto interessante è specializzata per quest'ambiente estremo composta principalmente da batteri, molluschi e policheti.
Gli esempi di grandi balene morte studiate oggigiorno sono abbastanza rari e imprese difficili (al minimo serve un sottomarino), ma il record fossile, soprattutto del Neogene, ha restituito materiale molto interessante e di relativamente facile accesso.

Già nel 2010 una ricerca condotta su scheletri di balena fossile ritrovati nel Pliocene toscano (per esempio localitá come Ponte a Elsa, Castelfiorentino, Castellarano e Castell' Arquato) ha mostrato che già in passato esisteva una successione di organismi sulle carcasse di balene e questa successione dipendeva in parte dalla profondità in cui giaceva la balena. 
Un´altra ricerca pubblicata nello stesso anno ha descritto su ossa fossili di un giacimento spagnolo degli icnofossili - Trypanites ionasi - che sono stati attribuita a delle tane di un organismo comparabili al moderno genere di "vermi-mangia ossa" Osedax (gruppo di animali descritto appena nel 2002 nelle ossa di balena ritrovati sul fondo della baia di Monterey, California). Osedax e un policheto che non possiede bocca o sistema digerente, ma assorbe sostanze nutritive grazie a delle protuberanze a forma di radice che entrano all´interno delle ossa.

Fig.1. Ricostruzione dell´organismo che ha prodotto l´icnofossile Trypanites ionasi (immagine da MUNIZ et al. 2010), basandosi sopratutto sull´anatomia del moderno genere Osedax.

Una ricerca pubblicata recentemente nella rivista Historical Biology ha descritto simili tane su un reperto proveniente dalla Toscana - il primo esempio d'icnofossile di "vermi-mangia ossa" descritto dalla regione dal Mediterraneo, e il terzo esempio in assoluto nel record fossile (a parte il materiale spagnolo esistono resti di ossa con delle tracce ritrovate nei pressi della costa dello stato di Washington).
L´icnofossile, composto di un bulbo all´interno delle ossa, è stato scoperto grazie a delle analisi di ossa con il metodo della tomografia computerizzata eseguite all´University of Leeds e il Natural History Museum in Inghilterra.

Fig.2. Scan di tomografia computerizzata con ricostruzione dell´organismo che ha prodotto le tane sulle ossa di balene del Pliocene toscano (HIGGS et al. 2011).

La scoperta è interessante perche amplifica notevolmente l´areale di distribuzione dei vermi mangia-ossa nel passato (6-3 milioni di anni). Inoltre è verosimile secondo i ricercatori che ancora oggi negli abissi del Mediterraneo esistano specie non ancora descritte di questo gruppo di policheti.

Bibliografia:

ALLISON, P.A.; SMITH, C.R.; KUKERT, H.; DEMING, J.W. & BENNETT, B.A. (1991): Deep-water taphonomy of vertebrate carcasses: a whale skeleton in the bathyal Santa Catalina Basin. Paleobiology 17(1): 78-89
DOMINICI, S.; CIOPPI, E.; DANISE, S.; BETOCCHI, U.; GALLAI, G.; TANGOCCI, F.; VALLERI, G. & MONECHI, S. (2009): Mediterranean fossil whale falls and the adaption of molluscs to extreme habitats. Geology 37(9): 815-818
HIGGS, N.D.; LITTLE, C.T.S.; GLOVER, A.G.; DAHLGREN, T.G.; SMITH, C.R. & DOMINICI, S. (2011): Evidence of Osedax worm borings in Pliocene (3 Ma) whale bone from the Mediterranean. Historical Biology
MUNIZ, F.; DE GIBERT, J.M. & ESPERANTE, R. (2010): First trace-fossil evidence of bone-eating worms in Whale carcasses. Palaios 25: 269-273

05.09.2011

Coelodonta thibetana e Megafauna

Una nuova specie di rinoceronte fossile descritta nella rivista Science aiuterà a ricostruire la storia evolutiva della Megafauna del Pleistocene. Molti caratteristici animali della tundra dell´era glaciale, tra cui il rinoceronte lanoso, il mammut o il cervo gigante, sono stati considerati specie autoctone dell´Eurasia, evolutosi in risposta ai cambiamenti climatici durante il Pleistocene.

I resti fossiliferi della nuova specie Coelodonta thibetana sono stati scoperti nel 2007 in sedimenti Pliocenici (ca. 3,7 milioni di anni) del bacino di Zanda sull'altopiano Tibetano. Il cranio di questa specie mostra alcune particolarità che sono state associate a una vita in ambienti freddi e con precipitazioni nevose.

- I molari hanno una corona alta, adatti a una dieta a base di piante dure come l´erba che caratterizza le steppe asiatiche.

- La base del (falso) corno del rinoceronte è appiattita e il corno stesso probabilmente era curvato in avanti e si espandeva sopra il muso. Questa particolare struttura potrebbe essere stata usata come una pala per liberare il suolo dalla neve - un simile carattere è conosciuto dalla specie Pleistocenica (ca. 2 milioni di anni) di Coleodonta antiquitatis, il comune rinoceronte lanoso dell'iconografia sull´era glaciale.

Questi caratteri erano in principio un adattamento a una vita nella steppa dell´altopiano, che si rivelarono favorevoli durante il raffreddamento del clima globale. Dall´altopiano il genere Coleodonta si diffuse verso la regione dell´odierna China con la specie Coelodonta nihowanensi,  verso la Siberia  con la specie Coelodontia tologoijensis e verso l´Asia e l´Europa con la specie Coleodonta antiquitatis.

Fig.1. Distribuzione geografica delle specie di Coelodonta secondo DENG.

L´associazione fossilifera a cui appartiene C. thibetana include più di 23 specie di mammiferi, tra cui alcune relative a delle moderne specie, come la  pecora azzurra nana (Pseudois schaeferi), il leopardo delle nevi (Panthera uncia), l'antilope tibetana (Pantholops hodgsonii) e il tasso (Meles sp.), ma anche specie estinte come Hipparion.
Un'associazione interessante, che include specie associate a steppe asciutte e fredde a specie di montagna e di distribuzione generale. La fauna della tundra pleistocenica probabilmente era un'associazione unica, che comprendeva animali che oggi troviamo nella tundra artica (fredda e umida) e altre specie adatte a un clima di steppa (fredda e secca). Durante il raffreddamento globale del Pleistocene questi due ecosistemi si avvicinarono geograficamente, e con essi le loro specie caratteristiche che formarono un'unica, oggi estinta, fauna.

Bibliografia:

DENG, T.; WANG, X.; FORTELIUS, M.; LI, Q.; WANG, Y.; TSENG, Z.J.; TAKEUCHI, G.T.; SAYLOR, J.E.; SÄILÄ, L.K. & XIE G. (2011):  Out of Tibet: Pliocene Woolly Rhino Suggests High-Plateau Origin of Ice Age Megaherbivores. Science Vol.333 (6047): 1285-1288

10.04.2010

Il genere Australopithecus

La descrizione di Australopithecus sediba ha aggiunto un´ulteriore rappresentante agli Australopiteci, un gruppo molto vasto come mostra il seguente resoconto:

Fig.1. Siti con resti fossili classificati o attribuiti al genere Australopithecus (Clicca per ingrandire la carta). Le zone rosse sono aree montuose. Dalla carta si riconosce il percorso della "Rift Valley", che attraversa quasi l´intero continente.

Australopithecus anamensis (4-3,9Ma): L´osso di un braccio di questa specie viene scoperta a Kanapoi, in Kenia, nel 1965. Il suo nome deriva da anam, che vuole dire lago, poiché le circostanze della scoperta fanno pensare che l´ominide viveva sulle sponde di un lago. I frammenti della tibia rinvenuti nel 1987 sulle sponde del Lago Turkana dimostrerebbero poi la postura eretta di questa specie di Australopiteco, progenitrice dell´A. afarensis.

Australopithecus afarensis (3,9-3,2Ma): Specie descritta tramite la scoperta della celebre "Lucy" il 30. novembre del 1974 nella regione etiopa di Afar. Ancora molti caratteri ancestrali: faccia larga con fronte bassa, naso piatto, mascella superiore sporgente e mandibola voluminosa di forma intermedia fra quella rettangolare e quella parabolica dell´uomo moderno. La specie viene considerata alla base della linea evolutiva umana.


Australopithecus africanus (3,5-2,3Ma): Il primo reperto risale al 1924, dalla caverna di Taung nel Sudafrica. Il cranio di questo esemplare di adolescente é arrotondato, con canini piú piccoli comparte a forme ancestrali. La posizione piú avanzata del foro occipitale fa supporre che fosse bipede. L´articolazione del ginocchio, tuttavia, mostra che l´andatura era piú vicina al modello delle scimmie antropomorfe di quanto non lo fosse quella di A. afarensis.


Australopithecus barhelghazali (3,5Ma): Specie rinvenuta nell´odierno Ciad, nel letto del fiume Bahr-el-Ghazal (il fiume delle gazzelle), ha messo in crisi le teorie scientifiche che ponevano l´Africa Orientale come culla esclusiva del genere Homo. L´unico reperto ritrovato é una mandibola con sette denti simile all´afarensis, ma con alcune differenze, come la sinfisi mandibolare piú verticale nella faccia interna e i premaolari a smalto.

Australopithecus boisei (2,3-1,2Ma): Riclassificato attualmente in un proprio genere Paranthropus. Uno degli ominidi piú grandi e robusti, adatto a una dieta alimentare vegetale con grandi molari, mascelle spesse a cui attaccavano possenti muscoli che a loro volta attaccavano alla cresta sagittale del cranio. Scoperto in Tanzania é stato uno degli ultimi Australopitheci a estinguersi ed ha convissuto con le prime specie di Homo.

Australopithecus aethiopicus (2,7Ma): Riclassificato attualmente in un proprio genere Paranthropus. Il primo ritrovamento é avvenuto in Etiopia e risale al 1968. I resti piú celebri provengono peró dal Kenya, dove viene alla luce un cranio detto "teschio nero" per la colorazione tramite ossidi di Magnesio presenti nel terreno. Discende dall´afarensis, del quale mostra lo stesso volto prominente, é il capostipite degli Paranthropus, con cui condivide la mascella rettangolare.


Australopithecus ramidus / garhi (5,2-4,4Ma): Riclassificato attualmente in un proprio genere Ardipithecus. I resti di 17 ominidi sono stati rinvenuti nel 1992 ad Asa Koma, in Etiopia. Le ossa delle articolazioi superiori e i denti rivelano dalle caratteristiche anatomiche ancestrali e una dieta vegetale, che fa pensare che questa specie abbia ancora molti tratti in comune con l´antenato comune di scimpanzé e ominidi. Il piede mostrerebbe una andatura bipede, nonostante il sua habitat naturale fossero le foreste.

BIBLIOGRAFIA:

DAY, M.H. (1986): Guide to Fossil Man. Butler & Tanner Ltd., London. 4th edition

RIVIECCIO, G. (ed.) (2007): L´evoluzione dell´uomo. NEWTON OGGI speciale. RCS Periodici.

19.03.2010

Tracce di predazione fossile su delfino piemontese

Brian Switek del blog “Laelaps” riporta la ricerca fatta su un fossile italiano dimenticato per quasi 100 anni, dimostrando che la paleontologia propria del paese dei cachi viene più valorizzata sull’altro lato del globo che in terra propria (mentre la notizia sulla presunta definitiva senza il minimo ombra di dubbia causa dell’estinzione dei dinosauri è rimbalzata in ogni media fino alla nausea).

Viene riportata la ricerca condotta e pubblicata sulla rivista “Paleontology” su delle strie, solchi e abrasioni osservati sulle costole di un delfino fossile della specie Astadelphis gastaldii (Cetacea, Delphinidae) proveniente da sedimenti pliocenici del Piemonte e scoperto già nella seconda meta del 19. secolo.
Secondo l’interpretazione degli autori, i danni delle ossa possono essere spiegati tramite l’avvenuta predazione del delfino da parte di un grosso squalo lungo fino a 4m, facendo di questo reperto una documentazione fossile rara e dettagliate di un attacco da parte di questi temibili predatori marini.

Fig.1. Fotografia e interpretazione delle tracce (in rosso) sulle ossa di Astadelphis gastaldii, con la ricostruzione del contorno del morso di squalo identificato come causa delle lesioni osservate (da BIANUCCI et al. 2010).


Sulla base della forma dei solchi e la loro disposizione generale sullo scheletro del delfino lo squalo predatore viene probabilmente identificato come appartenente alla specie Cosmopolitodus hastalis, anche se i dati a disposizioni non possono escludere la specie tuttora vivente Isurus oxyrinchus, che dal punto morfologico della dentatura è simile a C. hastalis.
Lo squalo ha attaccato il delfino con un morso all’addome sul lato destro, avvicinandosi da dietro per sfruttare il vantaggio della sorpresa, in modo simile a quanto osservato per lo squalo bianco moderno quando attacca pinnipedi. Dopo il primo morso letale, un secondo morso meno forte è stato inflitto sul dorso del delfino, probabilmente l’animale morto o in agonia della morte stava galleggiando col ventre rivolto verso l’alto sulla superficie dell’acqua. Dopo il rilascio della preda da parte dello squalo, altri squali o pesci spazzini hanno lasciato a loro volta le loro impronte sulle ossa, che dopo essersi fossilizzati sono pervenuti fino a noi per raccontare un momento di vita e di morte nel mare pliocenico.

Fig.2. Sequenza proposta dell’attacco di squalo su delfino. Lo squalo attacca dal lato posteriore e ferisce il delfino sul lato destro. Dopo che il delfino agonizzante o morto si capovolge un secondo morso danneggia le ossa del dorso, lo squalo si ciba delle parti molli dell’animale. In seguito animali spazzini si occupano dei resti, le ossa alla fine si depositano e vengono inglobati nei sedimenti (da BIANUCCI et al. 2010).

BIBLIOGRAFIA:
BIANUCCI, G. et al. (2010): Killing in the Pliocene: shark attack on a dolphin from Italy. Palaeontology Vol. 53(2): 457-470

17.03.2010

Uccelli del terrore

La era Cenozoica viene spesso riferita come era dei mammiferi, ma naturalmente come già GOULD ci ricorda, i mammiferi erano un elemento nella fauna e flora, e vale la pena approfondire l´argomento su altri gruppi di animali che hanno condiviso ere geologiche e ecosistemi con noi mammiferi.

Mentre la storia evolutiva tra dinosauri e uccelli riscontra grande interesse nel pubblico, la paleontologia degli uccelli veri e propri é ristretta a un gruppo limitato di interessati, ma il record fossile degli uccelli, al contrario di quanto si pensa per via delle ossa leggere e friabili, é abbondante per l´intero Cenozoico.
Molti sono i siti in cui sono stati portati alla luce non solo ossa di mammiferi, ma anche di uccelli.
Nell'Europa si trovano importanti siti fossiliferi che hanno restituito ossa e perfino completi scheletri di uccelli del Paleogene (65-24Ma), tra cui i più importanti sono il sito di Messel (Eocene della Germania), la formazione del "London Clay" (Eocene inferiore dell'Inghilterra) e i sedimenti che riempiono le fessure del carso di Quercy (Eocene medio a Oligocene superiore della Francia).

La paleogeografia del Paleogene è caratterizzata dalla separazione dell'Europa dal Nord America durante l'Eocene inferiore, la chiusura dello stretto di mare di Turgai, che aveva separato l'Europa dall'Asia durante il Giurassico fino all'Oligocene, e la deriva dell'Australia verso nord durante l'Oligocene. Il clima, all'inizio ancora caldo e umido, durante l'Eocene e soprattutto nell'Oligocene mostra un calo della temperatura media globale, di conseguenza le vaste foreste tropicali si spostano verso l'equatore e vengono rimpiazzate nelle medie latitudini da steppe e praterie.

Forse proprio questo ambiente aperto e vasto favorisce l'evoluzione di inusuali predatori: Il Paleocene e l'Eocene inferiore nell'Europa e Nord America vedono l'avvento di giganteschi uccelli, che invece di volare evolvono possenti arti inferiori, adatti alla locomozione terrestre.

La famiglia dei Gastornithidae (Diatrymidae) raggiungeva anche un'altezza di 2m, e rappresentano verosimilmente un gruppo affine agli Anseriformis, di cui fanno parte le odierne anatre. A differenza delle rappresentazioni che li mostrano cacciare mammiferi, preferenzialmente sotto forma di un piccolo cavallo, non è accertato che si tratta di uccelli carnivori.

Fig.1. Rappresentante di Diatrymidae secondo BURIAN

Nel Miocene dell'Australia viveva Bullockornis planei, specie descritta nel 1998 da Peter Murray e Dirk Megirian, rappresentante degli uccelli tuono o Mihirungs (Dromornithidae, famiglia descritta nel 1839), uccelli che si sono estinti appena nel tardo Pleistocene (secondo alcuni autori le rappresentazioni di enormi impronte di uccelli nell'arte rupestre australiana è stata ispirati da incontri con questi animali). Anche se imparentati a loro volta con gli Anseriformis, la loro somiglianza con i Gastornithidae non risulta da una parentela diretta, ma da un'evoluzione parallela e convergente.
Erano animali che potevano raggiungere anche un peso stimato di mezza tonnellata, praticamente il più grande uccello mai esistito.
Lawrence M. Witmer e Kenneth D. Rose nel 1991 studiando il massivo becco e gli attaccamenti della muscolatura conclusero che questi caratteri sarebbero di gran lunga troppo sviluppati per un erbivoro, ma resta il dubbio sul modo in cui si cibavano questi animali. Il grande lobo olfattivo degli uccelli del tuono fa pensare che forse non erano cacciatori attivi, ma la loro dieta comunque comprendeva anche carcasse.

Anche sul continente sudamericano uccelli giganti sono sopravissuto per un periodo ben più lungo che in Europa, resti degli uccelli del terrore (Phorusrhacidae) sono conosciuti dal Paleocene fino al Pliocene. Questo gruppo come ulteriore esempio di evoluzione convergente non ha nulla a che fare con i primi due, ma è imparentato con il recente Seriemas, l'unico rappresentante moderno dei Cariamidae con due specie, il Seriemas dalle gambe rosse (Cariama cristata) e dalle gambe nere (Chunga burmeisteri). Questo gruppo nel passato geologico ha mostrato una considerevole diversità nelle sue specie. Esistevano forme piccole e di struttura gracile, ma è conosciuto anche un cranio fossile che raggiunge i 70cm di lunghezza.

Fig.2. Rappresentante di Phorusrhacidae secondo BURIAN

Caratteristici animali del Sudamerica, con la formazione dell'istmo di Panama nel Pliocene solo una specie di uccello del terrore si disperde fino all'odierna Florida, ma ben presto segui il destino delle altre specie di uccelli del terrore, e si estingue senza discendenti. Non è ben chiaro il motivo di questa estinzione, anche se la contemporanea migrazione di grandi carnivori placentali verso il Sudamerica sembra implicare una concorrenza tra i due gruppi, e una battaglia per le risorse e le prede che i grandi predatori pennuti alla fine non sono riusciti a decidere per se.

BIBLIOGRAFIA:
ALVARENGA & HÖFLING (2003): Systematic revision of the Phorusrhacidae (Aves: Ralliformes). Papéis Avulsos de Zoologia; Museu de Zoologia da Universidade de São Paulo. Volume 43(4):55-91
GOULD, S.J. (2004): The evolution of life on earth. Scientific American Special Edition: Dinosaurs and other Monsters. Vol.14 (2)
MARSHALL, L.G. (2004): The Terror Birds of South America. Scientific American Special Edition: Dinosaurs and other Monsters. Vol.14 (2)
MAYR, G. (2007): Die Vogelschar vor Fink und Star: Paläogene Vögel. Biologie in unserer Zeit. 37 (6): 376-382
OUZMAN et al. (2002): Extraordinary Engraved Bird Track from North Australia: Extinct Fauna, Dreaming Being and/or Aesthetic Masterpiece? Cambridge Archaeological Journal. 12(1): 103-112